Credere, Obbedire, Soccombere
di Gianandrea Gaiani - 26/02/2023
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/credere-obbedire-soccombere
Fonte: Analisi Difesa
Dopo un anno di guerra in Ucraina non è ancora chiaro chi
potrà forse vincere il conflitto sul campo di battaglia ma tra gli
sconfitti senza appello, “senza se e senza ma” ci sono i media
occidentali, in particolare quelli europei, in special modo la gran
parte di quelli italiani.
Studi televisivi riempiti con bandiere
giallo-blu, anchor-man che tolgono l’audio in diretta a un discorso di
Vladimir Putin atteso dal mondo intero “per non dare spazio alla
propaganda russa”, conduttori che prendono le distanze dalle
dichiarazioni di ospiti che indugiano nello sposare ogni tweet della
propaganda di Kiev o nell’accusare solo i russi per ogni responsabilità e
nefandezza di questa guerra.
Che dire poi delle interviste al
presidente ucraino Volodymyr Zelensky talmente in ginocchio da far
apparire equilibrata e pure aggressiva la “mitica” intervista di Gianni
Minà a Fidel Castro del 1987?
Nessuna domanda scomoda sulle
opposizioni messe al bando, il patrimonio personale del presidente e di
diversi ministri e generali, le leggi che soffocano la libertà di
stampa ed espressione, la corruzione dilagante anche a danno dei
militari che ha portato alla rimozione di molti funzionari, il rapporto
di Amnesty International che accusa le truppe ucraine di crimini di
guerra, le armi donate dall’Occidente rinvenute su fronti bellici in
altri continenti, le rappresaglie sui “collaborazionisti” nelle città
riconquistate, i video che mostrano le truppe di Kiev ferire o uccidere
prigionieri…solo per citare alcuni dei temi più eclatanti.
Aggiungiamoci
poi opinionisti statunitensi che attribuiscono patenti di “affidabilità
atlantica” a politici e commentatori oppure i professori e giornalisti
da anni organici con università e think-tank d’oltre Atlantico o con
istituzioni della NATO che presentano il conflitto ucraino come la lotta
tra il Bene e il Male, tra Democrazia e Tirannia.
Uno dei centri
studi statunitensi che più di altri si è distinto pubblicando analisi e
mappe quotidiane del conflitto, l’Institute for the Study of the War
(ISW), ha utilizzato queste parole per la sua campagna di raccolta
fondi.
“Abbiamo bisogno di finanziamenti per aggiungere più membri al
team e continuare il nostro lavoro nel 2023 e oltre. L’eroica
resistenza dell’Ucraina contro l’invasione non provocata di Vladimir
Putin salvaguarda la sicurezza di europei e americani.
I notevoli
successi dell’Ucraina in questa devastante guerra testimoniano la forza
di un popolo libero che lotta per la sua sopravvivenza contro un brutale
dittatore. L’invasione di Putin può creare pericolosi precedenti per
altri aspiranti aggressori e la difesa dell’Ucraina per altri paesi
liberi e indipendenti. L’Ucraina ci ispira a fare tesoro delle nostre
libertà e a riconoscere i sacrifici che richiedono”.
Da un centro
studi sarebbe lecito attendersi un approccio più equilibrato, meno
incline a slogan “scongelati” dal freezer della Guerra Fredda. Ma non
c’è nulla da fare, la tendenza dominante oggi in Occidente è la piena
militanza all’insegna del “Credere e Obbedire”.
Libertà e Democrazia
Persino
ai tempi dell’URSS e del Patto di Varsavia il confronto era più pacato,
argomentato, strutturato e all’epoca c’erano davvero i filo-sovietici,
comunisti sostenuti e finanziati dal Cremlino.
Eppure già ben prima
dell’attacco russo del 24 febbraio, era evidente che l’Ucraina non
potesse venire considerata un paradiso della democrazia e dei diritti
umani e civili, come abbiamo raccontato su Analisi Difesa fin dal giugno
scorso: 79° posto nel Global Democracy Index 2020 redatto da The
Economist, 92° (dietro alla Birmania) nel Ranking of Countries by
Quality of Democracy stilato nel 2020 dall’Università di Wurzburg, 122°
su 180 nel Corruption Perceptions Index che nel 2021, 98° posto nello
Human Freedom Index, 130° nella classifica delle libertà economiche e
106° nel 2022 nella classifica della Libertà di Stampa redatta da
Reporter Sans Frontiéres (dietro a Gabon e Ciad).
Si tratta di
classifiche stilate prima dell’inizio dell’attacco russo e quindi prima
che il governo ucraino ponesse fuori legge 12 partiti (incluso il
secondo per consensi elettorali), reprimesse più duramente la stampa
(l’ultima legge-bavaglio è del 30 dicembre 2022) e punisse i reati di
opinione, incluso quello di contraddire la narrazione ufficiale sulla
guerra che di fatto impedisce a chiunque di parlare del conflitto in
termini di guerra civile.
Termine idoneo a un conflitto in atto da 9
anni e che vede milioni di ucraini vivere nei territori in mano ai russi
o fuggiti in Russia e decine di migliaia di combattenti ucraini
combattere al fianco dei russi. Ma parlare di guerra civile è vietato
dal regime di Kiev e anche quasi tutti i media occidentali si sono
adeguati,
Credere e Obbedire!
Il trionfo della propaganda
Del
resto con la guerra in Ucraina se ne sono viste e sentite di tutti i
colori. Opinionisti a conoscenza del tasso alcoolico dei carristi russi e
giornali on-line che propongono un’intervista sulla caduta del governo
Draghi ma solo se viene attribuita alle “ombre russe”; per radio, TV e
giornali i militari russi sono sempre criminali, incapaci, ubriaconi e
codardi, i loro bombardamenti sono sempre indiscriminati e contro i
civili e i loro generali sono sempre stati soprannominati “macellai” in
Siria.
E se qualcuno fa notare tali eccessi è un “filorusso” e un
“putiniano”, bersaglio delle liste di proscrizione redatte da qualche
giornale e dei centri studi che realizzano analisi preoccupate per il
peso e l’influenza della propaganda russa in Italia. Che certo esiste ma
dovrebbe preoccuparci almeno quanto quella, molto più strutturata e
influente, dei nostri “alleati”.
Basti osservare che ogni notizia
diffusa da fonti ucraine è stata raccontata come un fatto assodato anche
quando era palesemente forzata o inattendibile mentre quelle diffuse
dai russi vengono citate solo se è possibile smentirle o se ammettono
perdite e sconfitte.
Per non correre rischi, i media russi sono stati
subito bannati e censurati in un’Europa che è così sicura dei propri
valori e principi liberali e democratici su cui dice di fondarsi da
temere persino il confronto con la narrazione altrui.
Da quando la
città di Kherson è tornata sotto il controllo degli ucraini ogni giorno
agenzie e giornali riprendono le notizie da Kiev dei bombardamenti russi
che colpiscono sempre e solo civili e ospedali: la stessa città è stata
sotto il fuoco dell’artiglieria ucraina per sette mesi quando era sotto
controllo russo, al punto che migliaia di civili sono stati fatti
evacuare ma di quei bombardamenti non parlava nessuno.
In più
occasioni le foto dei bombardamenti ucraini sulla città di Donetsk,
capitale dei secessionisti del Donbass, sono state utilizzate dai media
italiani ed europei con didascalie che descrivevano bombardamenti russi
su città ucraine.
Ogni ritirata russa è una disfatta totale e ogni
progresso ucraino una vittoria folgorante. Le brigate ucraine mandate al
massacro a Soledar e Bakhmut sono un tema trattato solo da qualche
testata anglosassone e la sconfitta delle forze di Kiev in questi
settori viene ignorata o sminuita nella sua entità. I combattenti del
Gruppo Wagner sono “mercenari”, europei e americani che combattono con
l’uniforme ucraina “volontari”.
Credere e Obbedire!
Buoni e Cattivi
La
narrazione di un anno di guerra in Ucraina l’ha dettata la NATO con le
sue ossessive note di linguaggio che definiscono in ogni discorso o
documento ufficiale l’aggressione russa all’Ucraina “brutale” e “non
provocata”. I nostri media si sono rapidamente e per la stragrande
maggioranza adeguati: nessun dubbio, nessuna valutazione, nessuna
analisi deve mettere in discussione il verbo diffuso a piene mani dai
principali giornali e da TV.
Persino i dogmi politically correct sono
stati sacrificati sull’altare della causa giallo-blu: resta vietato
discriminare le persone per la loro etnia, il colore della pelle o la
religione ma atleti e artisti vengono banditi da competizioni ed
esibizioni solo perché russi e potranno forse ricevere qualche
indulgenza solo abiurando la loro colpa.
Putin
Il governo
lituano è arrivato a lamentare che le regole contro i “messaggi d’odio”
che impediscono di apostrofare adeguatamente i russi sui social media.
Persino il premio Pulitzer Seymour Hersh è stato messo alla berlina (un
altro “putiniano”?) quando ha osato realizzare un’inchiesta che indica
negli Stati Uniti e in alcuni loro alleati del Nord Europa i
responsabili degli attentati ai gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico,
vicenda su cui è stranamente calato un silenzio assordante.
Censure,
attacchi personali e liste di proscrizione contro chi osa contestare
narrazione del mainstream non sono peraltro una novità, le prove
generali vennero messe a punto durante l’epidemia di Covid 19, come
evidenziammo oltre un anno or sono.
Anche oggi le poche eccezioni al
dilagante “pensiero unico” dettato da un orwelliano “Ministero della
Verità” hanno dimostrato che si può fare informazione ascoltando più
campane, valutando più aspetti, allargando gli orizzonti per comprendere
e trovare soluzioni e risposte, rinunciando a un grottesco tifo da
stadio.
Ci siamo sorbiti propaganda e fake-news su una dozzina di
malattie letali che avrebbero portato entro breve alla tomba Putin e
Lavrov, previsioni che davano l’economia russa al collasso dopo poche
settimane di sanzioni, il bollettino quotidiano dei servizi segreti
britannici (tipico prodotto delle Psy Ops il cui scopo è influenzare
l’opinione pubblica) ci disse già nella tarda primavera del 2022 che i
russi stavano esaurendo i missili.
E poi il “revival” di alcuni
classici della propaganda bellica come gli stupri programmati, il
bombardamento di scuole e ospedali, le stragi dei bambini nelle
incubatrici e la distribuzione di viagra ai soldati russi perché
violentassero più ucraine possibile.
I più attenti ricorderanno che
le stesse notizie erano state fatte filtrare nei confronti dei soldati
iracheni in Kuwait, dei miliziani dell’Isis e delle truppe libiche di
Muammar Gheddafi: cioè tutti i “cattivi” di turno.
Certo, anche in
Russia e in Ucraina i media si sono prestasti alla propaganda
governativa ma a Mosca come a Kiev, vale la pena ricordarlo, vi sono
leggi che puniscono severamente chi diffonde “disinformazione” anche
perché si tratta di nazioni in guerra mentre in Europa (per ora) non lo
siamo.
Invece di spiegare gli aspetti complessi, di fare inchieste e
approfondimenti, l’informazione si è in molti casi messa al servizio
della propaganda che ha invece il compito di semplificare gli aspetti
complessi per trasformarli in slogan e note di linguaggio.
Credere e Obbedire!
Aggressori e aggrediti
La
più importante in questa guerra è la distinzione tra “”aggressori e
aggrediti”, cioè tra i russi e gli ucraini che dovrebbe indurre tutti
noi a separare meglio i “buoni” dai “cattivi”.
Se consideriamo la
guerra in Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022 gli aggressori sono i
russi ma se andiamo a ritroso solo di una decina di giorni qualche
dubbio potrebbe coglierci poiché le truppe di Kiev iniziarono a
bombardare pesantemente i territori del Donbass in mano ai
secessionisti. I russi sostengono si trattasse della preparazione
all’offensiva contro i territori in mano ai filo-russi, Kiev nega.
Se
andiamo indietro fino al 2014, passando dalla violazione degli accordi
di Minsk, dalla secessione del Donbass e dalla discriminazione dei russi
d’Ucraina dopo il golpe/rivoluzione del Maidan voluto e pilotato da
Stati Uniti e alcuni alleati NATO (che non a caso hanno infarcito di
loro consiglieri e qualche ministro il governo di Arseny Yatsenyuk)
diventa più difficile attribuire nettamente le patenti di “aggressore” e
“aggredito”.
Ancor di più se si ripercorrono tutti i tentativi russi
di negoziare con USA e NATO lo stop all’ampliamento all’est
dell’Alleanza Atlantica e la realizzazione delle basi missilistiche
americane in Europa Orientale, ufficialmente per proteggerci contro i
missili balistici iraniani!
Certo, tutti temi complessi che
richiedono illustrazioni articolate e quanto meno un po’ di memoria
storica: ingredienti odiati da propagandisti e censori sempre a caccia
di formule che semplifichino i concetti e additino chiaramente il
nemico.
Se così non fosse la dilagante propaganda USA/NATO avrebbe
colto tutti i rischi di autogoal insiti nella formula “aggressore e
aggredito”. Perché se in Ucraini i cattivi sono i secessionisti del
Donbass come facevano quelli del Kosovo (provincia della Serbia agli
effetti del diritto internazionale) a esseri buoni?
E se la
secessione delle province russofono e filò-russe del sud est ucraino è
illegale come può essere invece legale che il Kosovo sia divenuto
indipendente e si sia candidato a entrare nella UE e nella NATO? Se i
russi sono gli “aggressori” in Ucraina allora dobbiamo essere pronti ad
accettare che dal Balcani all’Afghanistan, dall’Iraq alla Libia, gli
aggressori eravamo noi.
Una narrazione “fanciullesca”
Del
resto affrontare temi quali guerra, geopolitica e interessi nazionali
con gli occhi di un fanciullo che ha bisogno di distinguere i buoni dai
cattivi non ci aiuterà a uscire da una guerra in cui gli europei
recitano il ruolo di un gregge di comparse e di cui sono le prime
vittime in termini economici e di sicurezza.
“Credere e Obbedire” ma non “Combattere”!
Quello
lo lasciamo fare volentieri agli ucraini con le armi che doniamo loro.
Sosteniamo che combattono per noi, per la Democrazia e la Libertà ma il
risultato è “Armiamoci e partite!” Eppure molte delle testate oggi
prone alle note di linguaggio scritte da USA e NATO e genuflesse davanti
ai proclami di Zelensky (anche quando insulta politici italiani) sono
le stesse che fino a un anno or sono pubblicavano inchieste, interviste e
reportage che riferivano della deriva nazista e illiberale dell’Ucraina
post 2014.
Difficile dimenticare che prima del 24 febbraio 2022
abbondavano analisi e interviste a tanti politici ed esperti che non
esitavano a evidenziare la necessità di tenere conto delle richieste
russe in termini di sicurezza dei loro confini e a criticare
l’allargamento a est della NATO come fattore di provocazione militare
nei confronti di Mosca.
Non tutti i media hanno accettato
l’omologazione né tutti i giornalisti anche se duole notare come una
lettera aperta che critica aspramente la deriva propagandistica
dell’informazione italiana pubblicata a inizio gennaio sia stata firmata
solo da 10 reporter di guerra, tutti nomi di grande prestigio, ma quasi
tutti da tempo in pensione.
Il problema certo non è solo italiano.
Sul britannico The Guardian, il 13 maggio 2014 John Pilger scriveva: “In
Ucraina, gli Stati Uniti ci stanno portando alla guerra con la Russia.
Il ruolo di Washington in Ucraina e il suo sostegno al regime neonazista
ha gravi conseguenze per il resto del mondo”.
Il nazismo ignorato
Il
tema del nazismo in Ucraina e delle sue radici storiche è stato
trattato da molti media negli otto anni trascorsi tra il 2014 e
l’attacco russo (Analisi Difesa se ne occupò già nel febbraio 2014 con
l’editoriale “Quei nazisti ucraini che piacciono tanto a NATO e Ue”)
dopo il quale invece è diventato tabù, specie per i media italiani.
Il
tema merita approfondimenti senza preconcetti perché in Ucraina come
nelle Repubbliche Baltiche le truppe del Terzo Reich nel 1941 vennero
accolte da molti come i liberatori dall’occupazione sovietica stalinista
e in Ucraina continuò fino al 1956 la resistenza ai sovietici dei
seguaci di Stepan Bandera, la cui figura è stata recentemente resa più
presentabile anche con la modifica di migliaia di pagine web.
Tema
dolente quest’ultimo, che dovrebbe indurci a rivalutare la “vecchia”
carta stampata, almeno finché non tornerà di moda bruciare i libri come
già si fa in Ucraina con quelli scritti in lingua russa. Da un anno i
nostri media hanno affrontato il tema del nazismo ucraino (cavalcato
dalla propaganda russa) semplicemente negandolo nonostante reggimenti e
brigate di Kiev si ispirino ai reparti di SS degli anni ’40.
C’è
persino chi ha celebrato il reggimento Azov assediato a Mariupol
(ennesima battaglia raccontata a senso unico) paragonandoli ai 300
spartani alle Termopili e negandone la fede nazista. Le immagini diffuse
dai russi dopo la caduta dell’Azovtsal hanno mostrato citazioni e
simboli hitleriani tatuati sui corpi dei combattenti ucraini e
stranieri. Immagini scivolate via senza commenti e approfondimenti, in
gran parte oscurate dalla censura contro le TV russe.
Credere e Obbedire!
Decorati da Zelensky
Abbiamo
accettato senza battere ciglio che il direttore del quotidiano
Repubblica, Maurizio Molinari, abbia ricevuto nel novembre scorso dal
presidente ucraino l’Ordine al Merito di III classe per il sostegno
all’Ucraina, come ci ha ricordato il 24 novembre 2022 un articolo dello
stesso quotidiano.
Decorata pere motivazioni analoghe ma con l’Ordine
della Principessa Olga (lo stesso consegnato da Zelensky anche alla
speaker della Camera statunitense Nancy Pelosi) l’inviata del Tg1 in
Ucraina Stefania Battistini.
Che esponenti politici ricevano
decorazioni da Kiev non stupisce considerato il posizionamento di gran
parte dell’Occidente nella guerra in atto ma le medaglie di un
belligerante ai giornalisti italiani dovrebbero suscitare qualche
perplessità anche all’Ordine dei Giornalisti.
Il confine tra
informazione, anche orientata e faziosa, e pura propaganda è stato
ampiamente superato. La piena disponibilità di molti media europei (un
po’ meno in quelli statunitensi, forse perché già bruciartisi con
“l’eccesso di patriottismo” durante le guerre post 11 settembre 2001)
all’assumere una posizione prona di fronte alla propaganda di Kiev e
anglo-americana deve suscitare qualche dubbio.
Specie dopo le
rivelazioni della reporter danese Matilde Kimer (nella foto a lato), che
ha rivelato che i servizi segreti ucraini [SBU] avevano annullato il
suo permesso di lavoro e lo avrebbero restituito solo se avesse
accettato di pubblicare informazioni e immagini fornite dallo stesso
SBU.
Kimer avrebbe dovuto accettare di produrre una serie di “buone
storie” sulla guerra, basate interamente su video e fotografie fornitele
dai servizi ucraini.
La notizia ha avuto un’ampia eco in Danimarca e
in altre nazioni, molto meno in Italia. Eppure qualche domanda dovremmo
forse porcela. Quanti giornalisti hanno subito richieste e diktat
simili a quelli rivolti a Matilde Kimer? La giornalista danese è stata
finora l’unica a denunciare simili pressioni e questo non sembra essere
un buon segno.
A un anno dall’avvio dell’operazione militare speciale
in Ucraina la gran parte dei media continua a propinarci una narrazione
militante e partigiana ma sempre meno aderente alla realtà e
soprattutto priva di elementi fondamentali idonei a tenere in
considerazione gli interessi nazionali e se la postura assunta da Italia
ed Europa in questo conflitto consenta o meno di perseguirli.
Ci
troviamo nel mezzo della prima guerra convenzionale combattuta sul
nostro continente dal 1945 e le sue gravi conseguenze strategiche,
energetiche ed economiche hanno colpito duramente l’Europa e l’Italia
mentre il futuro potrebbe portarci a fare i conti con sviluppi e realtà
concrete ben diversi da quelli prefigurati dalle fanfare
propagandistiche che ci siamo sorbiti finora.
Credere, Obbedire, Soccombere.
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