Covid: l’analisi comparativa di 78 studi demolisce l’uso delle mascherine
Non vi è alcuna evidenza scientifica sul fatto che indossare le mascherine – i cosiddetti dispositivi di protezione individuali delle vie respiratorie – riduca la diffusione delle malattie virali, incluso il Covid-19. È quanto sostiene uno degli studi comparati più ampi e rigorosi pubblicato il mese scorso e condotto per Cochrane, un’organizzazione no profit britannica considerata il punto di riferimento per eccellenza della revisione dei dati sanitari e degli studi scientifici. «Non ci sono prove che [le mascherine] facciano alcuna differenza. Punto», ha detto Tom Jefferson – l’epidemiologo di Oxford, principale autore dello studio – alla giornalista Maryanne Demasi che lo ha intervistato. Le conclusioni di Jefferson sono basate su 78 studi controllati randomizzati, sei dei quali condotti durante la pandemia di Covid-19 con un totale di 610.872 partecipanti di diverse nazioni. Quella pubblicata lo scorso mese su Cochrane è la versione aggiornata dello studio comparato già pubblicato nel novembre del 2020. Lo studio conferma peraltro ciò che è stato chiaramente osservato negli Stati Uniti: gli Stati che hanno imposto l’obbligo di mascherina non hanno ottenuto risultati migliori, in termini di riduzione dei contagi, rispetto agli Stati che non hanno imposto l’obbligo. Di conseguenza, sembrerebbe che l’imposizione dei dispositivi individuali delle vie respiratorie sia stata inutile se non fallimentare.
Secondo Jefferson – che ha condotto lo studio insieme ad altri 11 colleghi – nemmeno il tipo di mascherina impiegata, N95 o FFP2, risulta determinante ai fini del contenimento dell’infezione: «Non fa alcuna differenza, niente di tutto ciò», ha affermato. E riguardo agli studi che inizialmente hanno persuaso i governi a rendere obbligatorio l’uso delle mascherine, l’epidemiologo di Oxford ha affermato che «sono stati convinti da studi non randomizzati, studi osservazionali imperfetti». Jefferson ha inoltre spiegato come, durante la pandemia di Covid-19, Cochrane abbia voluto ritardare di sette mesi la pubblicazione dello studio nell’intento di «minare il nostro lavoro», ha dichiarato Jefferson. Su esplicita domanda della giornalista rispetto al fatto se Cochrane fosse a favore delle mascherine e, dunque, lo studio in questione ne contraddicesse la narrativa, il ricercatore ha risposto: «Sì, penso che sia quello che è successo», aggiungendo anche che «quei sette mesi sono stati cruciali. È stato il periodo durante il quale la politica è stata convinta circa la necessità dell’uso della mascherina. Il nostro studio era importante e avrebbe dovuto essere pubblicato».
Secondo il ricercatore di Oxford, «i governi hanno completamente fallito nel fare la cosa giusta e nel domandare maggiori evidenze scientifiche. All’inizio della pandemia c’erano delle voci che sostenevano che le mascherine non servissero, ma poi rapidamente la narrativa è cambiata». Le parole del ricercatore mettono in evidenza come anche gli studi scientifici possano essere imperfetti, parziali o influenzati da interessi di vario genere e, per tale ragione, il totale affidamento ad una “scienza” inquinata da interessi di potere e commerciali comporta errori anche gravi nell’ambito della salute pubblica. Tali interessi sono stati i principali fattori per cui tutte le voci disallineate rispetto alla narrazione dominante sono state silenziate e e demonizzate, mentre ora sta lentamente emergendo come quella minoranza di “eretici” che si voleva bandire dalle pubbliche discussioni e finanche dalla vita sociale sostenesse tesi ora confermate da rigorosi studi scientifici.
L’Indipendente stesso già nel maggio 2022 aveva pubblicato un articolo di approfondimento in cui si analizzava – attraverso gli studi scientifici a disposizione – la reale efficacia delle mascherine: dopo aver citato una serie di pubblicazioni in cui si sosteneva l’utilità delle stesse, veniva messo in luce come però ve ne fossero altre che, al riguardo, presentavano conclusioni totalmente differenti. In particolare, uno studio pubblicato sulla rivista Medicine, dal titolo “Un meccanismo mediante il quale le mascherine contribuiscono al tasso di mortalità Covid-19”, sosteneva che «indossare mascherine potrebbe comportare un grande rischio per gli individui, che non sarebbe mitigato da una riduzione del tasso di infezione» e che quindi «il loro utilizzo potrebbe essere inadatto, se non controindicato, come intervento epidemiologico contro il Covid-19». La causa di ciò risiederebbe nell’effetto Foegen, ossia nella «reinalazione profonda di goccioline ipercondensate o virioni puri catturati nelle mascherine», che «possono peggiorare la prognosi e potrebbero essere collegate agli effetti a lungo termine dell’infezione da Covid-19».
Ora si ha una prova in più del fatto che gli studi scientifici a sostegno dell’utilità delle mascherine sono stati condotti con metodi non scientificamente “ortodossi” e – probabilmente – influenzati da interessi di varia natura e che l’obbligo di indossare la mascherina imposto dagli Stati sia stato per lo più inutile, specie all’aperto, dove vi erano già una grande quantità di studi che accertavano l’assoluta inutilità. Progressivamente stiamo, dunque, assistendo allo sgretolamento di tutte le misure che hanno sostenuto l’emergenza Covid, sia dal punto di vista giuridico – con diverse sentenze che hanno dichiarato incostituzionali i Dpcm restrittivi della libertà personale – sia dal punto di vista sanitario, con svariati studi che hanno messo in discussione, oltre alle mascherine, l’efficacia dei vaccini chiedendo di rivalutarne in modo più rigoroso rischi e benefici.
[di Giorgia Audiello]
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