Gli effetti avversi sono tantissimi e Pfizer lo sa. Ecco le prove del British Medical Journal
Una rivelazione, quella di Peter Doshi, lanciata, proprio dalle pagine della prestigiosa rivista scientifica British Medical Journal. Il professore di Pharmaceutical Health Services Research presso l’Università del Maryland ed editorialista del BMJ, sta conducendo da tempo una vera e propria battaglia per la trasparenza dei dati grezzi sui vaccini. Mentre la Fda (l’ente regolatorio statunitense) sta rilasciando una serie di documenti, ecco che il professore torna a farsi sentire sugli effetti avversi da vaccino anti-covid.
La pubblicazione dei documenti
Come riportato da Il Fatto Quotidiano, una sentenza del tribunale distrettuale del Texas ha imposto a Pfizer la pubblicazione, a un ritmo di 55.000 pagine al mese, dei documenti relativi al proprio operato sui vaccini anti-covid di loro produzione. Dal 1° marzo scorso, sono già decine di migliaia i documenti resi pubblici. Ma quali sono le ultime novità che questi documenti riservati contengono? Peter Doshi rivela: «Si può leggere che Pfizer – dal lancio di Comirnaty alla fine del 2020 – ha assunto 600 nuovi dipendenti per far fronte al volume di segnalazioni ricevute sugli eventi avversi. Con la revisione di arrivare a 1.800 addetti in più, entro la prima metà del È un numero impressionante per il personale».
Elevato numero di effetti avversi
Queste assunzioni sono strettamente correlate al «preoccupante ed elevato volume di eventi avversi», dice lo scienziato. «Ma la risposta di Pfizer è una buona notizia, è positiva. Ciò che temo, tuttavia, è che le autorità di regolamentazione non abbiano fatto, per quanto ne so, nulla di simile. Mi chiedo: agenzie regolatorie come Fda ed Ema hanno assunto più dipendenti, si sono attivate? La mia impressione è che queste agenzie siano sopraffatte dalle segnalazioni, e non riescano a dar seguito nemmeno a quelle relative a episodi più preoccupanti, quelle inviate al sistema di segnalazione passiva, il Vaers (Vaccine adverse event reporting system)».
La (non) trasparenza degli enti regolatori
Il Fatto Quotidiano domanda al professore cosa ne pensi in merito al fatto che un team di avvocati italiani abbia chiesto all’Ema i dati integrali sulla sicurezza del vaccino, ricevendo però negativa in quanto «i dati sono coperti da “segreto militare”». Doshi risponde perentorio: «Non riesco a concepire alcun argomento etico a favore della segretezza». Lo stesso scienziato aveva precedentemente denunciato sul BMJ un problema di trasparenza dei dati da parte degli enti regolatori: «La Fda è stata costretta a rilasciare i dati di Pfizer, ma non è sufficiente. Che dire di AstraZeneca, Moderna e degli altri vaccini già somministrati? E, per Pfizer, che dire dei dati sui booster? E quelli relativi agli under 16? La Fda non rilascerà questi dati, perché l’obbligo di trasparenza è previsto solo in caso il vaccino sia “pienamente approvato”». Dunque, in Italia si è proceduto ad imporre un obbligo vaccinale utilizzando un farmaco autorizzato in via emergenziale, sul quale non v’è obbligo di trasparenza in quanto l’approvazione, appunto, non è definitiva. Una cosa del tutto assurda, un modo infimo e di giocare con la salute dei propri cittadini.
Lo studio tedesco
Ma veniamo allo studio condotto presso la Charité di Berlino su 40.000 partecipanti, secondo il quale il numero di complicazioni gravi dopo la vaccinazione contro Sars- CoV-2 è stato 40 volte superiore a quello precedentemente riportato, con 8 casi su 1.000 (0,8%) contro 0,2 casi su 1.000 (0,02%). Secondo l’editorialista «Il tasso di 8 complicazioni gravi ogni 1.000 vaccinazioni è decisamente preoccupante e vorrei vedere lo studio. Mi auguro che le autorità di regolamentazione stiano cercando di rivederlo per appurare questa enorme discrepanza. Se confermata, questo studio andrà inserito nelle analisi danni-benefici».
La presa in giro dei booster
Andando al nodo somministrazioni, cosa ne pensa Doshi della
controversa “terza dose”? «Cominciamo con una domanda: perché stiamo
parlando di booster? Nel 2020, prima dell’autorizzazione del vaccino, le
autorità di regolamentazione avevano dichiarato: per l’ok serve almeno
il 50% di efficacia contro la malattia sintomatica. Quindi perché un
booster? Perché l’efficacia dei vaccini è scesa sotto questa soglia? Se
sì, come si concilia con quanto Pfizer ancora oggi riporta
nell’etichettatura ufficiale del siero Comirnaty, ovvero vaccino
efficace al 91,1% “da 7 giorni a 6 mesi dopo la seconda dose”? Ciò
che
conta, a mio parere, non è il picco di efficacia, ma qual è l’efficacia
della protezione quando sono esposto al virus, cosa che può accadere
anche molti mesi dopo la vaccinazione. L’entità del beneficio può
cambiare nel tempo. E resto preoccupato per come è stata studiata la
sicurezza dei booster. Per generare prove di alta qualità, ci si
aspetterebbero ampi studi randomizzati. Il più grande è stato condotto
da Pfizer su 10mila persone, e si trattava di volontari provenienti
dallo iniziale, quello sulle prime due dosi».
L’ammissione del Ceo di Pfizer
Secondo quanto riportato ieri da La Verità, il Ceo di Pfizer Albert Bourla avrebbe detto che il vaccino dura troppo poco, meno di un anno. Dunque, secondo Bourla, anche i prossimi booster dovranno essere ripetuti più volte in un anno. Doshi dichiara che: «I dati suggeriscono che, oggi, la maggior parte delle persone è vaccinata e inoltre c’è anche l’immunità naturale a conferire una protezione significativa contro la malattia grave. I potenziali benefici della vaccinazione oggi sono quindi molto diversi rispetto alla situazione di due anni fa. Tuttavia, i potenziali danni derivanti da dosi aggiuntive di vaccino si aggravano solo con il passare del tempo. Il bilancio danni-benefici deve quindi essere considerato con molta attenzione, e varierà notevolmente a seconda del rischio personale di una persona».
La quarta dose
Sul tema “quarta dose” e sulla sua eventuale somministrazione in
autunno Doshi esprime tutta la sua perplessità: «La domanda per
l’autorizzazione del richiamo di Pfizer contava solo 329 persone, senza
dati di controllo. Tra queste, solo in 12 avevano più di 65 anni. Lo
“standard ” per gli studi sui booster è quindi molto più basso rispetto a
quello richiesto nel 2020, nel pieno dell’emergenza sanitaria
provocata dalla pandemia. Dovrebbe essere il contrario. Le case
farmaceutiche non sono più
tenute a dimostrare che lo dosi di richiamo portino effettivamente a benefici maggiori per i pazienti. I
booster vengono di fatto autorizzati in base al modo in cui modificano i livelli di anticorpi».
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