18 Giu 2022
Dopo Azovstal, la fabbrica Azot a Severodonetsk: questi civili, ostaggi di Kiev e dell’Occidente
Fonte: ControInformazione
https://www.controinformazione.info/dopo-azovstal-la-fabbrica-azot-a-severodonetsk-questi-civili-ostaggi-di-kiev-e-delloccidente/ Lo
scenario Azovstal si ripete. Centinaia di civili intrappolati nei
bassifondi della fabbrica Azot di Severodonetsk, vietata l’uscita,
tenuti come scudo umano dai soldati ucraini e dai numerosi mercenari
stranieri e sempre questi media allineati che si rifiutano di parlare di
“ostaggi” mentre
preferiscono parlare soltanto di civili “rifugiati”, attaccati dalla malvagia Russia.
Evidentemente
il cinismo non conosce limiti, soprattutto quando si ascoltano le
testimonianze di chi ha saputo salvarsi – e non vuole tornare a tutti i
costi.
Il 10 giugno due donne , Anna e Alina, e tre bambini di due, cinque e otto anni sono scappati a piedi dalla fabbrica di Azot per rifugiarsi presso l’esercito russo. Secondo loro in fabbrica sono presenti molti stranieri, ma è difficile dire quanti, perché separati dai civili. Quando volevano partire, i soldati ucraini gli hanno impedito di farlo, non è stata fornita alcuna informazione sulla possibilità di partire attraverso corridoi umanitari e gli ucraini hanno proibito ai loro mariti di portare loro rifornimenti.
A quel tempo, proprio come in Azovstal, i “rifugiati” di Azot divennero ostaggi. E questo è legalmente un crimine di guerra. Un altro dei tanti.
Quando la Russia mercoledì ha offerto all’LNR un corridoio umanitario per la città di Svatovo, per far uscire i civili in sicurezza dalla fabbrica di Azot, l’esercito ucraino ha iniziato in mattinata a bombardare il corridoio e gli alloggi da Severodonetsk. Perché preoccuparsi, dal momento che i media e i politici occidentali ti coprono comunque e si coprono allo stesso tempo con lel loro bugie.
Per illustrarlo, questo articolo dell’Express , che riprende per quanto riguarda la fabbrica Azot di Severodonetsk, esattamente la stessa retorica dell’Azovstal a Mariupol.
Alla fabbrica dell’Azot non sono “ostaggi”, ma “rifugiati” – loro malgrado, come ad Azovstal:
“Il destino che subiscono attualmente le centinaia di profughi ucraini nell’enorme fabbrica Azot di Severodonetsk sembra in tutto e per tutto simile all’inferno vissuto dai civili e dai soldati trincerati da settimane nelle acciaierie di Mariupol”.
Il corridoio umanitario non è adatto, perché non consente l’esfiltrazione di stranieri, per questo è descritto come “controverso” e il giornalista trova normale che, a priori, l’Ucraina non lo rispetti. Va tutto bene.
Lo scenario si lascia trasportare e sale di un altro gradino: i neonazisti del battaglione Azov, sono eroi da prendere ad esempio, che ovviamente esaltano l’anima patriottica e il rispetto dei “giornalisti”:
“Volontà di resistenza intatta da parte dei soldati presenti, guidati dall’esempio dei loro compatrioti del reggimento Azov di Mariupol, oggi prigionieri dei russi”.
E nulla ferma il cinismo, quando i civili, che sono riusciti a uscire da questo inferno, spiegano che i soldati hanno impedito loro di partire, che non avevano informazioni sui corridoi umanitari, i parodisti del giornalismo francese osano ancora:
“Da parte ucraina non c’è speranza di successo, ma vite da salvare, quelle delle centinaia di civili intrappolati nei capannoni delle fabbriche”.
Tra
le bombe, del tutto inaspettatamente, ieri è potuto passare un anziano
(ovviamente non sapeva di essere un “rifugiato”) ed è potuto uscire
verso l’esercito russo. Ha detto che nessuno li ha informati della
possibilità di uscire. E poi si è rifiutato di tornare per informare gli
altri: “se torno non torno più”.
Mi piacerebbe molto avere un commento su Jean-Clément Martin Borella, che ha scritto questa famigerata prosa per l’Express.
Ostaggi, scudi umani, mercenari stranieri, siamo di fronte allo stesso cocktail devastante di Azovstal, con la stessa cecità di leader stranieri, ovviamente totalmente coinvolti, e pseudo-giornalisti agli ordini, meglio addestrati dei barboncini da salotto.
Karine Bechet-Golovko
Fonte: Russie Politics
Traduzione: Gerard Trousson
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