Articolo pubblicato con l’autorizzazione ad libitum dell’editore della testata.
Per accedere alle fonti originali e agli approfondimenti, vedere grafici, foto, mappe e video, cliccate sul link che troverete a inizio articolo.
I miti duri a morire uccidono gli uomini: Andrei Kurkov e la sua Ucraina
https://www.miglioverde.eu/i-miti-duri-a-morire-uccidono-gli-uomini-andrei-kurkov-e-la-sua-ucraina/
di PAOLO L. BERNARDINI
Di passaggio per Milano Centrale, e di corsa per Linate – nella mia vita sempre in viaggio, in attesa dell’ultimo, e preparandomi all’ultimo, che si fa proverbialmente da soli, essendo sempre solo – mi fermo da Feltrinelli. Cerco in verità l’ultimo libro di Sergio Romano – “Il suicidio dell’URSS”, Teti Editore – perché oggi, 12 aprile, devo presentarlo ad Amburgo in un pomeriggio organizzato dal mio ateneo, l’Insubria, e dal CERM, Centro sulle Minoranze, valorosamente diretto dalla collega Paola Bocale.
Non trovo però il libro di Romano, esaurito di già. Siccome per principio non esco mai da una libreria senza aver acquistato un libro (o da un’enoteca senza una bottiglia di vino) ne prendo uno in fretta e furia. “Diari ucraini”. Autore, Andrei Kurkov. Editore Keller. Nella mia ignoranza non conoscevo Kurkov. Uno sguardo alla sua biografia mi fa capire che – potrei scommetterci – vincerà presto il Premio Nobel. Tradotto in 25 lingue, prolifico e vario, senz’altro ironico, acuto, intelligente. E devo dire che questo diario è avvincente. Racconta le vicende del colpo di stato del Maidan: eterodiretto dagli USA e dall’Europa. Tra fine 2013 e primavera 2014, fino alle elezioni d’estate. La premessa di quel che succede ora. Giorno per giorno, con buona dose di ironia e auto-ironia.
Lo consiglio perché si capisce – anche se da una prospettiva “europeista”, molto politicamente corretta, insomma “accettabile” dal bieco conformismo morale e intellettuale vigente – come si siano formate le premesse per la guerra odierna. Lo scrittore è intelligente, bonario, superattivo ma anche con inclinazioni molto slave alla pigrizia e al godersi la vita, i vini e i cognac della Crimea – quindi fino ad allora ucraini – e il resto.
Certamente, però, vi vigono mitologie davvero strazianti. Intanto, non si guarda con la necessaria attenzione agli impulsi “federalistici” ben presenti già da allora, ma già da molto prima, nella politica ucraina. Una federazione, ancor meglio una confederazione, avrebbe rispettato infinitamente di più la conformazione storica, prima che geografica, di quest’immenso paese, inferiore solo alla Russia per dimensioni, in Europa, e se consideriamo la Russia come parte dell’Europa. Il 17 marzo 2014 Kurkov scrive che ha dovuto bloccare su Facebook russi che lo insultavano, perché attaccava Putin, ma soprattutto perché difendeva la “integrità territoriale” dell’Ucraina: “Strano che una persona che si schiera a favore dell’integrità territoriale del proprio Paese e contro l’aggressione di una nazione confinante venga definita nell’altro stato come un traditore!” (p. 196).
Ora, se il referendum di Crimea fosse stato replicato nel Donbass, avremmo questo macello? Forse no.
Il mito della “integrità territoriale” è duro a morire, ma intanto fa morire genti all’infinito.
E allora la vecchia maledizione della costituzione del 1791 francese la dovremo soffrire per sempre? Ma per sempre? Ad Odessa – città che mi è cara perché molto genovese, almeno dalla sua fondazione nel tardo Settecento, tanto quanto torinese è San Pietroburgo, di quasi un secolo più anziana – su di un muro di protezione anti-carro, improvvisata, e l’hanno vista in tutto il mondo, campeggia la scritta “Liberté égalité fraternité”. Tutti figli del 1789 francese? A quando le ghigliottine? Se un dipartimento, un “oblast”, una realtà astratta, decide, attraverso i suoi vivi (finché rimangono tale) componenti-cittadini, il passaggio ad un’altra compagine politica, perché occorre inneggiare al morto mito della “integrità territoriale”, assurdamente presente nella costituzione ucraina? Sono questi i sedicenti eredi della tradizione “liberale” europea? Vogliono entrare nell’Unione Europea perché è come loro: vedi la Catalogna. Vedi la Corsica. Del Veneto non parlo perché l’indipendenza del Veneto, o della Sardegna, sono rimasto solo io a volerla, temo. E chi legge questo giornale, e chi in esso vi scrive.
Viktor Fedorovyč Janukovyč, il presidente deposto nel 2014, aveva parlato di una “federalizzazione” del Paese, come ci ricorda qui spesso Kurkov (vd. p. 139). E lo stesso bravo scrittore mille volte parla delle grandi differenze almeno tra Ucraina Ovest e Est, lasciando perdere la Crimea. Come in Italia, parlare di indipendenza, autodeterminazione, scissione, separazione, secessione, equivale dunque a bestemmiare?
E così la Grande Mietitrice si rimette, con alto senso professionale, e forse un pochino di mestizia, all’opera. Lo fa da secoli per le medesime cause. Il Dio della “integrità territoriale” esige sacrifici umani. Sarebbe tutto molto mistico. Ma in realtà come nella Francia del 1791 vi sono biechi interessi di pochi – di carattere economico, esistono gli oligarchi russi ma anche quelli ucraini, pure questi con ville sul lago di Como e yacht favolosi – dietro al mito della “integrità territoriale”. Ci si arricchisce di più tenendo il tutto unito. Tanto la secolarizzazione ha trasformato lo “In nome di Dio”, in un “In nome dello Stato”, che ovviamente non si può scindere, unito come lo Spirito Santo, Dio Padre e il Figlio. Eppure Cristo stesso prima di morire disse, “Prendete, e mangiatene tutti, questo è il mio corpo…” Si era separato da una parte di sé senza battere ciglio.
E così, morte, distruzione, distruzione e morte. Requiescant in pace. Ma tutti, ucraini e russi.
Nessun commento:
Posta un commento