Il terzo bagno: anche in Italia la polizia morale arriva dalle università
Il caso Bocconi: il sarcasmo sui bagni gender neutral costa caro a tre studenti. L’ipocrisia dell’inclusione anche verbale, morale e modale a tutti i costi
© jarino47, Photitos2016, Pio3 e Curtis Adams tramite Canva.comPremessa importante: astenersi dalla lettura bigotti e timorati, la scrivente è portatrice sana di “patafiocca”, gradisce “il pesce” e pensa di essere di genere femmina, essere vivente biologicamente femmina, con organi riproduttivi femminili, e se dovesse scegliere un bagno all’Università Bocconi di Milano sceglierebbe quello per le femmine, quello con la donnina col vestitino stilizzata sulla porta.
Ciò detto, questa è la storia delle storie, il soggetto per un film horror da Oscar: il Terzo Bagno. Polansky, ma forse anche Maccio Capatonda, ci andrebbero a nozze.
I fatti
Succede che in questo noto e prestigioso ateneo, tre studenti sono stati sottoposti a procedimento dalla commissione disciplinare dell’istituto per aver commentato sui social la notizia che la loro università, la Bocconi appunto, aveva inaugurato i bagni “no gender”, cioè quei bagni dove decide di andare chi, per ormai enne mila motivi, tutti sdoganati fino allo sfinimento, personali, psichiatrici, sociali, fisici, ideologici, non si riconosce, non si identifica, nei due generi canonici di maschio e femmina.
Sospeso 1, Sospeso 2 e Sospeso 3, che poveretto è il più sfigato perché è stato sospeso per essere stato taggato in un commento, hanno avuto l’ardire di commentare “dove buttiamo i nostri soldi”, “può piacerti chiunque ma l’orientamento sessuale è una cosa, il sesso biologico un altro, se hai il pesce resti maschio, se hai la patafiocca resti femmina e vai nel bagno adatto”. E poi: “Li userò ma non per andare al bagno, per andare a trans”. Replica: “Me lo consigli?”.
Apriti cielo. Ne è nata una battaglia ideologica e politica, una crociata politicamente corretta di deriva woke che è stata lanciata dal profilo Instagram di Proletariato Bocconiano e poi la questione è deflagrata dai microfoni de La Zanzara di Cruciani e Parenzo e da lì, in volata, sui giornali.
La sospensione di ben sei mesi sarebbe stata decisa poiché risulta violato dagli studenti il codice d’onore della Bocconi, che si firma, esattamente come un contratto tipo i contratti bondage sadomaso americani, all’iscrizione. Forse anche col sangue, non è dato sapere.
Polizia morale
Ora, scherzi a parte, riepilogato l’antefatto per chi non avesse seguito la vicenda, quello che ci si deve domandare è: dove si colloca la soglia tra pensiero pubblico e comportamento pubblico e pensiero privato e comportamento privato? I pensieri espressi da uno studente su un social sono pubblici e legati alla scuola che frequenta o sono privati e può esprimerli come vuole dove vuole? Che vale anche per un lavoratore fuori dal luogo di lavoro e per chiunque, oggi a loro domani a noi…
Per definizione, il codice di condotta si chiama codice di condotta interno, che vuol dire che è vincolante all’interno dell’istituzione scolastica che lo ha emanato. Ma fuori? Fuori siccome sei un bocconiano non hai diritto di esprimerti liberamente? Perdi il diritto di critica? Qualcosa non torna, o la pretesa è eccessiva e si atteggia ad emanazione ultra moenia di un’ideologia, un credo, come fosse l’adesione a una setta, oppure esiste alla Bocconi una sorta di polizia morale tradotta in un regolamento che ti segue ovunque come se avessi preso i voti.
Da quello che si evince dalla vicenda, poiché i commenti sono stati cancellati e il procedimento disciplinare è stato svolto a porte chiuse, le ricostruzioni portano ai commenti suindicati.
L’ipocrisia dell’inclusione
Un po’ pochino per rovinare una carriera universitaria, specie a fronte di una retta non proprio economica. È questa ipocrisia dell’inclusione anche verbale, morale e modale a tutti i costi che sta letteralmente mangiando i cervelli della gente e che fa male alla società, non due battutacce, neanche tanto triviali, in un commento su Instagram.
Alcuni studenti, alcune persone, alcuni attivisti, si sentiranno sempre fuori posto finché si continuerà a dire loro che hanno diritto ad un bagno per “diversi”, perché alla fine questo è, in questo si trasforma in un bagno per persone che si ghettizzano da sole. Perché è una forma di auto-discriminazione e non di libertà dover costantemente sottolineare, ostentare e dichiarare la propria difficoltà a questo e a quello e pure al luogo dove andare ad espletare le funzioni corporali, che sono uguali per tutti.
Eppure, certe istituzioni di istruzione superiore hanno anche lo scopo di insegnare a convivere pacificamente con la libertà, ma se qualcuno che ti deve insegnare anche a pensare liberamente decide per te cosa oggi è socialmente accettabile pensare e di conseguenza esprimere al posto tuo, dove finisce la libertà che vuoi insegnare?
Ah, al terzo bagno, quello dove alla fine, senza tanti turbamenti ideologie, politica e patemi, vai semplicemente perché gli altri due sono occupati, l’unico bagno veramente adatto.
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