L’Italia ha mandato all’aria la più grande riforma strutturale degli ultimi 40 anni, di Davide Gionco
Fonte: ITALIA E IL MONDO, GEOPOLITICA E STORIA
L’Italia ha mandato all’aria la più grande riforma strutturale degli ultimi 40 anni
di Davide Gionco
Da quando esiste l’Unione Europea non fa che ricordarci, un giorno sì e l’altro pure, di attuare le famose “riforme strutturali”. Come “riforme strutturali” sarebbero intesi degli investimenti oculati che consentano di mettere insieme l’equilibrio di bilancio pubblico e la realizzazione di interventi che portino a dei vantaggi economici permanenti per il paese.
Dopo di che la stessa Unione Europea, da sempre, propone e impone (si noti il numero di raccomandazioni ai vari paesi dal 2011 al 2018)
delle “riforme” che hanno dimostrato di non sortire questi risultati,
come privatizzazioni e tagli dei servizi pubblici, della sanità, del
sistema pensionistico. Queste riforme in realtà ingrassano gli incassi
degli investitori finanziari che operano in questi settori,
sistematicamente a spese dei cittadini, che si ritrovano con servizi di
peggiore qualità e più costosi.
E’ purtroppo noto che a Bruxelles operano 12’500 lobbisti registrati
ufficialmente, più molti altri che operano in modo non ufficiale. Oltre a
questi ci sono quelli che operano a Francoforte, sede della BCER. Tutti
questi lobbisti operano con lo scopo di portare vantaggi
all’organizzazione che rappresentano, mentre evidentemente i cittadini
non dispongono di lobbisti che rappresentino i loro interessi.
Lo scandalo che ha coinvolto la ex-vicepresidente del Parlamento Europeo
Eva Kaili è molto probabilmente solo la punta dell’iceberg. Basti
ricordare che l’ex-presidente della Commissione Europea Manuel Barroso ,
non appena concluso il suo mandato nel 2014, diventò immediatamente un
alto dirigente della Goldman Sachs. Senza parlare degli ordinativi di
vaccini anti-covid per miliardi di euro fatti per da parte dell’attuale
presidente Von der Leyen tramite degli SMS privati.
Ma non è di questo che vogliamo parlare. Lasciamo ai lettori, con un
accorato invito ai giudici, di occuparsi degli scandali all’interno
delle varie autorità europee.
Parliamo invece delle vere riforme strutturali.
La fine affrettata del Superbonus 110%
Il Superbonus 110% portava in sé degli aspetti fondamentali che
avrebbero permesso a chi ci governa di realizzare la più grande riforma
strutturale degli ultimi 30 anni. Anzi, se ci limitiamo alle riforme di
tipo economico-finanziario, c’erano tutti i presupposti per la più
grande riforma strutturale dai tempi dell’unità d’Italia.
L’aspetto fondamentale di questa riforma mancata non riguardava la
finalità ecologica del provvedimento (isolamento degli edifici,
risparmio energetico, riduzione delle emissioni di CO2), ma riguardava gli effetti del provvedimento sul bilancio dello Stato.
Per la prima volta nella storia era stato adottato un provvedimento che,
strutturalmente, consentiva di non pesare negativamente sul bilancio
dello stato, pur portando molti benefici ai cittadini privati. Anzi, con
opportuni accorgimenti il provvedimento avrebbe consentito di
realizzare degli attivi di bilancio strutturali negli anni a venire,
tali da portare ad una progressiva riduzione del debito pubblico.
Oltre a questo gli effetti sull’economia reale del Paese portati dal
Superbonus, anche se limitati nel tempo, hanno dimostrato tutto il
potenziale di aumento strutturale dell’occupazione in Italia. Se il
provvedimento fosse stato esteso anche ad altri settori dell’economia,
oltre a quello rapidamente saturato dell’edilizia, si sarebbe potuti
arrivare in pochi anni a creare i 5-6-7 milioni di posti di lavoro
necessari per eliminare la disoccupazione in Italia, così come si
sarebbe potuto conseguire il necessario graduale aumento degli stipendi,
in un paese (l’Italia) in cui gli stipendi reali sono inferiori a
quelli di 20 anni fa e in cui il tasso di inflazione sta erodendo
drammaticamente il potere di acquisto dei lavoratori.
Come noto prima il governo Draghi e poi l’attuale governo Meloni
hanno posto fine in modo affrettato al provvedimento. Come spesso accade
in Italia, i mezzi di informazione non hanno aiutato a fare chiarezza
su quanto accaduto. Non sono stati evidenziati i punti di forza del
provvedimento che avrebbero consigliato di mantenerlo e non sono stati
evidenziati i punti deboli che bastava semplicemente correggere. Il
settore dell’edilizia tornerà nella crisi in cui si trovava da oltre 10
anni.
In questo articolo cerchiamo di fare chiarezza e di spiegare perché
l’Italia, senza che i nostri governanti se ne rendessero conto, ha perso
una occasione di storica riforma strutturale della propria economia.
I componenti della misura Superbonus 110%
Il Superbonus 110% è stata una misura di stimolo fiscale dell’economia italiana costituita dai componenti seguenti :
- Un meccanismo innovativo di finanziamento.
Lo Stato concede ora degli “sconti fiscali” che stimolano la crescita
economica. Lo fa senza spendere nulla ora. Gli “sconti fiscali” sono
cedibili a terzi. Quindi anche dei soggetti fiscalmente non capienti
sono in grado di usufruire dei benefici economici del provvedimento. La
possibilità teorica di cedere in modo illimitato, e trasparente, i
crediti fiscali consente a chi commissiona i lavori di usare i crediti
fiscali per pagare i lavori alla ditta. In seguito consente alla dita di
usare quei crediti fiscali per pagare i propri fornitori. E così via,
fino a che, negli anni a seguire, poco alla volta quei crediti fiscali
verranno “spesi” per pagare le tasse. In quel momento futuro lo Stato
registrerà effettivamente una riduzione degli introiti fiscali pari allo
sconto fiscale emesso anni prima, ma nel frattempo la cessione plurima
dei quei crediti fiscali avrà portato ad una maggiore emersione di
fatturato imponibile per le varie imprese, al punto che l’aumento di
introiti fiscali innescato compensa e supera i futuri ammanchi per gli
sconti fiscali.
E’ quello che, tecnicamente, viene chiamato moltiplicatore fiscale.
Un centro studi economico serio e conosciuto come Nomisma ha quantificato i crediti fiscali emessi a 71,8 miliardi di euro (non di spese attuali per lo Stato, ma di future minori entrate) ed ha quantificato l’impatto economico benefico sull’economia a 195,2 miliardi di euro, tale da assicurare maggiori entrate fiscali per lo Stato tale da compensare largamente le minori entrate previste.
Il concetto importante da comprendere che il meccanismi che consente la sostenibilità fiscale per provvedimento è proprio il meccanismo della cessione dei crediti fiscali. Quanto più vengono ceduti prima di essere scontati, tanto più il provvedimento è vantaggioso per le casse dello Stato.
Questo meccanismo di sostenibilità non esiste per gli altri bonus fiscali “tradizionali” che gli italiani conoscono da molto tempo. I bonus ordinari sono personali ovvero vengono concessi solo ai “ricchi” che hanno sufficiente capienza fiscale per detrarli dalle proprie imposte. Non possono essere ceduti a terzi per il pagamento di altre prestazioni lavorative. Di conseguenza il loro moltiplicatore fiscale è molto più basso e, dal punto di vista del bilancio dello stato, sono decisamente meno sostenibili.
Il principale motivo per cui gli ultimi 2 governi hanno deciso di porre fine al provvedimento è stata la sua supposta insostenibilità economica di bilancio anche se, dati alla mano, non è per nulla dimostrata. Ci ritorniamo nella parte finale dell’articolo.
- L’identificazione di uno specifico settore dell’economia beneficiario del provvedimento.
Si è deciso che solamente l’edilizia privata, per gli interventi di
ristrutturazione energetica, doveva essere beneficiaria della misura.
Ma, chiediamoci, se il meccanismo della cedibilità dei crediti rendeva la misura sostenibile, perché non utilizzare il Superbonus anche per finanziare i lavori di edilizia pubblica?
Lo Stato, anziché faticare a trovare a bilancio le decine di miliardi necessarie a costruire e ristrutturare scuole ed ospedali (per fare un esempio), si sarebbe potuto auto-finanziare pagando le imprese mediante dei crediti fiscali cedibili a terzi.
E poi perché fermarsi all’edilizia?
Non si sarebbero potuti dare dei crediti fiscali alle famiglie più povere da “spendere” per andare in vacanza, portando anche beneficio agli operatori turistici?
E non si sarebbero potuti pagare dei lavori di estensione della fibra ottica per le telecomunicazioni?
La decisione di limitare il provvedimento di stimolo fiscale ad un solo settore dell’economia non trova spiegazioni logiche, se non quella di non avere compreso il meccanismo di finanziamento che ne avrebbe garantito la copertura.
Questa decisione, peraltro, ha portato troppi incentivi in un solo settore dell’economia, che non era in grado di soddisfare la troppo rapida crescita della domanda, il che è uno dei fattori che ha contribuito all’aumento dei prezzi. Nello stesso tempo ha lasciato privi di incentivi altri settori dell’economia nei quali si sarebbe potuto investire.
- Una quota di detrazione fiscale pari al 110% dell’importo delle spese.
Lo stimolo alle ristrutturazioni energetiche degli edifici avrebbe funzionato anche limitando gli sgravi fiscali ad esempio all’80%.
Mediamente il tempo di ritorno degli investimenti di isolamento termico degli edifici, senza incentivi, è dell’ordine di 20-30 anni. Con detrazioni all’80% il tempo di ritorno si riduce a 4-6 anni. Le banche avrebbero potuto fare credito decennale per finanziare la quota restante del 20% dei lavori, facendosi ripagare dalle economia di energia. All’estinzione del mutuo sarebbero rimasti tutti i vantaggi economici di economia sulle bollette a beneficio degli utenti.
Il fatto di poter detrarre il 100% delle spese, più un ulteriore 10% di commissioni da corrispondere alle banche (a chi, se no?) ha annullato le necessarie trattative commerciali fra venditore ed acquirente. Questo fattore, unito alla concentrazione degli investimenti in un unico settore dell’economia, ha ulteriormente contribuito all’aumento dei prezzi dei lavori e, quindi, a ridurre la redditività degli investimenti.
Non era difficile comprendere che sarebbe stato molto meglio limitare all’80% le detrazioni fiscali, pur mantenendo la possibilità di cedere lo sconto fiscale.
Molte persone sono convinte che sia stata l’esagerazione della quota di detrazioni al 110% a rendere insostenibile il provvedimento.
Questo non è vero. Come i dati di Nomisma dimostrano, la sostenibilità fiscale del provvedimento era comunque garantita dal meccanismo della cessione.
L’errata scelta della quota al 110% ha ridotto l’efficacia economica del provvedimento, probabilmente perché qualcuno ha pensato di accrescere gli utili per le banche al 10% e più della torta, ma non ne ha compromesso la sostenibilità.
Per migliorare il Superbonus sarebbe bastato ridurre all’80% la percentuale delle spese da portare in detrazione e fare un accordo con il sistema bancario per coprire il restante 20% con crediti ad hoc, ripagati dai risparmi sulle bollette energetiche.
- Un provvedimento incerto e non strutturale.
Fin dalla sua origine la misura del Superbonus 110% è stata concepita
come misura non-strutturale. Ovvero ogni anno, nella legge finanziaria,
si doveva decidere se confermare o meno il provvedimento, in quali
termini e secondo quali regole.
Ora: se l’obiettivo del provvedimento deve essere quello di creare dei posti di lavoro stabili, allora è necessario garantire alle imprese una continuità degli investimenti. Solo avendo la certezza di commesse per i 5-10 anni a venire le imprese investiranno nell’assunzione di giovani da formare e nell’acquisto di macchinari. Un provvedimento strutturale è qualcosa che risulta da una pianificazione a medio-lungo termine, non qualcosa che di anno in anno si decide di rinnovare o di porvi fine.
La combinazione di queste incertezze con la rapida crescita di commesse nel settore ha contribuito ulteriormente all’aumento dei prezzi. Non essendoci la possibilità di fare i lavori negli anni a seguire, le imprese si sono trovate di fronte ad una domanda eccessiva e non rimandabile. Quindi hanno aumentato i prezzi.
Se il provvedimento fosse stato confermato per almeno 10 anni, questo avrebbe portato ad una maggiore efficienza degli investimenti ed a ricadute molto positive per l’occupazione negli anni a venire.
Anche questo è un aspetto che era sufficiente correggere, senza porre fine al provvedimento.
- Una eccessiva burocrazia. Sappiamo che i
burocrati dei ministeri vivono sulle complicazioni amministrative
imposte ai cittadini. Nel caso del Superbonus 110% è stato probabilmente
stabilito il record mondiale della burocrazia, che è stata resa ancora
più complessa nel caso di interventi di ristrutturazione effettuati da
condomini, quindi da molti proprietari “associati” fra loro. Gli effetti
di questo eccesso di burocrazia sono stati un aumento delle prestazioni
professionali per la realizzazione dei lavori (altra perdita di
efficienza degli investimenti), dei ritardi nell’avvio dei lavori e dei
vantaggi dei committenti singoli (in genere persone benestanti e accorte
che hanno saputo approfittare dell’occasione) rispetto ai condomini
(composti da appartamenti di persone povere e meno capaci di
organizzarsi).
Molti che avrebbero voluto realizzare (Nomisma li stima a 10 milioni di persone, 1/6 della popolazione) degli interventi di ristrutturazione energetica, cosa che sarebbe stata utile sia per il bilancio delle famiglie povere, sia per la pesante bolletta energetica del nostro paese, sia per i benefici ambientali, non sono riusciti a farlo a causa dell’eccesso di burocrazia.
Davvero non si capisce la necessità di certificare a priori la conformità degli interventi.
Dal punto di vista della sostenibilità fiscale, come abbiamo dimostrato al punto 1), questi controlli non erano necessari. La misura si sostiene tramite il meccanismo della cedibilità dei crediti fiscali, indipendentemente dalla conformità dei lavori. Nessun costo aggiuntivo a carico dello Stato.
Dal punto di vista degli obiettivi di risparmio energetico era sufficiente affidare la progettazione a dei tecnici competenti e fare delle verifiche “sostanziali” sui lavori effettivamente realizzati. Non era difficile trovare dei tecnici privi di conflitti di interesse per fare delle ispezioni tecniche nei cantieri.
Resta il sospetto che la burocrazia sia stata introdotta proprio con l’obiettivo di rendere meno fruibile il provvedimento.
Se l’obiettivo voleva essere quello di aiutare le famiglie povere a realizzare interventi di risparmio energetico e velocizzare l’esecuzione dei lavori, lo si poteva fare in modo semplice, riducendo al minimo la burocrazia.
Il Superbonus e i vincoli di bilancio
Probabilmente non tutti sanno che cosa rientra nel calcolo del “debito dello stato”.
Molti pensano che si tratti di un debito simile a quello di una famiglia. In realtà questo non è vero.
Nel debito pubblico vengono contabilizzati i titoli di stato in
circolazione, che il Tesoro si è impegnato a rimborsare entro una certa
scadenza e ad un certo tasso di interesse. Si tratta di denaro in
qualche modo “preso in prestito” dallo Stato.
Ma nel debito pubblico non sono contabilizzati le fatture non pagate ai
fornitori che hanno già fornito le loro prestazioni. Stiamo parlando di
diverse decine di miliardi di euro di debiti commerciali non saldati dei
vari enti pubblici nei confronti di imprese private.
Secondo le normative di Eurostat questi importi non vengono conteggiati
nel debito, in quanto incidono sul bilancio dello Stato solo nel momento
in cui il denaro esce effettivamente dalle casse del Tesoro.
Con la stessa logica anche le detrazioni fiscali sono considerate
rientranti nel conteggio del debito solo nel momento in cui vengono
effettivamente scontate. Questo perché, per diversi motivi, può accadere
con uno sgravio fiscale, come ad esempio i vecchi bonus per le
ristrutturazioni edilizie, non venga completamente utilizzato, magari
per decesso della persona avente diritto o per incapienza fiscale.
Il superbonus 110% avrebbe dovuto essere stato considerato allo
stesso modo. Non un debito o deficit dello Stato al momento della sua
emissione, ma solo al momento in cui, dopo la catena di cessioni,
qualcuno effettivamente lo utilizza per pagare meno tasse.
Sulla questione vi è stato a inizio anno il pronunciamento del rappresentante di Eurostat
Luca Ascoli, così come del direttore generale del MEF Giovanni
Spalletta sul modo di calcolare nel bilancio dello stato questo nuovo
tipo di sgravio fiscale. La differenza sostanziale rispetto ai bonus
“vecchio stile” è che in questo caso è quasi certo che il credito
fiscale venga utilizzato, in quanto la catena di cessioni del credito
terminerà nelle mani di qualcuno certamente in grado di utilizzarlo.
Alla fine l’interpretazione dei quei geni della Ragioneria dello Stato è
stata che debba essere inserito, contraddicendo la logica utilizzata
per i debiti commerciali e per gli ordinari bonus fiscali, non al
momento futuro dello sconto, ma già al momento della emissione.
E questo è significato, dal punto di vista contabile, che per gli anni
già trascorsi 2020-2022, nel corso dei quali lo Stato ha emesso le
decine di miliardi di crediti fiscali del Superbonus, è stato
ricalcolato il bilancio dello Stato, scoprendo (ORRORE!) uno sforamento
importante nel deficit preventivato per quegli anni e complessivamente
stimato dai ragionieri e dal ministro Giorgetti in complessivi 120
miliardi di “buco di bilancio”.
Questa è la ragione per la quale, ufficialmente, il governo Meloni ha
deciso di affossare definitivamente il provvedimento, ponendo
soprattutto fine al meccanismo della cessione dei crediti fiscali.
Proviamo a paragonare al situazione a quella di una normale impresa o
famiglia. Ho la possibilità di fare un investimento di 71 o di 120 mila
euro (come dice Giorgetti) che, nel giro di 2 anni, mi porta benefici
per 159 mila euro, con la certezza di rientrare rapidamente del mio
indebitamento. Dovrei decidere di rinunciare a quell’investimento solo
perché mi costa troppo caro nel primo anno?
Solo un folle (o un ministro dell’economia italiano) potrebbe ragionare in questo modo.
E a nulla serve la solita scusa “ce lo chiede l’Europa”, sia perché
l’Europa per 2 anni consecutivi aveva approvato senza problemi le
manovre finanziarie contenenti la misura del Superbonus. E se anche l’UE
avesse qualcosa da ridire, il fatto di attuare una misura strutturale
che consente nello stesso tempo di fare investimenti nella direzione
delle politiche “green” europee, di creare 600’000 posti di lavoro e di
far quadrare i conti del bilancio per gli anni a venire metterebbe a
tacere queste critiche.
Conclusioni
Gli ultimi 2 governi del nostro paese hanno messo tutto il loro
impegno non per rimuovere le criticità citate dalla misura del
Superbonus 110%, ma per renderla via via sempre meno sostenibile dal
punto di vista contabile, impedendo la cessione illimitata dei crediti
fiscali.
Prima del governo Draghi, che ha fatto di tutto per limitare la cessione
dei crediti alle sole banche, le quali ad un certo punto hanno
rifiutato la cessione, avendo già raggiunto la loro capienza fiscale.
L’impossibilità di cedere ad altri i crediti unita all’indisponibilità
delle banche ha portato alla creazione dei “crediti incagliati”. Si
tratta di farina cattiva del sacco di Draghi al 100%. Il meccanismo di
base della cessione illimitata dei crediti doveva essere favorito, non
ostacolato.
Il nuovo governo Meloni non ha fatto nulla per rimediare ai danni
causati da Draghi al Superbonus, se non di trovare una soluzione
“all’italiana” per i crediti incagliati, solo dopo aver posto fine al
provvedimento.
La motivazione che è stata venduta all’opinione pubblica di un “buco
contabile” insostenibile non è mai stata supportata da dati reali.
Giorgetti si è limitato ad evidenziare il presunto scostamento di
bilancio del primo anno (che in realtà non c’è stato nella sostanza),
senza contabilizzare le maggiori entrate fiscali innescate dall’effetto
moltiplicatore, già misurato nel corso dei primi 2 anni di attuazione
del provvedimento. Quindi entrate certe, non ipotetiche.
Oltre al citato studio di Nomisma, altri istituti hanno validato al
sostenibilità fiscale del provvedimento. Possiamo citare anche la Open
Economics, la Luiss Business School, la Fondazione Nazionale dei
Commercialisti, il Cresme, il Censis, l’Associazione Nazionale
Costruttori, il Centro Studi del Consiglio Nazionale degli Ingegneri.
Non è ammissibile che un governo giustifichi di fronte all’opinione
pubblica la cessazione di una misura che creerà 600’000 nuovi
disoccupati (fine del mini-boom dell’edilizia), un calo del PIL, la
sostanziale cessazione degli interventi di ristrutturazione energetica,
solo sulla base di una cifra annunciata senza un confronto con gli
istituti specialisti del settore che danno cifre completamente diverse.
A questo punto il governo ha rinunciato all’unico strumento di
riforma strutturale dell’economia che aveva fra le mani. La prosecuzione
dei bonus fiscali non cedibili porterà a benefici economici molto
limitati per il Paese e probabilmente ad una insostenibilità fiscale,
causa il basso fattore moltiplicatore. Siamo ritornati alla politichetta
di misure-spot a breve termine, priva di visione e totalmente
inadeguata per un rilancio economico dell’Italia.
E’ stata persa una enorme occasione di riformare il bilancio dello
stato, strutturandolo su di un bilancio in euro per le spese correnti,
pubbliche e private, e in moneta fiscale (tali sono i crediti fiscali
cedibili) per gli investimenti per lo sviluppo.
E’ stata persa l’occasione di lanciare un piano trentennale di
ristrutturazione energetica degli edifici in Italia, così come la
possibilità di un piano strutturale di rilancio degli investimenti
pubblici per ammodernare le strutture sanitarie, scolastiche, le
telecomunicazioni, ecc.
E’ solo il caso di far notare come se l’Italia adottasse questo
strumento in modo stabile per finanziare gli investimenti pubblici e per
stimolare gli investimenti privati, avremmo la possibilità da un lato
di ridurre strutturalmente la spesa pubblica “in euro” e dall’altro lato
di stimolare la crescita del Prodotto Interno Lordo (come è
fattivamente avvenuto grazie al Superbonus 110%).
Il risultato sarebbe un rallentamento della crescita del debito ed un
aumento del PIL, ovvero la tanto invocata riduzione del rapporto
debito/PIL richiesta dai trattati europei.
Ma a quanto pare gli esperti del MEF preferiscono continuare con le
politiche economiche del passato, che da 30 anni hanno dimostrato né di
potere ridurre il rapporto debito/PIL, né di portare crescita economica
al Paese.
La buona occasione per la più grande riforma economica strutturale degli
ultimi 40 era arrivata, ma i nostri governanti hanno pensato bene di
rinunciarvi.
Di positivo ci resta solo il fatto di avere dimostrato, per chi sa
guardare obiettivamente i risultati economici, che si trattava della
strada giusta da seguire per la ripresa economica del Paese.
Quando avremo un governo finalmente con l’obiettivo di fare qualcosa di
strutturalmente utile per i cittadini, potrà ripristinare il meccanismo
degli sgravi fiscali a cessione illimitata ed utilizzarlo per rilanciare
molti settori dell’economia, in modo da finanziare delle politiche per
la piena occupazione (art. 1 della Costituzione), per il contrasto alla
povertà, per la crescita dei redditi, in favore dell’ambiente e senza
creare dissesti al bilancio dello Stato.
Aspettiamo e speriamo.
Se qualcuno ne ha la possibilità, faccia avere questo articolo ai
parlamentari e a chi ci governa. Non sia mai che si ravvedano dal grave
errore commesso.
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