Bambini come moneta di scambio. L'inchiesta sulla sorte dei giovani profughi ucraini in Europa
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Vi proponiamo una
importante inchiesta della giornalista bulgara Tedi Angelova sulla sorte
di alcuni bambini ucraini profughi in Europa tradotta da Eliseo
Bertolasi.
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Bambini come moneta di scambio. “Sono stati dati per i carri armati.” - prima parte
di Tedi Angelova
In Europa, i bambini profughi dall’Ucraina vengono prelevati in massa dalle loro famiglie e trasferiti in case famiglia. I media occidentali e ucraini non mostrano le storie di questi bambini ucraini rapiti.
Anche i diplomatici ucraini non aiutano i loro compatrioti su questa questione. Puntano all’UE, vero...
E mentre separano i bambini ucraini dalle loro madri, i funzionari europei mettono in atto uno sforzo titanico contro la Russia. Ma ciò di cui l’Ucraina ha bisogno non sono questi bambini, ma il forte effetto PR di questi casi, addirittura si è rivolta alla Corte Penale Internazionale.
Questo accade quando si tratta di pubbliche relazioni, altrimenti Kiev non è interessa al destino dei suoi figli.
“Sono stati scambiati con carri armati. Come in Europa vengono sottratti i bambini ai profughi ucraini”, scrive la testata (russa) “Argumenty i Facty”.
I media raccontano del rapimento di bambini ucraini in Europa. Ma non esiste un database comune in Europa di quegli ucraini i cui figli sono stati prelevati o che sono stati privati potestà genitoriale.
Avvocati e attivisti per i diritti umani che aiutano i rifugiati nei tribunali denunciano 80 casi di questo tipo all’anno. Ma queste non sono solo statistiche, di queste storie ce ne sono tante.
Ma la cosa più sorprendente è che i funzionari e i diplomatici ucraini non hanno premura di aiutare i propri cittadini.
Elena Kovaleva di Dnipro (Dnepropetrovsk) con suo figlio Richard di 4 anni è arrivata in Germania a marzo di un anno fa. Il figlio maggiore Aleksandr (16 anni) è rimasto in Ucraina. Per quasi due mesi Elena e suo figlio hanno vissuto in una famiglia con altri rifugiati, dopodiché si sono trasferiti in un campo con condizioni più confortevoli. Ma pochi giorni dopo sono arrivati i rappresentanti dell’ente tedesco per la tutela dei minori.
“Richard è stato tirato fuori dal suo box di sabbia”, racconta Kovaleva. Si è scoperto che degli ex-vicini hanno scritto una denuncia contro di lei. Hanno detto che lei si prende cura del bambino in malo modo, che lo nutre poco e che reagisce emotivamente alle difficoltà quotidiane. Questo è bastato per far trascorrere al bambino 10 giorni in un istituto per orfani, dopodiché è andato a vivere con una certa famiglia.
Nessuno sa con certezza cosa sia realmente accaduto tra i rifugiati e perché sia stata presentata questa denuncia. Date le circostanze, costantemente si verificano scandali interni e scontri tra i profughi stessi. Alcuni iniziano a bere per lo stress. Ma nessun fatto del genere è mai emerso in tribunale. Dopo due settimane dalla storia del box di sabbia, ad Elena è stato permesso di vedere suo figlio solo una volta ogni 8 mesi.
“La seconda udienza si è svolta dopo 4 mesi e mi è stato detto che i miei diritti genitoriali erano temporaneamente cessati. Dopodiché, ovviamente, sono scoppiata in lacrime – a causa della quali il tribunale ha stabilito che avrei dovuto sottopormi a una visita psichiatrica per dimostrare la mia adeguatezza, altrimenti il bambino non mi sarebbe più stato restituito”, racconta la donna.
L’avvocato
le ha consigliato di non registrarsi in una clinica psichiatrica
tedesca, altrimenti le avrebbero sicuramente diagnosticato qualcosa.
L’ha quindi mandata a casa per raccogliere certificati, caratteristiche,
ecc. Alla corte questa opzione non è piaciuta.
In 7 mesi, Elena ha visto Richard solo 3 volte. Suo figlio maggiore Aleksandr si è trasferito da lei. Ora vogliono portare via anche lui. I due sono andati a trovare Richard, ma alla madre non è stato permesso di entrare, dicendo che solo Sasha (Aleksandr) avrebbe potuto incontrare il fratello.
“Ho iniziato a intrufolarmi nella stanza dove si trovava. I servizi minorili hanno chiamato la polizia e hanno riferito che avevo causato loro lievi danni fisici. Per questo motivo contro di me è stato aperto un procedimento penale, sulla base del quale ora vogliono portarmi via mio figlio maggiore”, continua Elena.
Il consolato (ucraino) ha rifiutato di aiutarla poiché lei aveva già ottenuto lo status di rifugiata e quindi era completamente sotto la giurisdizione della Repubblica Federale di Germania.
Parlo con mio figlio attraverso google translator
Tal comportamento da parte dei diplomatici ucraini è diventato la norma: o dicono direttamente che non aiuteranno, o guadagnano tempo ignorando le chiamate.
Questo è ciò che è successo a Oksana Buratevich di Irpin.
È arrivata in Germania alla fine di febbraio 2022 con il figlio Savelij di 9 anni.
“Ho partorito a quasi 40 anni, ho investito tutto nel bambino”, racconta.
Un mese dopo, il ragazzo ha iniziato a lamentare dolori addominali. Oksana si è rivolta ai medici tedeschi, ma diversi mesi di tentativi non hanno portato ad alcun risultato. Non in grado di arrivare ad una diagnosi, hanno consigliato al bambino di prendere antidolorifici e di camminare di più.
Oksana è ripartita per far studiare il bambino in Ucraina. Lì è stata rilevata una gastrite ulcerosa erosiva ed è stato elaborato un piano di cura.
Un mese dopo, Buratevich e Savelij sono tornati in Germania, ma dopo qualche tempo, i dolori sono ripresi. Oksana è andata di nuovo dal gastroenterologo tedesco, che questa volta ha dichiarato la natura psicosomatica della malattia.
“Il dottore ci ha indirizzato al centro del dolore. Abbiamo ricominciato a girare in tondo. Allo stesso tempo, le condizioni di mio figlio sono solo peggiorate. Eravamo già conosciuti in tutte le cliniche locali, ma nessuno faceva niente”, dice Oksana.
Tuttavia la questione non è esattamente questa. Uno dei medici ha scritto una rapporto: si presume che la madre abbia curato il bambino e provocato malattie psicosomatiche.
I funzionari della giustizia minorile sono quindi giunti da Oksana per prelevarle Savelij. Due settimane dopo, il tribunale l’ha privata della potestà genitoriale per il periodo scolastico del bambino.
I tedeschi hanno deciso di condurre un esperimento limitando la comunicazione del bambino con la madre.
Ora possono vedersi una volta alla settimana in presenza di funzionari di tutela e parlare solo in inglese o in tedesco. Buratevich non conosce il tedesco, Savelij non parla inglese, madre e figlio mantengono in qualche modo un dialogo con l’aiuto di google translator. Il ragazzo vive in un collegio per bambini e Oksana raccoglie denaro per l’avvocato.
“Dati a due padri”
Oksana è una donna attiva, non è rimasta a guardare. Ha iniziato a unirsi ad altre donne ucraine in condizioni simili al fine di cercare opzioni per la restituzione dei bambini. Oksana afferma che in Germania vengono presi in carico fino a 10.000 bambini l’anno. Ora anche i bambini ucraini sono inclusi in questa triste statistica. Tra loro ci sono bambini di Kiev, Zaporozhe, Dnipro, ecc.
“Il loro destino, secondo la logica dei tedeschi, dovrebbe essere deciso non dalle loro stesse madri, ma da “zii” stranieri. Vengono assegnati a due padri, a persone della classe media - a chiunque, ma non alle proprie famiglie”, la donna è indignata.
Con lei sta lottando anche Elena Dashko di Severodonetsk per la sua creatura.
Elena è arrivata in Germania solo nell’ottobre dello scorso anno, insieme alla figlia di 9 anni e sono stati collocati in un campo profughi. La ragazzina non dormiva bene, era agitata perciò sua madre l’ha portata da uno psicologo tedesco. La ragazza è stata lasciata per diversi giorni in clinica sotto osservazione.
La ragazzina, afflitta, ha iniziato ad avere crisi isteriche e a soffrire di prurito. Il caso si è concluso con un processo e una parziale restrizione dei diritti genitoriali di Elena. Non ne è stata privata, ma le è stato proibito di decidere dove collocare sua figlia. Vale a dire, non può andare a prendersi sua figlia dalla clinica e rivolgersi ad altri specialisti.
“La clinica mi ha comunicato che non ho più il diritto di visitare mia figlia, in quanto le è stato assegnato un tutore, e se comparirò sul territorio della clinica, contro di me verrà avviato un procedimento penale, in base al quale mi è stato consegnato il documento previsto”, racconta Elena.
Quando si è rivolta al consolato ucraino le è stata negata l’assistenza. Non sa dov’è sua figlia, né con quali preparati è trattata. In 3 mesi sono stati autorizzati a incontrarsi solo 4 volte.
“Solo in Germania sono stati registrati più di 100 casi di sottrazione di minori ai rifugiati. Ci stiamo già unendo in una associazione, aiutandoci a vicenda finanziariamente e legalmente. Al momento, conosco solo un caso in cui un minore è stato restituito alla sua famiglia ucraina. Tutti desideriamo ritornare, ma non possiamo farlo se i nostri figli sono qui”, dicono le donne.
Chiederò aiuto alla RussiaIl giornalista ucraino Zhan Novoseltsev si è impegnato ad indagare sulle storie di queste donne. Ma tutto ciò che può fare è rapportarsi con loro su Internet. I media ucraini non hanno fretta di contattarle.
Novoseltsev dice di essere stato avvicinato da donne provenienti da Portogallo, Spagna, Italia, Francia e Austria. Ha anche mandato in onda attivisti ucraini per i diritti umani che, letteralmente, hanno aiutato una donna ucraina con due bambini a fuggire da un monastero italiano, volevano prendere i suoi figli. In Norvegia hanno preso 4 bambini dalla famiglia di un prete che veniva dall’Ucraina.
Ciò ricorda la storia dell’ucraina Karina Voronova, che fuggita in Germania con la madre e i figli, si è imbattuta nella giustizia minorile di un altro paese. La figlia maggiore della donna si è recata accompagnata dalla nonna in Italia per un concorso. Lì alla ragazza è stato assegnato un tutore locale provvisorio in quanto priva di genitori. Non hanno ascoltato la nonna e quando Karina è arrivata per recuperare la figlia, le è stata negata la ragazzina e le hanno chiesto di dimostrare in tribunale che lei fosse la madre legale!
C’è la storia di un attivista austriaco per i diritti umani che ha fatto emergere molti di questi casi riguardo ai minori, non in Ucraina, ma in Russia. I media europei hanno subito gridato al rapimento, ma i genitori di quei bambini sono contenti di essere sfuggiti alla giustizia minorile.
“Hanno fatto la cosa giusta per far si che i loro figli non fossero presi per gli organi”, afferma Oksana Buratevich.
“Se il nostro consolato non risponde, contatterò il consolato della Bielorussia e anche della Russia. Capisco la guerra, ma la Russia non è poi così male. Ho scritto lettere al presidente dell’Ucraina, ho provato a contattare Elena Zelenskaya... Ai nostri funzionari non interessa nulla dei nostri figli, e a me non interessa nulla dei carri armati che dovrebbero andare lì. Per questi aerei e carri armati ora stanno regalando i nostri figli”.
(Tradotto da Eliseo Bertolasi)
Bambini come moneta di scambio. Provocazione fallita dei servizi ucraini - seconda parte
di Tedi Angelova 16/5/2023
I canali telegram ucraini hanno scritto di come un adolescente di Mariupol abbia cercato di tornare in Ucraina, ma come i servizi di sicurezza russi non glielo abbiano permesso.
I servizi di sicurezza ucraini (SBU), infatti, hanno cercato di attirare il giovane nel territorio dell’Ucraina, partendo dalla Russia, minacciando di uccidere i suoi parenti. Ciò risulta chiaro dalla sua stessa narrazione.
La provocazione ucraina con il pseudo-sequestro di un ragazzo salvato nel Donbass è fallita.
L’orfano diciassettenne di Mariupol Bogdan Ermokhin, evacuato in Russia al culmine delle ostilità in città, ha ricevuto telefonate dall’Ucraina.
I servizi di sicurezza di Kiev hanno minacciato il ragazzo e lo hanno costretto a partire per l’Ucraina attraverso la Bielorussia.
Due settimane fa, una certa Ekaterina ha chiamato Bogdan dall’Ucraina. Si è presentata come avvocato, ma il suo comportamento ha destato sospetti.
Si trattava di una provocazione preparata, a seguito della quale il minore sarebbe dovuto cadere nelle mani della SBU.
La propaganda ucraina aveva sperato di trasformare il “salvataggio” di Bogdan in una clamorosa “vittoria” progettata per mostrare l’“attenzione” di Kiev per i suoi cittadini e per demonizzare ancora una volta la Russia, accusandola di rapire i bambini ucraini.
Tuttavia, Bogdan ha fatto di tutto per contrastare il piano dei servizi di sicurezza ucraini. Temeva per la vita dei suoi parenti, che in realtà sono ostaggi in Ucraina, ma non voleva lasciare la Russia. Pertanto, seguendo formalmente le istruzioni dall’estero, ha “dimenticato” il passaporto a casa, e ha lasciato anche numerosi indizi, sui quali i suoi genitori adottivi insieme alle forze dell’ordine sono riusciti a trovarlo.
È significativo che dopo aver compreso che l’adolescente non sarebbe andato in Ucraina, l’agente della SBU, fingendosi avvocato, ha iniziato a chiedere a Bogdan almeno di registrare un video sul fatto che era detenuto con la forza sul territorio della Russia.
Ora l’adolescente è a casa e un suo video è stato mostrato alla televisione russa. https://amp.vesti.ru/article/3285934
Maggiori dettagli sulla storia di Bogdan sono stati resi noti dai media.
Nel 2014, Bogdan perse sua madre. Più tardi a Mariupol, degli sconosciuti spararono a suo padre, il crimine non fu mai svelato. Il ragazzo fu affidato a una famiglia affidataria che però lasciò la città con l’inizio dell’Operazione Militare Speciale, ma Bogdan rimase.
Il giovane, ricordando le atrocità dei combattenti ucraini a Mariupol, ha più volte dichiarato il suo sostegno all’Esercito Russo.
Gli eventi bellici lo raggiunsero quando si trovava nel convitto della scuola dove studiava meccanica automobilistica. Per salvare i ragazzi l’Esercito Russo li evacuò in uno dei centri medici di Donetsk.
Di seguito, a causa dei continui bombardamenti, vennero spostati ancora più lontano dalla linea del fronte. Bogdan capitò in un collegio per minori a Egorevska, infine lui stesso scelse i sui genitori adottivi, che hanno cresciuto altri 11 bambini.
Lì si è sentito amato, ma la sua tranquillità è stata turbata dalle chiamate dall’Ucraina. Una donna, Ekaterina, che si spacciava come il suo avvocato, gli ha riferito che doveva tornare urgentemente in Ucraina. Dopo aver ricevuto il rifiuto, sono iniziate le allusioni con le minacce:
“Diceva che aveva tutte le informazioni su di me, dove vivo, dove studio, a che ora esco. Mi diceva: o ti prendiamo, o vieni tu da solo” – racconta Bogdan.
A Bogdan hanno fornito tutte le istruzioni, hanno trasferito 20 mila rubli su una carta, gli hanno mostrato dove doveva arrivare di nascosto e dove attraversare il confine di stato.
La madre del figlio adottivo, Irina Rudnitskaya, ha raccontato che Bogdan non intenzionato a lasciare la sua nuova famiglia ha sabotato le istruzioni, in particolare dimenticando il proprio passaporto.
La vicenda è finita al centro dell’attenzione, in Russia, durante una conferenza stampa del commissario presidenziale per i diritti dell’infanzia Maria Lvova-Belova presso il ministero degli Esteri russo. Il difensore civico per l’infanzia conosce bene Bogdan. È stata coinvolta nel suo salvataggio e riabilitazione. Maria ne è convinta: il caso di questo adolescente è una provocazione con la partecipazione di servizi speciali stranieri:
“Abbiamo informazioni che era guidato da diversi agenti. Era un’operazione pianificata e, letteralmente all’ultimo momento, noi con le forze di sicurezza siamo riusciti a fermarlo al confine. È assolutamente ingiusto speculare sulle emozioni dei bambini. È assolutamente ingiusto minacciare i suoi cari, come nel caso di Bogdan. Sua sorella maggiore si trova sul territorio dell’Ucraina”.
Il fatto che questa operazione fosse così importante per i servizi di sicurezza dell’Ucraina è confermato anche dai messaggi nelle messaggerie. La rapidità massima d’invio degli SMS richiama in qualche modo l’isteria estrema. Nel messaggio, il curatore chiede al ragazzo di registrare un videomessaggio e dire che vuole davvero tornare in Ucraina. Subito dopo c’è una telefonata.
“Ora inventeranno tutti i tipi di storie sul nostro Paese, registreranno video, falsificheranno foto, per distogliere l’attenzione dai problemi dei bambini che si trovano nel territorio dell’Unione Europea”, ha commentato Maria Zakharova, portavoce del Ministro degli Esteri russo.
Maria
Lvova-Belova ha sottolineato che l’obiettivo principale per il Paese
sono gli interessi dei bambini e delle famiglie. E questo significa che
sarà fatto tutto il possibile per salvare i minori, compresi quelli
nella zona dell’Operazione Militare Speciale. È palese che i servizi
segreti stranieri che hanno preparato la fuga di Bogdan non si sono
particolarmente preoccupati per il ragazzo. Lo hanno costretto a
percorrere di nascosto quasi 1000 chilometri, a tentare di attraversare
il confine senza documenti, a provare paura. Fortunatamente, questo
giovane non è diventato una merce di scambio ed è tornato alla sua
famiglia.
(Tradotto da Eliseo Bertolasi)
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