Kosovo, alta tensione nella notte: la Serbia mobilita le truppe al confine
Dopo l’apertura di alcuni spiragli di distensione negli scorsi mesi, la situazione in Kosovo è tornata a infiammarsi. Nella giornata di ieri, le truppe serbe al confine sono state messe in allerta in conseguenza degli scontri avvenuti in Kosovo tra la polizia e dimostranti di etnia serba del nord, che in quella parte di Paese sono maggioranza. Questi ultimi hanno infatti tentato di impedire ai sindaci di etnia albanese eletti nella tornata di aprile – elezioni non riconosciute dalla comunità serba presente nel territorio kosovaro – di accedere agli edifici comunali per insediarsi. Le operazioni che hanno provocato la rivolta sono state forzate dal governo del primo ministro Albin Kurti con l’aiuto della polizia, che ha sparato gas lacrimogeni sulla folla. Nei tafferugli sono rimasti feriti una dozzina di manifestanti e cinque agenti. Molte automobili sono andate in fiamme.
Preso atto degli scontri, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha dichiarato di aver messo l’esercito in «stato di massima allerta» e di avere ordinato un movimento «urgente» dei soldati vicino al confine. Ha inoltre espressamente richiesto che le truppe guidate dalla NATO di stanza in Kosovo (nell’ex provincia serba è ancora operativa una missione permanente dell’Alleanza Atlantica, denominata KFOR) tutelino i cittadini di etnia serba dalla polizia di Pristina. Che, per contro, ha annunciato di avere aumentato il numero di agenti nella zona al fine di “aiutare i sindaci dei comuni settentrionali di Zvecan, Leposavic e Zubin Potok a esercitare il loro diritto” all’insediamento.
Reazioni di condanna nei confronti del governo kosovaro sono arrivate sia dagli Usa che dall’Ue. “Condanniamo fermamente le azioni del governo del Kosovo che stanno intensificando le tensioni nel nord e aumentando l’instabilità. Chiediamo al primo ministro Albin Kurti di fermare immediatamente queste azioni e rifocalizzarsi sul dialogo facilitato dall’Ue”, ha scritto su Twitter il segretario di Stato americano, Antony Blinken, che ha anche sottolineato che ciò avrà conseguenze per le relazioni bilaterali degli Stati Uniti con il Kosovo. “Deploriamo fermamente gli attacchi alle pattuglie della missione civile dell’Ue in Kosovo, EULEX, che deve poter svolgere il proprio mandato pacificamente – ha scritto in una nota Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell -. Tutti devono intraprendere azioni per ridurre la situazione di tensione e tornare immediatamente alla calma. L’Ue non accetterà ulteriori azioni unilaterali o provocatorie e la salvaguardia della pace, e la sicurezza sul terreno dovrebbe avere la priorità”.
Una dichiarazione comune è poi arrivata da Usa, Francia, Italia, Germania e Regno Unito: “Condanniamo la decisione del Kosovo di accedere con la forza agli edifici municipali nel nord del Kosovo, nonostante il nostro appello alla moderazione – si legge nella nota -. Chiediamo alle autorità del Kosovo di ritirarsi immediatamente e ridurre la tensione e di cooperare strettamente con EULEX e KFOR. Condanniamo gli attacchi a EULEX a Zvečan. Siamo preoccupati per la decisione della Serbia di aumentare il livello di prontezza delle sue forze armate al confine con il Kosovo e chiediamo a tutte le parti di esercitare la massima moderazione ed evitare retorica incendiaria”.
L’indipendenza del Kosovo dalla Serbia venne reclamata dagli albanesi-kosovari negli anni Novanta, durante le guerre che infiammarono l’ex Jugoslavia, e fu appoggiata dal presidente americano Bill Clinton e dagli alleati europei. Nel marzo del 1999 la NATO intervenne bombardando la Serbia e costringendola a ritirarsi dal Kosovo. Nel 2008 venne ufficialmente firmata la dichiarazione di Indipendenza, che però ancora oggi non è riconosciuta da Spagna, Cipro, Grecia, Slovacchia e Romania, così come da Russia, Cina ed altre potenze mondiali. A questo proposito, è importante ricordare come la Serbia, che ha infatti deciso di non prendere parte alle sanzioni contro la Russia, rappresenti lo storico alleato “di ferro” del Cremlino in Europa.
L’ultimo annata, in Kosovo, è stata contrassegnata da grandi scossoni. Il primo giorno di agosto del 2022 l’esplosione del conflitto sembrava addirittura alle porte, con tanto di chiusura delle frontiere, sirene antiaeree spiegate e la marcia dei soldati in strada, dopo la decisione da parte del governo di Kurti di attuare una serie di misure amministrative che i serbi risiedenti in Kosovo avevano giudicano discriminatorie, come il divieto di entrare nel Paese utilizzando i documenti di Belgrado e l’obbligo di reimmatricolare le auto con targa serba. Lo scorso gennaio, poi, La KFOR – la missione Nato in Kosovo – aveva respinto la richiesta di Belgrado di inviare un proprio contingente a difesa dei serbi in Kosovo sulla base della risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che prevede che, in caso di aggravamento delle tensioni, la Serbia possa fare richiesta per inviare una propria divisione da stanziare ai valichi di frontiera, nei siti religiosi cristiani ortodossi e nelle aree a maggioranza serba.
Poi, ad inizio marzo, era sembrato esserci margine per un’inversione di tendenza. Il presidente della Serbia Aleksandar Vučić e il primo ministro del Kosovo Albin Kurti avevano infatti accettato la proposta dell’Ue per normalizzare i rapporti tra i due Paesi. La prospettiva del patto non è quella di tradursi in un vero e proprio riconoscimento formale del Kosovo, ma di produrre una serie di accordi basati su pace e indipendenza, come ribadito dall’articolo 4 della proposta UE: “la Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale”.
Ora, però, la situazione pare precipitare nuovamente. Venerdì sera, a Belgrado, nella cornice della grande manifestazione politica “Una Serbia di speranza”, il presidente serbo Vučić – che si è appena dimesso da leader del partito progressista serbo dopo settimane di proteste contro il suo governo – ha evidenziato chiaramente come si prospetti un periodo difficile per la Serbia sulla questione Kosovo-Metohija. «Ci hanno inchiodato da tutte le angolazioni con inganni e trucchi e, con le spalle al muro in questo modo, non abbiamo via d’uscita se non difendere il nostro Paese e proteggere la gente – ha detto davanti a 200.000 persone -. Lotterò per tutti secondo di pace, ma vi dico: un attacco ai serbi in Kosovo-Metohija e la Serbia non starà con le braccia incrociate».
[di Stefano Baudino]
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