ASPETTANDO STRANAMORE?
Non è soltanto questione di mancanza di volontà, a rendere complicato l’avvio di un processo negoziale e di pace in Ucraina sono le condizioni oggettive. O meglio, la posizione soggettiva degli attori in campo (USA/NATO, Russia, Ucraina), i loro obiettivi. Che al momento sono ancora troppo lontani ed inconciliabili, perché si dia un terreno di mediazione possibile. Ad essere in stallo, quindi, non è la guerra ma la diplomazia. Ed è in questo il rischio vero, più che nella volontà dell’una o dell’altra parte, perché qualcuno potrebbe convincersi che è meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine…
Vittoria o negoziato
Sostanzialmente, le guerre possono finire solo in due modi: o con la
vittoria di una parte, che impone agli sconfitti le sue condizioni (vedi
alla voce WWI e WWII), o con un negoziato. Ovviamente, questa seconda
ipotesi si dà solo quando il proseguimento del conflitto, e per entrambe
le parti, risulta non essere più conveniente. Stiamo parlando di una
convenienza complessiva, a 360°, non semplicemente, sul terreno. Deve
insomma verificarsi quella particolare congiuntura in cui tutti i
soggetti coinvolti, magari per motivi diversi, giungono alla conclusione
che una trattativa offra maggiori vantaggi del proseguimento delle
attività belliche.
A questo punto, si apre il negoziato, che può
anche essere lungo e complesso e necessita non solo di una mediazione
forte ed autorevole, ma anche di una effettiva e salda volontà di
trovare un accordo. Poiché, è chiaro, tutti cercheranno di ottenere il
massimo in cambio del minimo.
Va da sé che, affinché una guerra trovi
una soluzione negoziata, deve anche sussistere un reale terreno di
mediazione, reciprocamente accettabile, nell’ambito del quale la
trattativa avrà un range più o meno ampio in cui muoversi.
Alla luce di questo assunto, è francamente difficile immaginare una fine del conflitto ucraino.
Innanzitutto,
perché nessuno dei tre soggetti coinvolti (gli USA/NATO, l’Ucraina e la
Russia) è effettivamente giunto a maturare un’autentica volontà di
mediazione. Che – è necessario ribadirlo – significa innanzitutto
stabilire cosa è trattabile e cosa non lo è.
Sicuramente, tutti gli
attori coinvolti hanno, per ragioni diverse quanto ovvie, la volontà di
porre fine alla guerra. Persino per il NATOstan, che apparentemente ne
persegue ostinatamente il prosieguo, si tratta più di una reale
difficoltà a trovare una exit strategy praticabile, che non della effettiva volontà di andare avanti.
Non
solo, infatti, contro ogni previsione la Russia ha retto perfettamente
sia sul piano economico che su quello politico-diplomatico (anzi, per
certi versi esce addirittura rafforzata da questo primo anno di guerra),
oltre che ovviamente sul piano militare (ma questo di certo, al
Pentagono, già lo sapevano), ma ad accusare il logoramento è proprio la
NATO, nelle sue diverse articolazioni.
Nell’ambito della propria guerra ibrida globale, finalizzata a ri-stabilire il dominio mondiale, gli Stati Uniti si trovano oggi nella condizione-necessità di fronteggiare due poderosi avversari (Russia e Cina), sfidandoli su quello che a Washington ritengono essere ancora l’unico terreno di superiorità, cioè quello militare. Con la costante espansione europea della NATO prima, con l’escalation ucraina poi (dal golpe del 2014 in avanti), gli USA hanno spinto verso il conflitto con la Federazione Russa, concretizzatosi nel 2022 con l’inizio della proxy war. Ugualmente, stanno spingendo sempre più affinché il format venga più o meno replicato con la Cina, con Taiwan al posto dell’Ucraina. E probabilmente, poiché la sproporzione tra l’isola e la massa continentale è troppo grande, con l’idea che questa nuova proxy war venga combattuta prevalentemente dal Giappone. Con questa prospettiva, gli States si stanno impegnando in un massiccio riarmo di Taipei, che però si va a sommare all’impegno per armare e sostenere Kyev – che a sua volta è un vero e proprio buco nero, che ingoia armamenti (e denaro) a velocità spaventosa. Tanto da superare le capacità produttive dell’industria bellica.
Giusto per fare un esempio, persino banale nella sua minimalità, nel
2019 il governo di Taiwan aveva stipulato un contratto per la fornitura
di FGM-148 Javelin (1), un’arma anticarro portatile; a seguito
dell’avvio del conflitto in Ucraina, e quindi dell’urgenza di fornire
all’esercito ucraino questi mezzi, le consegne sono state ritardate, ed a
tutt’oggi non è stato possibile effettuare la fornitura. Stessa cosa
per gli F-16, che Taipei attende dal 2019.
Dal punto di vista di
Washington, quindi, uno stop alla guerra guerreggiata in Ucraina
presenterebbe molti vantaggi, a partire proprio dal guadagnare tempo per
rimettere l’industria bellica al passo con le nuove esigenze di un
conflitto su due fronti e ad alta intensità.
Ma per la NATO ciò che è
intrattabile è, del resto logicamente, uscire dal conflitto con la
Russia apparendone sconfitta. I contraccolpi politici, sia interni che
internazionali, sarebbero devastanti. Il massimo che il deep state può
accettare, per uscire dal pantano ucraino, è – per dirla con il
linguaggio sportivo che sembrano amare i media statunitensi – un pareggio.
Un esito di questo genere presuppone che non si possa in alcun modo
pensare che la Russia abbia vinto. Poiché in USA il dibattito sul se e
sul come porre fine al conflitto ucraino esiste, e non da oggi. È ovvio
che in esso abbiano parte non secondaria anche le ipotesi concrete, sul
come tirarsi fuori dagli impicci. La più gettonata, e che ritorna
periodicamente, è quella che va sotto il nome di soluzione coreana, recentemente rilanciata dal magazine Politico (2).
Secondo questa ipotesi, si tratterebbe di congelare di
fatto il conflitto, senza alcun trattato che ne sancisca in qualche
modo i termini, per poi dar vita a due entità, separate da una eventuale
fascia smilitarizzata – la nuova Ucraina, privata dei territori conquistati dai russi, e questa espansione occidentale della Federazione Russa, comunque non riconosciuta a livello internazionale.
Nella
visione statunitense delle cose, questa soluzione avrebbe sia il
vantaggio di fermare i combattimenti (quindi, anche il dissanguamento
dell’esercito ucraino e degli arsenali NATO), sia quello di non
concedere alla Russia nulla che non abbia già preso.
L’occidente non vede oltre se stesso
Si tratta di quello che io definisco autismo occidentale (3),
ovvero quell’atteggiamento delle élite anglo-americane, e più in
generale occidentali, che sono a tal punto prigioniere della propria
narrazione da non riuscire neanche a concepire una realtà difforme,
rifiutandola sic et simpliciter. In pratica, prendono atto
dell’impossibilità di piegare la Russia sul campo di battaglia (almeno
per il momento), ma rifiutano di trarne sino in fondo tutte le
conseguenze.
La soluzione coreana, infatti, non sarebbe altro che una
sorta di Minsk III, solo su scala più ampia. Ovviamente, del tutto
improponibile per Mosca.
Del resto, questa ipotesi è rigettata anche
dalla dirigenza ucraina. Mikhail Podolyak, consigliere dell’Ufficio
Presidenziale ucraino, sostiene che l’ipotesi di congelare il conflitto
sarebbe addirittura dovuta agli “sforzi di lobbying da parte della
diplomazia russa”! (4)
Il che appare anche abbastanza comprensibile,
visto quanto è costato – e costerà… – all’Ucraina aver scelto
deliberatamente lo scontro all’ultimo sangue con la Russia. È abbastanza
evidente che qualsiasi ipotesi negoziale, tale da essere anche solo
discutibile per la Russia, non potrebbe avvenire senza un completo
avvicendamento della leadership a Kyev.
Ma questa ipotesi, appunto, rischia di rimanere del tutto accademica
(e di una accademia esclusivamente statunitense), poiché ignora
totalmente sia il dato oggettivo che quello soggettivo della Russia.
Per
Mosca sarebbe infatti assolutamente impensabile avviare qualsiasi
negoziato, senza che questo preveda di prendere in considerazione sia le
proprie esigenze strategiche, sia il costo umano ed economico sostenuto
per l’Operazione Speciale Militare, sia la situazione reale sul campo. L’idea del congelamento,
di cui si starebbe discutendo all’interno di svariati ambiti
politico-militari americani, nasce fondamentalmente da una duplice
convinzione: da un lato, che l’Ucraina – per quanto supportata dalla
NATO – non sarà mai in grado di ribaltare la situazione sul terreno, e
dall’altro che “né Kiev né Mosca sembrano inclini ad ammettere mai la
sconfitta” (5). Ma, appunto, ecco che torna l’autismo dei
vertici NATO: totalmente prigionieri della propria narrazione
propagandistica, questi si auto-convincono che l’obiettivo di Mosca
fosse la conquista dell’intera Ucraina, obiettivo il cui conseguimento
sarebbe stato impedito dalla resistenza delle sue forze armate. E quindi
il non essere riusciti ad occupare l’intero paese sarebbe la sconfitta che la Russia non vorrebbe ammettere. In questo senso, l’ipotesi coreana offrirebbe una via d’uscita.
Questo colossale abbaglio pone due grossi bastoni tra le ruote di un
possibile negoziato. Innanzitutto, conferma che a Washington sono
davvero molto pochi – e contano ancora meno – coloro i quali comprendono
le ragioni russe, e sanno guardare davvero obiettivamente alla
situazione sul campo di battaglia. Mosca, infatti, non ha mai, neanche
lontanamente, pensato di invadere ed occupare tutta l’Ucraina,
un’operazione che avrebbe richiesto un approccio radicalmente diverso, e
tanto per cominciare almeno un milione di uomini, non certo i 200.000
con cui è andata avanti per mesi l’OSM.
Per la Russia la questione
fondamentale sono le garanzie di sicurezza. Che si concretizzano
quantomeno nella certezza che in Ucraina non stazioneranno truppe NATO,
che Kiev non stipuli alcun accordo militare bilaterale con paesi membri
dell’Alleanza, che la Crimea venga riconosciuta come parte legittima
della Federazione. Ma che, in buona sostanza, riguardano il nuovo ordine
mondiale post-guerra.
Per quanto dolorosamente (e soltanto in presenza di garanzie ferree) potrebbe trattare su parte dei territori dei quattro oblast annessi. Ma tutto ciò che attiene alla propria percezione di sicurezza è chiaramente inderogabile.
Ma riconoscere alla Russia, sia pure non de jure, quelle che sono le sue richieste fondamentali – e che erano le stesse che poneva prima della
guerra… – significherebbe non solo ammettere la vittoria di Mosca (e
quindi la sconfitta della NATO), ma anche che la guerra si sarebbe
potuta evitare riconoscendo quelle medesime cose prima del febbraio
2022. In pratica, una debacle totale per la NATO e gli USA, quindi assolutamente inaccettabile per la Casa Bianca.
Anche
a prescindere dall’attore minore (Kiev), la posizione dei due
protagonisti rimane tale da escludere una soluzione negoziale, pur in
presenza di un interesse di entrambe a trovarla. Sia per Mosca che per
Washington, infatti, ciò che è non negoziabile per la controparte,
risulta inaccettabile.
Manca quindi del tutto il terreno per una
mediazione, sia pure tacita e non ufficializzata, su cui possa aprirsi
una negoziazione.
Stando così le cose, soltanto un mutamento del
quadro generale può far sì che questo terreno si apra, aprendo a sua
volta ad una soluzione diversa dalla vittoria manu militari.
Salvare capra e cavoli
I fattori che possono portare ad un tale mutamento sono abbastanza ristretti.
Può
determinarsi un cambiamento strategico della situazione sul campo, tale
che – pur senza arrivare alla sconfitta immediata dell’uno o dell’altro
– muti i rapporti di forza in misura tale da rendere evidente ed
inevitabile la resa futura di uno dei due.
Può incrinarsi in maniera
decisiva il fronte dei paesi NATO, rispetto alla prospettiva di un
prolungamento infinito del conflitto.
Può determinarsi un collasso delle capacità occidentali di alimentare la guerra nel teatro europeo, pompandovi armi ad ibitum, ed al contempo fomentare quella nel teatro pacifico, pompando armi a Taiwan.
Può determinarsi una non pianificata escalation, che rischi di portare il conflitto oltre una soglia che né gli USA né la Russia intendono varcare.
Le possibilità che l’Ucraina possa ribaltare la situazione
strategica, sono ovviamente pressoché pari a zero. E più il conflitto
perdura, più diventano impossibili.
Parimenti, appare improbabile che
ciò avvenga a parti invertite. Non tanto per una incapacità militare
russa, quanto perché questo richiederebbe uno sforzo suppletivo (che
Mosca non è ancora pronta a fare), e soprattutto perché la strategia
perseguita dal Kremlino prevede la distruzione lenta e sistematica del
potenziale bellico ucraino, a qualsiasi costo. Imprimere una
accelerazione si teme che possa spingere la NATO ad intervenire, cosa
che ovviamente si vuole evitare in ogni modo.
Per come si è delineata
la situazione politica, una spaccatura in ambito NATO sembra essere una
pura fantasia; i governi dei singoli paesi si sono prontamente pronati
ai voleri di Washington, dimostrando di non possedere alcuna capacità e
velleità di autonomia, l’Unione Europea si è felicemente e
subitaneamente trasformata nel braccio politico della NATO, e stante la
totale apatia ed afasia dei cittadini europei manca anche qualsivoglia
spinta dal basso, che possa premere in tal senso.
Che il sistema produttivo bellico occidentale possa entrare in crisi
seria, incapace di rispondere efficacemente alla domanda, è possibile,
ma non sul brevissimo periodo, e comunque ci sono ancora svariate
opzioni – sia pratiche, sia politiche – per fronteggiare questa
eventualità. Probabilmente, una crisi del genere potrebbe deflagrare
solo in presenza di una improvvisa impennata della richiesta, ma non si
vede cosa potrebbe determinarla.
Data la compresenza di numerosi
attori in scena, non tutti disposti ad obbedire sempre e comunque al
capocomico, la possibilità che si inneschi un meccanismo che sfugge al
controllo è sempre latente. Che si tratti di una provocazione, di una false flag,
o di un evento bellico reale, il rischio è effettivamente possibile.
Ma, se pure le cose dovessero per qualche ragione muoversi verso un’escalation,
questa ha solo due possibili esiti: l’intervento, e quindi lo scontro
diretto tra truppe NATO e russe, oppure il ricorso ad armi nucleari
tattiche.
È assai probabile che, di fronte ad una tale eventualità, scatterebbe una sorta di freno automatico, ma è molto difficile prevedere come si presenterebbe la situazione dopo la frenata, e non è detto che favorirebbe l’avvio di qualche negoziato.
Va a questo punto aggiunto che il tempo lavora contro l’occidente, e
comunque la si guardi questa potrebbe non essere una buona notizia.
Mentre la Russia lavora sulla lunga distanza, per gli USA/NATO più tempo
passa più le cose si complicano. Il che è poi fondamentalmente la
ragione per cui negli states si interrogano sul come trovare
una via d’uscita capace di salvare capra e cavoli. Ma fintanto che a
Washington non verrà accettata l’idea che per uscirne bene è necessario dare a Mosca assai più di quanto ora si sia disposti a dare, non si vede quale possa essere l’exit strategy. Quindi, c’è il rischio che prima o poi salti fuori qualche dottor Stranamore, e si faccia strada l’idea di forzare la mano.
Insomma,
la mancanza di prospettive di pace, od anche solo di apertura di una
fase negoziale, sono davvero poche al momento, e non solo per mancanza
di volontà. Le cose si sono spinte troppo avanti, e la partita è
importantissima per entrambe, il che rende molto difficile individuare
spazi di mediazione. Se poi una parte rifiuta di vedere la realtà,
diventa quasi impossibile. E questa è davvero una brutta notizia.
Se guardiamo a questa guerra, com’è giusto che sia, inquadrandola
nell’ambito di un più ampio conflitto, ancora tutto in divenire, e che
oppone gli Stati Uniti ed i suoi alleati ad un’altra serie di paesi,
guidati da Russia e Cina, risulta evidente come essa rappresenti un
fondamentale punto di svolta. La guerra russo-ucraina segna un giro di
boa, nel confronto globale in atto. Per un verso, perché lo ha fatto
drammaticamente emergere, e dall’altro perché segna un punto di non
ritorno.
Con però una differenza rilevantissima. Per la Russia
perdere questa battaglia significa essere definitivamente sconfitta, ed
in pratica essere espulsa dal novero delle grandi potenze (e per inciso,
questa è una eventualità inaccettabile non solo per Mosca, ma anche per
Pechino, che a quel punto perderebbe un partner insostituibile; se le
cose si mettessero male per la Federazione Russa, la Cina interverrebbe
nel conflitto). Per gli USA perdere in Ucraina sarebbe un colpo
gravissimo, ma non mortale. Quando ha ritenuto che non avesse più
valore, non ha esitato a scappare dall’Afghanistan in quattro e
quattr’otto. È stata largamente sconfitta nella precedente proxy war contro la Russia, quella in Siria – ed oggi, con il rientro di Damasco nella Lega Araba, la sconfitta è completa e totale.
Quindi Washington cercherà sino allo stremo di ottenere un risultato
militare significativo in Ucraina, ma alle brutte mollerà
tranquillamente Kyev per concentrarsi altrove. Chi pagherebbe il prezzo
maggiore, in termini politici ed economici, di una guerra di lunga
durata sarebbe soprattutto l’Europa, appecoronata agli interessi
statunitensi. E se domani alla Casa Bianca decidessero di lasciare la
proprio destino gli ucraini, sarebbe sugli europei che ricadrebbe il
costo maggiore della ricostruzione – oltre a dover gestire qualche
milione di profughi, niente affatto felici di tornare in un paese
devastato, ed alcune centinaia di migliaia di combattenti nazisti e loro
simpatizzanti, inferociti come belve.
Gli USA non sono interessati a
proteggere né gli ucraini né gli europei. Se non si profila una via
negoziale che gli consenta di uscire dal pantano senza risultare
sconfitti (e per come stanno le cose ciò appare impossibile), e la
continuazione della guerra dovesse risultare impraticabile,
abbandoneranno Kyev come hanno fatto con Kabul.
Paradossalmente,
quindi, la cosa migliore per gli europei sarebbe una vittoria militare
russa, che costringa l’occidente a negoziare.
1 – I Javelin sono stati progettati dalle industrie Raytheon e Lockheed Martin, ed hanno un costo unitario di 256.000 $
2 – “Ukraine could join ranks of ‘frozen’ conflicts, U.S. officials say”, Politico.com
3 – “L’autismo occidentale”, Giubbe Rosse News
4 – “Qualsiasi
idea di ‘conflitti congelati’ che si sente periodicamente nei media è
una finzione, un prodotto pseudo-analitico e un fulcro degli sforzi di
lobbying da parte della diplomazia russa. Non ci sono tali scenari
all’ordine del giorno e non vengono discussi in nessun ufficio. Tutti
gli attori sono ben consapevoli delle risorse e del tempo limitati a
disposizione della Federazione Russa e dell’élite di Putin. Il percorso è
invariato. Lo finiremo”, Twitter
5 – “Ukraine could join ranks of ‘frozen’ conflicts, U.S. officials say”, Politico.com
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