Antinatalismo, la volontà di estinzione
di Roberto Pecchioli - 26/05/2023
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/antinatalismo-la-volonta-di-estinzione
Fonte: EreticaMente
Se dovessimo scegliere un’immagine per fotografare lo stato
della nostra civilizzazione, saremmo incerti tra l’automobile di Thelma
e Louise lanciata nel burrone al termine della fuga delle due amiche
insoddisfatte, e il Titanic illuminato con i passeggeri impegnati in
feste danzanti mentre la nave correva verso la fatale montagna di
ghiaccio. La gaia morte, una tenace volontà di estinzione mascherata da
libertà, luce e diritti, si è impadronita dell’occidente terminale e il
punto di non ritorno è stato probabilmente superato.
Se invece
volessimo individuare il crocevia culturale di tutte le ideologie
postmoderne, indicheremmo senz’altro l’antinatalismo, punta avanzata del
cupio dissolvi ( ansia di annullamento) dell’umanità d’occidente, nuda e
gaia dinanzi alla sua (meritata) uscita dalla storia. La femminista
radicale statunitense Kimberle Crenshaw ha introdotto la categoria di
intersezionalità per descrivere la sovrapposizione (“intersezione”) di
tutte le discriminazioni, oppressioni e dominazioni sociali. Si tratta
di categorie biologiche, sociali e culturali, come il genere/sesso,
l’orientamento sessuale, la religione, le classi di età, i ceti e le
stratificazioni sociali, la disabilità, la nazionalità e perfino la
specie. L’idea della Crenshaw è che queste ed altre identità agiscano a
molteplici livelli simultanei . Tutto è interconnesso per costruire
molteplici forme di oppressione e discriminazione che si incontrano e
incrociano.
Se utilizziamo – rovesciandolo. – il criterio della
Crenshaw , diventa chiaro che l’antinatalismo è il punto d’incontro, il
filo rosso che unisce tutte le ideologie del progressismo postmoderno.
L’intersezione è l’odio per la vita e l’essere umano. Che cos’altro è –
gettate le maschere e le giustificazioni teoriche – se non questo, il
sistema di valori dominante fondato sul disprezzo per la vita umana,
comune all’abortismo forsennato visto come diritto universale; il
femminismo radicale che considera la maternità un costrutto sociale e
produce movimenti come quello delle donne “ child free” che rifiutano di
essere madri; il climatismo green che odia l’uomo in quanto
inquinatore, veleno di un’inesistente Arcadia naturale; l’antispecismo
che mette sul medesimo piano l’uomo e gli altri viventi; l’eutanasia che
toglie di mezzo malati, deboli, anziani, perfino poveri , in nome della
“qualità della vita”; la promozione sin dall’infanzia di forme di
sessualità sterili, disinteressate alla funzione primaria, naturale,
quella della riproduzione della vita; la banalizzazione di ogni forma di
dipendenza, dalle droghe ai farmaci, all’alcool, dal gioco al sesso;
l’ideologia della competitività sociale e dell’individualismo estremo
che vede nell’Altro un nemico da abbattere o un oggetto da usare e
possedere ?
Le linee che uniscono l’ideologia postmoderna – che
chiama se stessa cultura della cancellazione – convergono in un centro
il cui nucleo forte è l’odio per la vita, il disprezzo per l’essere
umano e, di conseguenza, la pratica di comportamenti e stili di vita il
cui tratto comune è l’interruzione dell’esistenza umana. E’ una
costruzione profondamente pessimistica, angosciosa e angosciante al di
là dell’ostentata allegria di naufraghi, il cui esito inevitabile è la
fine di una civilizzazione devitalizzata e denaturata per estinzione
volontaria, addirittura felice di cancellare se stessa, un
autolesionismo di massa paragonabile all’incomprensibile condotta
suicida di certi cetacei che vanno incontro alla morte fuggendo
dall’elemento naturale, l’acqua, per finire spiaggiati sulla terraferma.
Tutto
ciò ha immense ricadute culturali, ambientali, geopolitiche, sociali,
oltreché demografiche. Perciò, prima di esaminare l’universo ideale
dell’antinatalismo ( nonché i suoi mentori e finanziatori) occorre uno
sguardo d’insieme, o meglio un “pensiero meditante” con prospettiva
storica e insieme filosofica. La presa d’atto è la trasformazione del
potere in biopotere, ossia in dominio sulla vita, a partire dalla
sorveglianza capillare, dal controllo del corpo fisico e della capacità
di determinare i comportamenti da parte dei padroni della narrazione
dominante.
Nella teoria dello Stato di Hermann Heller, giurista e
politologo tedesco ( 1891-1933), territorio (spazio) e popolo (tempo)
sono i due elementi costitutivi dell’unità politica. Lo spazio e il
piano configurano la forma politica; l’ oggetto immediato è
l’ordinamento dello spazio, poiché su di esso si organizza e persiste la
convivenza umana (il piano). Sintomi inequivocabili di decadenza sono
sia il restringimento dello spazio, la perdita di posizioni
territoriali, sia lo spopolamento o il crollo della natalità. Una
comunità politica senza territorio scompare. Una comunità politica senza
nascite si estingue. La coscienza spaziale di un popolo è geopolitica
(geografia politica), quella temporale è demopolitica (demografia
politica) .
Hannah Arendt ricorda che “la natalità, e non la
mortalità, è la categoria centrale del pensiero politico, poiché la
politica si basa sulla pluralità degli uomini”. Tuttavia l’articolazione
di questo evento prepolitico (la nascita di nuovi esseri umani e, di
conseguenza, il susseguirsi delle generazioni) non è univoca, ma
condizionata dal metabolismo demografico di ogni gruppo umano, creatura
collettiva complessa che cresce e decresce, sottoposta a leggi che non
conosciamo e sulle quali il potere cerca di influire.
La biopolitica
ha due facce opposte, una “popolazionista” (antimalthusiana) e l’altra
antipopolazionista (malthusiana). Popolazionismo e antipopolazionismo
trascendono le dicotomie destra-sinistra, conservatori- progressisti,
accidentali e prive di contenuto, equivoci da cui uscire al più presto,
Non sorprende che il socialismo originario, che si definiva umanitario,
sia stato popolazionista. Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) diceva che
nessun uomo è di troppo. “ Non c’è più nessuno al mondo – solo Malthus –
che sia diventato antipopolazionista.” La destra economica passa
disinvoltamente dall’una all’altra posizione in base ai suoi interessi.
Nella fase presente, la tecnologia rende inutile l’ apporto di ingenti
masse umane per mandare avanti la macchina produttiva, tecnologica e
perfino la guerra, “igiene del mondo” per le oligarchie. Le diverse
attitudini verso la crescita o il declino della popolazione hanno una
sorprendente correlazione con lo spazio e con la guerra. Per il
sociologo francese Gaston Bouthoul (196-1980), studioso dei fenomeni
bellici, le potenze talassocratiche – marittime – ( Usa e Gran Bretagna )
sono antipopolazioniste, navali ( oggi aeronautiche e spaziali) nel
loro concetto di guerra, campi in cui la superiorità è una questione di
ricchezza e tecnologia, e richiede un numero relativamente basso di
combattenti. Le potenze continentali, invece, “vivono con l’ossessione
della fragilità dei loro confini, della forza degli eserciti moderni e
dello spaventoso consumo di uomini nelle guerre recenti” . Anche Carl
Schmitt rilevò la stretta correlazione tra i principi del nuovo diritto
internazionale rivendicati dalle potenze marittime e le loro pressioni
per ridurre la natalità, che considerava “argomenti immorali e disumani
di una concezione del mondo individualista e liberale.” Oltre la
transizione demografica che si svolge silenziosamente da oltre mezzo
secolo nelle camere da letto di tutta Europa – adesso anche altrove –
avanza un’altra agenda in lotta contro la vita. È una cultura della
morte sganciata da ogni considerazione morale in senso tradizionale,
spirituale o trascendente, che si esprime in una politica che scoraggia
le nascite, alimentata dal clima metaculturale imposto e dalla
legislazione “positiva”. Questa corrente antinatalista di lungo periodo è
alimentata da una tendenza senza precedenti nella storia: la
trasformazione della procreazione in un atto volontario e riflessivo. Le
tecniche farmacologiche, in particolare la pillola anticoncezionale e
poi la banalizzazione dell’aborto, hanno prodotto nel tempo lo
sganciamento della sessualità dalla procreazione. La tappa successiva,
in corso con enorme dispiegamento di mezzi, è la promozione di ogni
forma di sessualità sterile. Bouthoul descrisse la trasformazione della
mentalità (demografica) tradizionale: quando la procreazione era un
fatto normale, la riflessione personale condizionava l’astinenza
sessuale; quando il comportamento normale è la non procreazione, ciò
che richiede una valutazione cosciente e riflessiva è la sessualità
orientata alla nascita di nuovi membri della comunità. E’ un paradosso
di enorme rilevanza politica: l’inibizione procreativa, conseguenza
della razionalizzazione generalizzata, è diventata senso comune e non ha
più bisogno di diventare riflessiva, poiché è la condotta “normale”
introiettata dalla maggioranza. In questa cornice sfavorevole alla
vita e alla continuità delle generazioni – in cui hanno un ruolo
primario lo sfascio dell’istituzione familiare e la corsa al successo
individuale in cui i figli sono un ostacolo – l’antinatalismo
ideologico gioca la sua partita senza riconoscere il suo ovvio approdo:
la fine delle comunità, dei gruppi umani e delle civiltà che riesce ad
improntare. O forse, esattamente quello è il suo obiettivo. Dopo la
carneficina della gioventù europea sulle trincee della prima guerra
mondiale e la spaventosa guerra chimica messa in atto dai contendenti,
Paul Valéry scrisse: adesso le civiltà sanno di essere mortali. Nessuna,
tuttavia, ha mai posto in essere un preciso progetto suicida.
In
quanto ideologia negativa, l’antinatalismo mira a delegittimare
moralmente chi ha figli per imporre un ethos anti familiare adattato al
mondo post-umano di soggetti isolati e iperdigitalizzati imposto dalle
classi dominanti. Padri e madri , derubricati a genitori 1 e 2, sono
vittime di un’autentica guerra. L’antinatalismo si fa strada modificando
nell’intimo la natura umana e l’istinto di specie, attraverso forme di
stravolgimento della natura, figlie delle teorie di psicologi come John
Watson e Burrhus Skinner, i padri del comportamentismo , che ci
trasforma in cavie da laboratorio sottoposte a rieducazione.
Il modus
operandi antinatalista consiste nel capovolgere la realtà, affermando
contro ogni evidenza che esiste una pressione sociale per avere figli
invece di non averli. La realtà è opposta: dilagano le voci impegnate ad
affermare che mettere al mondo figli è “eticamente problematico”, per
motivi ambientali e non solo. Altri esprimono un gelido pessimismo in
contraddizione con il mito del progresso: “riprodursi è un atto del
tutto egoistico: tuo figlio o tua figlia vivranno in un mondo orribile”,
asserisce un attore spagnolo assai popolare tra i giovani, Eduardo
Casanova.
L’antinatalismo non solo contribuisce all’inverno
demografico, ma esprime altresì una visione distruttiva rivolta alle
donne: essere madre e femminista, asserisce, non è possibile perché il
femminismo emancipatorio non può essere allineato con il “fronte
natalista, maternalista (???) patriottico”. In questa ( confusa) guerra
culturale, la vera battaglia per la trasformazione comportamentale della
popolazione si svolge nell’edificazione di un immaginario condiviso che
presenta la sterilità come orizzonte di civiltà e progresso.
L’industria dello spettacolo è il principale strumento dell’ operazione:
serie televisive, film, messaggi pubblicitari smantellano
quotidianamente il “mito” della maternità e invitano di fatto ogni donna
a escludere dal proprio orizzonte la generazione di figli, anche per
evitare dolori e frustrazioni. Clock, una recente produzione Disney per
ragazzi, racconta i “disagi” di una donna che subisce una pressione
sociale crudele e soffocante perché abbia figli. Questa pressione, per
quanto irreale e poco plausibile, trasmette allo spettatore adolescente
l’impressione che non generare figli oggi sia una posizione eroica nel
momento in cui è vero esattamente il contrario. Prodigi del conformismo
finto trasgressivo a cui il potere educa le generazioni. Ultime
generazioni, poiché la vittoria dell’antinatalismo comporta l’estinzione
biologica della parte di umanità che presta fede alle sue follie
suicide.
L’antinatalismo, dicevamo, è il punto di intersezione di
vari movimenti e suggestioni al cui centro vi è la volontà di porre fine
alla nostra civiltà. Non è senza significato che uno dei gruppi più
attivi – impegnato anche in atti vandalici contro monumenti e opere
d’arte – si chiami Extinction Rebellion. L’inversione raggiunge il suo
massimo: si ribellano all’estinzione della natura lavorando di fatto
per quella dell’homo sapiens. Tutto si tiene nel breviario suicida delle
marionette guidate dalla volontà misantropica e antiumana dell’ élite.
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