Uranio impoverito della NATO esplode in Ucraina nel silenzio dei media
Francesco Santoianni
Avanti.it
Uranio impoverito? Nessun problema, secondo i media mainstream, tutti intenti a smentire il comunicato del Consiglio di sicurezza della Federazione russa su una nube radioattiva ertasi sopra l’arsenale ucraino di Khmelnitsky dopo la distruzione di missili britannici, con ogiva a uranio impoverito, lì custoditi. Smentite irresponsabili considerando che arrivano ad affermare che, essendo l’uranio impoverito un elemento pesante, «non può causare fenomeni radioattivi nell’aria» e che «il nome stesso, impoverito, suggerisce come sia un materiale molto meno radioattivo dell’uranio. Così poco da emettere solo (sic!) raggi alfa, particelle in grado di viaggiare solo per pochi centimetri in aria e rilevabili solamente in loco. Inoltre, sono pericolosi per la salute solo (sic!) se la loro sorgente viene ingerita o inalata». E a queste farneticazioni ci sarebbero da aggiungere sorprendenti vaneggiamenti, come quelle di Lorenzo Cremonesi del Corriere della Sera: «(le armi ad uranio impoverito) vengono usate in tutte le parti; sono solo alcune delle tante armi usate».
Ma è proprio così?
Proiettili all’uranio impoverito cominciarono ad essere impiegati da truppe americane e britanniche nella guerra del Golfo (1990-1991). Ufficialmente perché: se sottoposto a forti pressioni, l’uranio impoverito è piroforico ed esplode in frammenti incandescenti (fino a 3.000 °C); è sufficientemente denso e pesante per potere forare corazze; è più economico del tungsteno, essendo realizzato con scarti della raffinazione dell’uranio naturale. Quest’ultima affermazione, sbandierata dai media, è semplicemente ridicola considerando che il tungsteno (da sempre usato negli ordigni bunker buster e cioè ad alta penetrazione) è economico, piroforico (pur sviluppando temperature molto più basse) e con un grande potere penetrante. E allora? Perché, invece del collaudato tungsteno, si usa il tossico uranio impoverito?
Una risposta l’ha data, Maurizio Torrealta, un giornalista RAI: il calore prodotto dall’uranio impoverito non dipende dalla compressione alla quale è sottoposto al momento dell’impatto ma, in alcuni casi, da una fissione nucleare innescata da quella compressione. Così, ad esempio, in Iraq, un ordigno USA ad uranio impoverito avrebbe sviluppato cinque kilotoni “sciogliendo” le pareti in acciaio di un bunker sotterraneo pieno di civili. Un episodio certamente non dimenticato dagli analisti del Cremlino considerando le parole pronunciate di Putin sul prospettato invio in Ucraina, di proiettili e missili britannici ad uranio impoverito: «…se l’Occidente iniziasse ad usare armi con componenti nucleari, la Russia reagirà di conseguenza.»
Ma aldilà di questo possibile aspetto delle armi ad uranio impoverito, il loro più ignobile scopo, così come documentato dalla benemerita Coalizione internazionale per la messa a bando delle armi ad uranio impoverito, è l’essere state inventate per condannare il territorio dello Stato canaglia di turno a restare una malsana landa anche quando l’aggressione militare sarà ufficialmente conclusa. Ne ha già fatto le spese l’Iraq dove, nel 1991, ordigni USA ad uranio impoverito USA hanno prodotto una crescita esponenziale di tumori e leucemie nella popolazione e di malformazioni nei nascituri; la stessa sorte toccata alla Jugoslavia, alla Somalia, all’Afghanistan e che domani, secondo le speranze della NATO, potrebbe riguardare anche il Donbass, la Crimea e la Russia.
Intanto, nel silenzio dei media mainstream, prosegue la battaglia per rendere giustizia ai tanti militari italiani vittime (8000 ammalati, 400 morti) dell’uranio impoverito utilizzato, soprattutto, nel Kosovo. Su questa vicenda un davvero illuminante articolo fa luce sul ruolo avuto dall’allora ministro della Difesa per insabbiare tutto, a costo di negare l’evidenza. Indovinate chi era?
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