I campioni dei “diritti” rivelano il loro vero volto: illiberale e antidemocratico
Fa male che a provocare tutto ciò siano state delle donne, fa male che si urli al pericolo fascista, e poi si agisca impedendo la libertà di parola
Sono esponenti (così si auto-identificano) di Non una di meno ed Extinction Rebellion, che, urlando slogan del tipo: “Via il governo dalle nostre mutande”, coprono ogni tentativo di normale democratico confronto.
Presentazione bloccata
Il fatto: il ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, al Salone del Libro di Torino per presentare il suo libro “Una famiglia radicale” (Rubettino), autobiografico, che racconta la storia della sua famiglia radicale, di suo padre Franco che il Partito Radicale ha contribuito a fondarlo, è stata insultata e le è stato, di fatto, impedito di parlare da militanti femministe inferocite, presenti tra il pubblico.
Giovani donne (pare) capitanate da donne adulte (tre insegnanti?). Appena il ministro ha preso la parola per raccontare del suo libro, gli attivisti e le femministe hanno cominciato a urlare slogan e si sono seduti per terra nella sala, ed al grido di “Fuori Roccella dal Salone!”, alternato a “Roccella frusta fregna” (forse detto in dialetto suona meglio?) ed altri epiteti ad oltranza, cori, cartelli (“Aborto libero” e “RU486 in ogni ospedale”), fischi, urla, hanno bloccato la presentazione.
Nessun dialogo
La polizia è subito intervenuta. Il ministro Roccella ha quindi chiesto un confronto pubblico, e sul palco è salita una militante che ha letto un proclama su aborto e inquinamento. Come un flipper, sventolando slogan privi di ragioni e di capacità argomentativa.
Era doverosa la risposta del ministro, ma le è stata impedita. “Volevo un dialogo, tu hai solo letto un comunicato”, ha affermato. Lei che si dichiara femminista e cercava di tranquillizzare i presenti sulla 194 e altre leggi che non si devono toccare, si è rivolta agli altri manifestanti pregandoli di unirsi alla lotta “contro l’utero in affitto, contro la mercificazione del corpo delle donne, contro un mercato razzista dove i figli delle donne nere costano meno di quelle bianche”.
Sarebbe stato molto meglio che urlare becere frasi irrispettose. Ma non c’è stato molto da fare. Il dialogo non c’era, bensì la determinazione alla protesta, ad impedire che una persona, al di là del suo ruolo, potesse raccontare. Potesse parlare.
Questa è la gravità, ed a rincarare la dose è stato il direttore del Salone, Nicola Lagioia, affermando (in tre parole): “È la democrazia, bellezza! Anche la contestazione è un gioco democratico. State manifestando pacificamente, adesso cercate un dialogo”.
Peccato che il dialogo non c’è stato. E non per colpa del ministro, bensì di chi, con “Fuori i fascisti dal Salone!” ha decretato l’uscita di scena di Roccella che, pur addolorata, ha ritenuto fosse la cosa migliore.
Fa male che a provocare tutto ciò siano state delle donne, fa male che si urli al pericolo fascista, e poi si agisca impedendo la libertà di parola. Fa male che si parta da presunzioni, ideologismi e preconcetti, chiudendo la mente al confronto, alla possibile collaborazione e condivisione. Fa male che un ministro della Repubblica non abbia potuto esprimere le proprie opinioni, che ha preferito andarsene, al grido di “del dialogo ce ne freghiamo” e “Ciao Roccella, ciao”, anziché occupare risorse di Stato a proteggerla.
Come al solito, i campioni dei diritti (ma pochi doveri) e di chi pretende di darci lezioni di democrazia ha messo in luce la natura illiberale e antidemocratica di una compagine politica che da sempre si veste di libertà.
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