Attraverso tre oceani – l’Atlantico, l’Indiano e il Pacifico – e due fronti – la Prima Catena Insulare con epicentro a Taiwan e il Cordone Baltico-Mar Nero incentrato sull’Ucraina – gli Stati Uniti cercano di riconquistare il loro dominio militare globale e la loro preminenza politica fin da quando l’ex presidente americano George W. Bush ha lanciato la disastrosa “Guerra al Terrore” nel 2001 col pretesto di combattere il terrorismo globale. La strategia di Washington per contrastare qualsiasi potenza che abbia il potenziale per diventare leader regionale e minacciare il primato globale degli Stati Uniti si concentra sul super-continente eurasiatico, nell’Europa orientale per contrastare la Russia e nel Pacifico occidentale per contrastare la Cina.
Articolo originale: NATO part of US ocean-front strategy – Chinadaily.com.cn
Digby
James Wren è un analista politico, consigliere speciale senior
dell’Istituto per le relazioni internazionali dell’Accademia Reale di
Cambogia.
L’India vacillante nella strategia dell’Indo-Pacifico
Nel 1972, riconoscendo nel Comunicato di Shanghai che “tutti i cinesi su entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan sostengono che esiste una sola Cina e che Taiwan è una parte della Cina”, Washington ha soddisfatto la sua necessità di stabilire una distensione con la Cina in modo da potersi disimpegnare dal Sud-Est asiatico (guerra del Vietnam) per concentrare gli sforzi nel contrastare l’Unione Sovietica. Tuttavia, la strategia “Indo-Pacifica” statunitense del 2016 dimostra che gli USA vogliono disperatamente frenare l’ascesa della Cina, e che non possono farlo senza l’aiuto del Giappone e dell’India (o di altri importanti alleati). Il Dialogo Quadrilaterale (o Quad, che comprende Stati Uniti, Australia, India e Giappone) e l’alleanza AUKUS (Australia, Regno Unito e Stati Uniti) testimoniano che, a differenza dell’Australia e del Regno Unito, il Giappone e l’India non sono semplici ausiliari degli Stati Uniti nell’attuazione della strategia nell’Indo-Pacifico.
Nonostante gli incentivi e la coercizione degli Stati Uniti, l’India ha promosso il multipolarismo e la de-dollarizzazione. Oltre ad aver mantenuto, se non rafforzato, il commercio di energia e armi con la Russia nonostante il conflitto russo-ucraino, l’India è diventata più influente a livello globale grazie alla sua partecipazione al Quad, all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e ai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Mentre la partecipazione dell’India è limitata al Quadro economico indo-pacifico guidato dagli Stati Uniti, il Paese non ha aderito ad accordi commerciali multilaterali regionali come il Partenariato economico globale regionale guidato dall’ASEAN o l’Accordo globale e progressivo per il Partenariato trans-pacifico guidato dal Giappone.
Il Giappone deve affrontare profonde sfide strutturali
Il Giappone ha molto da guadagnare dalla promozione del commercio e degli investimenti con l’India e vede vantaggi per la sicurezza reciproca nella promozione delle linee di comunicazione marittime attraverso l’Oceano Indiano. Tuttavia, il Giappone deve affrontare profonde sfide strutturali, tra cui il deprezzamento della valuta, l’aumento dei costi delle importazioni di prodotti alimentari, energia e fattori produttivi industriali, il calo delle esportazioni, l’aumento del deficit delle partite correnti e l’ingente debito pubblico. Ad esempio, l’industria giapponese delle esportazioni di veicoli è in ritardo rispetto alla cinese BYD e alla statunitense Tesla nella produzione e nell’esportazione di veicoli elettrici. Inoltre, le esportazioni di veicoli con motore a combustione interna sono diminuite e Toyota è diventata l’azienda automobilistica più indebitata al mondo. Ed è altresì vero che la “Abenomics” non è riuscita a risollevare l’economia giapponese. Tuttavia, il tentativo dell’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe di eliminare l’articolo 9 dalla Costituzione pacifista del Giappone e di intraprendere il riarmo totale sta procedendo piuttosto bene con il tacito sostegno degli Stati Uniti.
Inoltre, il rifiuto del Giappone di firmare un trattato di pace con l’Unione Sovietica in passato, e il suo sostegno al regime di sanzioni guidato dagli Stati Uniti, indicano che il Giappone spera da tempo di avere la meglio nella disputa con la Russia sulle isole note come Curili meridionali e sui territori settentrionali, che hanno tutti importanti vantaggi in termini di sicurezza e significative risorse economiche.
Proseguimento della politica di allargamento della NATO
Il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan e il collasso della campagna in Asia centrale hanno spinto la NATO a spostare la propria linea operativa verso la periferia occidentale della Russia, lungo una linea di Stati NATO che va dal Mar Baltico al Mar Nero e che coinvolge Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia e Turchia. Nonostante la reticenza di Ungheria e Turchia, la guerra per procura della NATO in Ucraina – dipinta dalla NATO come un atto di “autodifesa” e dalla Russia come una continuazione della politica di allargamento della NATO – è sostenuta dal sangue ucraino e dalla fornitura di denaro, materiali, armi, intelligence, mercenari e addestramento da parte degli Stati Uniti e di altri membri e alleati della NATO. Tra l’altro, l’approvvigionamento di denaro e materiali è favorito dalla più severa campagna di sanzioni e dal furto delle riserve estere russe da parte degli Stati Uniti.
Tuttavia, il conflitto Russia-Ucraina può essere visto anche come un’azione di retroguardia della NATO per contrastare la crescente vicinanza e influenza degli otto Stati membri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai: Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, India e Pakistan. Particolarmente preoccupante per gli Stati Uniti e la NATO è la continua importazione di energia dalla Russia e l’aumento delle forniture di manufatti e apparecchiature di telecomunicazione avanzate dalla Cina. Ma a preoccupare Washington è anche l’espansione della connettività infrastrutturale grazie allo sviluppo dell’Iniziativa Belt and Road, che collega gli Stati membri della SCO con le loro controparti dell’UE e sostiene volumi crescenti di commercio e investimenti est-ovest.
Inoltre, il crescente desiderio degli Stati dell’UE – sotto la guida prima dell’ex cancelliere tedesco Angela Merkel, e poi del presidente francese Emmanuel Macron – di ottenere una “autonomia strategica” dopo che Bush aveva lanciato la “guerra al terrorismo”, è stato visto da Washington come una seria minaccia alla coesione della NATO e alla capacità degli Stati Uniti di contrastare la crescente influenza di Russia e Cina. Di conseguenza, gli Stati Uniti hanno ampliato la portata delle loro campagne politiche nell’UE per reimporre la propria centralità nella NATO, rafforzare l’alleanza militare e promuovere la vendita di energia statunitense. Quanto alla Brexit, che Washington ha apertamente sostenuto, essa ha accelerato il declino economico del Regno Unito, pur garantendogli il mantenimento del seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ma il sacrificio dei più ampi interessi nazionali dei 27 Stati membri dell’UE a vantaggio degli Stati Uniti non è coerente con la politica inclusiva e reciprocamente vantaggiosa dell’UE. Di fatto, la Brexit ha contribuito a espandere l’influenza degli Stati Uniti nell’UE e nella NATO, minando l’UE e aumentando la dipendenza del Regno Unito dagli Stati Uniti. Da parte loro, gli USA hanno sostenuto l’espansione dell’UE sempre a condizione che il blocco europeo sostenesse l’espansione della NATO.
La propaganda statunitense sull’eccessiva dipendenza della Germania dall’energia russa e sull’importanza della NATO è stata lanciata prima delle dimissioni della Merkel da cancelliere tedesco, e del cambiamento che ha visto l’Unione Cristiano-Democratica sostituita da una debole coalizione “a semaforo” – Partito Socialdemocratico, Partito Democratico Liberale e Partito Verde – ossia dal primo governo di coalizione a tre partiti in Germania dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Questa nuova coalizione ha acconsentito alle richieste degli Stati Uniti e ha revocato la propria decisione sia sul Nord Stream 2 che sul coinvolgimento della NATO in Ucraina.
Il Nord Stream 2 si estende per 1.200 chilometri da Vyborg in Russia attraverso il Mar Baltico fino a Lubmin in Germania, aggirando Ucraina e Polonia. Si prevedeva che la linea Nord Stream I sarebbe stata ampliata e avrebbe raddoppiato la fornitura annuale di gas russo a 110 miliardi di metri cubi. Tuttavia, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha resistito per un po’ di tempo alle pressioni degli Stati Uniti e alle richieste di sempre più armi tedesche e denaro per l’Ucraina, ma ha aumentato la spesa per la difesa della Germania, soprattutto per i caccia F-35, minando il settore della difesa/aerospaziale dell’UE e creando una dipendenza a lungo termine dall’industria della difesa statunitense e dal Pentagono. L’economia tedesca rimane certo solida, nonostante l’aumento dei costi energetici e l’inasprimento della concorrenza globale.
Tuttavia, come il Giappone, il settore automobilistico tedesco è in ritardo rispetto a BYD e Tesla. In effetti, il settore automobilistico dell’UE potrebbe subire un’ondata di fallimenti e ristrutturazioni, senza contare che Volkswagen è diventata la seconda azienda più indebitata al mondo, dopo Toyota. Molte delle maggiori case automobilistiche tedesche hanno stretto accordi con la Cina per la produzione e la fornitura di auto, parti di auto e sistemi per auto. Scholz ha visitato la Cina prima del vertice del G20 a Bali del 2022 con l’obiettivo di rafforzare i legami commerciali sino-tedeschi. Più di recente, con il sostegno dei francesi, Scholz si è aspramente lamentato degli enormi sussidi che l’amministrazione statunitense versa alle case automobilistiche e dei prezzi gonfiati dell’energia negli Stati Uniti, affermando che essi minano gli sforzi di ristrutturazione dell’UE e la ripresa post-pandemia.
Il forte sostegno di Macron all’autonomia strategica dell’UE e l’opposizione alla politica degli Stati Uniti sulla NATO e sulla Russia sono stati presi di mira da una campagna statunitense per indebolire le sue possibilità di essere rieletto presidente francese nel 2022. Gli Stati Uniti hanno anche favorito la cancellazione di due contratti di difesa multimiliardari: l’Australia ha annullato l’accordo con la Francia per la costruzione di sottomarini da 90 miliardi di dollari australiani (63,48 miliardi di dollari) e ha costituito l’AUKUS con il Regno Unito e gli Stati Uniti, in base al quale questi ultimi due paesi assisteranno l’Australia nell’acquisizione di sottomarini a propulsione nucleare entro la metà degli anni ’30. Inoltre, l’Australia ha sostituito gli Airbus MRH90 Taipan, attualmente in dotazione alle forze armate australiane, con gli elicotteri Blackhawk di fabbricazione statunitense.
Gli Stati Uniti hanno anche cercato di costringere la Grecia ad annullare un accordo da 3 miliardi di euro (3,25 miliardi di dollari) per l’acquisto di fregate francesi e di fregate da combattimento di produzione statunitense, che i greci hanno infine rifiutato.
Tutto ciò ha costretto Macron a recarsi alle urne nonostante la perdita di entrate per decine di miliardi e di migliaia di posti di lavoro, nonché le violente manifestazioni dei Gilet Gialli contro l’aumento della tassa sulla benzina. E sebbene lui abbia vinto le elezioni presidenziali al secondo turno, il suo partito non è riuscito a ottenere la maggioranza alle elezioni parlamentari, in uno scenario in cui – per la prima volta dal 1988 – nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta o semplice, il che ha limitato il suo programma politico durante il secondo mandato ma ha ampliato l’influenza degli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti cercano di spingere i cunei tra Cina e ASEAN
Anche nell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico gli Stati Uniti hanno cercato di occupare il centro della scena, inducendo, coercendo e/o convincendo sei Stati membri dell’ASEAN (Singapore, Brunei, Vietnam, Filippine, Thailandia e Malesia) a influenzare il blocco verso l’isolamento di Myanmar, Cambogia e Laos. Gli sforzi degli Stati Uniti per creare un cuneo tra l’ASEAN e altre economie, e per dividere l’ASEAN, hanno spinto alcuni Stati membri dell’ASEAN a ritardare o a rifiutare di firmare il codice di condotta per il Mar Cinese Meridionale, sponsorizzato dalla Cina, e a sviluppare legami diplomatici e commerciali più stretti con la cinese Taiwan.
L’Indonesia, che avrà la presidenza dell’ASEAN nel 2023, si oppone fermamente all’AUKUS e alla proliferazione nucleare. In effetti, il piano degli Stati Uniti di fornire capacità nucleari all’Australia ha scatenato forze pro-nucleari in Indonesia, Vietnam, Giappone e Repubblica di Corea.
Mentre la Cina e l’ASEAN sono i maggiori partner commerciali, gli Stati Uniti sostengono di essere i maggiori investitori (reinvestitori) della regione. Per contrastare la Cina e consolidare la propria presenza nella regione, gli Stati Uniti hanno costruito una rete di programmi politici che si rivolgono ai giovani dell’ASEAN, diffondono informazioni negative su Cina, Russia e Myanmar attraverso i mass media e le campagne sui social media, sostengono apertamente i partiti e i candidati dell’opposizione e usano selettivamente i diritti umani per giustificare restrizioni e sanzioni con cui costringere all’uniformità.
Non c’è da stupirsi che le élite politiche di tutta la regione siano preoccupate che la narrazione degli Stati Uniti sulla democrazia, coperta da discorsi sui diritti umani e sull’ordine basato sulle regole, minacci la stabilità politica della regione. Si dice anche che si tratti di un tentativo degli Stati Uniti di acquisire centralità nell’ASEAN e di controllare il dinamico sviluppo economico della Cina. La semplicistica narrazione statunitense di una lotta hobbesiana tra Stati democratici e Stati autoritari copre in realtà la grande strategia statunitense del divide et impera, utilizzata con un certo successo per coinvolgere se stessi e l’Europa in una guerra per procura con la Russia in Ucraina. La guerra per procura USA-NATO è progettata per indebolire e/o sottomettere la Russia, in modo che gli Stati Uniti possano concentrare le loro ancora formidabili risorse per frenare l’ascesa della Cina e infine sottometterla.
Tuttavia, la marea della storia non sostiene la tesi che gli Stati Uniti, nonostante la loro potenza, possano superare ogni opposizione nel tentativo di consolidare la propria egemonia. Il declino politico, economico e sociale degli Stati Uniti deve fare i conti con la diminuzione della ricchezza e del potere dei suoi alleati e con la rapida espansione delle forze politiche ed economiche del Sud globale.
Gli Stati Uniti rimarranno un polo chiave dell’ordine globale, ma potrebbero essere privati dell’esorbitante privilegio di controllare la valuta di riserva globale. In ultima analisi, la grande strategia degli Stati Uniti “tre oceani e due fronti” è come l’ultimo ma flebile ruggito di una tigre di carta, mentre il secolo del dominio globale USA volge al termine e il mondo passa al multipolarismo e a un’equa distribuzione delle risorse globali.
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