https://www.tragicomico.it/dire-no-per-dare-valore-a-se-stessi/
Il dovere di dire NO diventa un’arte fine, una
salvezza, in una società nella quale fin dalla primissima infanzia
veniamo educati – dai nostri genitori, dalle istituzioni scolastiche,
dal mondo del lavoro – ad essere il più accondiscendenti possibile e a
cercare di soddisfare, con il nostro assenso, le varie richieste che ci
vengono fatte.
Accade così che, nella nostra mente, si formi un’insolita associazione di idee
che ci porta a ritenere il rifiuto alla stregua di una forma di
crudeltà verso l’altro, di scarsa empatia o semplicemente di
maleducazione.
Dire NO a una richiesta, di qualunque natura essa sia, porta in dote nel nostro inconscio una sorta di senso di colpa che ci accompagna come un fardello a seguito della nostra opposizione a fare o non fare ciò che ci è stato richiesto. Il senso di colpa che si agita e si dimena dentro di noi, quasi fosse un demone da esorcizzare, si trova cementato da una serie di modelli morali ed estetici rivolti a caratterizzare come egoista e superficiale chiunque non si metta a immediata disposizione degli altri.
Tutti gli “eroi” dell’epoca moderna e contemporanea fatta di
velocità, profitto e alienazione, possiedono infatti la caratteristica
di saper sacrificare le proprie pulsioni e i propri desideri per mettersi al servizio di ciò che conta,
di ciò che la società considera di primaria importanza. In barba quindi
alla loro naturale volontà di ricercare un momento da dedicare al
piacere personale o al semplice riposo.
Per contro, ogni istante che dedichiamo alla cura di noi stessi viene considerato, dalla morale imperante,
come una sorta di oltraggio all’intero genere umano, tanto che l’ozio o
lo svago sono ormai diventati i peccati capitali di una società in cui
bisogna sempre e comunque produrre, “fare qualcosa” e possibilmente
farlo per l’interesse di qualcun altro.
Una persona che si rilassa, magari leggendo un libro o addentrandosi in solitaria in un bosco, o magari dedita a momenti di riflessioni esistenziali, viene immediatamente percepita come un oltraggio all’etica del “fare” e spesso invitata ad adoperarsi per soddisfare nuove e voraci richieste. Tanto sul lavoro, quanto all’interno delle nostre dinamiche di coppia o in un rapporto di collaborazione, abbiamo l’impressione (sbagliatissima) che per venire accettati dagli altri l’unica strada percorribile sia quella del “sì” proferito a gettito continuo.
La conseguenza di questa sudditanza nei confronti
del nostro continuo dover “dire di sì” a tutto e a tutti consiste nel
fatto che, mentre la nostra vita scorre velocemente, ci ritroviamo
spesso al termine delle nostre giornate senza avere avuto un istante
tutto nostro, da dedicare alla cura del nostro piacere, della nostra
serenità e dei nostri pensieri.
La logica dell’assenso continuo ci divora e svuota la nostra vita di significato,
eppure non possiamo farne a meno, perché il timore di non piacere agli
altri è più forte della nostra volontà di ritemprarci di fronte alla
tempesta di richieste che si abbatte sul nostro capo.
Giorno dopo giorno la catena che ci tiene dipendenti dall’opinione degli altri finisce per rinsaldarsi ogni volta in cui diciamo di sì ad ogni richiesta che ci viene presentata, e attraverso la quale soffochiamo i nostri istinti più genuini nella speranza di aderire entusiasticamente a un costrutto sociale che risulta invece del tutto simulato.
“Dire NO quando non abbiamo
tempo ed energie sufficienti, o semplicemente quando non ci va di fare
qualcosa, non è maleducazione ma un diritto inviolabile di ogni essere
umano. Di più, è un dovere che abbiamo nei confronti della sacralità di
questa fragile vita.
Il tempo è una risorsa sacra e difenderlo è un’arte da guerrieri.
Comincia
a eliminare i “devo” dal tuo vocabolario e a sostituirli con i
“voglio”, non solo perché tutti i “sì” forzati sono destinati a generare
pessimi risultati, ma perché acconsentire a ciò che non desideri è una
delle violenze più grandi che tu possa commettere nei confronti di te
stesso.
Impara a fissare i tuoi limiti, con decisione e
senza ambiguità. A far capire dove finiscono i compromessi e comincia la
manipolazione. Spiega a chiare lettere che sei aperto ai suggerimenti,
ai consigli e ai cambi di opinione, ma che i condizionamenti, i divieti e
le limitazioni alla tua libertà li restituisci volentieri al mittente.
Impara,
infine, a mettere alla porta i sensi di colpa per tutti i “no” che
pronuncerai in piena consapevolezza. Perché c’è solo una cosa di cui
dovrai rimproverarti: di non esserti rispettato prima, di non esserti
ascoltato.”
(Dal mio libro “Schiavi del Tempo”)
Se proviamo a riflettere a mente fredda, una volta astratti dal
turbinio dei “sì” che si dimena nella nostra testa, ci rendiamo tuttavia
conto che il rifiuto opposto di fronte a qualcosa che proprio non
vogliamo fare non ci rende abietti e meschini ma, al contrario, padroni della nostra vita e del nostro tempo.
Dire NO è diventato, in questa convulsa epoca storica in cui l’accondiscendenza è quasi una religione, un atto di ribellione che ci rende squisitamente umani e che ci sottrae da una logica pericolosa, rivolta a trasformare le persone in automi sempre disposti e sempre disponibili.
Noi non siamo e non possiamo essere perennemente disponibili a soddisfare ogni richiesta che quotidianamente ci viene rivolta. Non possiamo per il semplice fatto che anche le nostre richieste più intime devono necessariamente trovare del tempo per il loro soddisfacimento. Se la capacità di essere generosi e disponibili verso coloro che hanno realmente bisogno di aiuto ci rende nobili, il fatto di non riuscire più ad opporre un singolo rifiuto a nessuno ci degrada nel profondo, privandoci del nostro diritto a disporre del nostro tempo e dei nostri pensieri in un modo che sia costruttivo per noi e per noi soltanto.
Se vogliamo imparare a relazionarci correttamente con gli altri,
allora è necessario che prima ci focalizziamo su quelle che sono le nostre reali esigenze e le nostre reali inclinazioni e l’unico modo per portare a termine l’operazione è quello di liberarci delle sudditanze morali
– di varia natura – che la società ci impone, con l’intento di renderci
docili come agnellini al macello in prossimità della Pasqua.
Un rifiuto opposto a una richiesta snervante spezza la catena della sottomissione
e ci libera di un primo fardello gravoso: quello di dover fare sempre e
comunque quello che vogliono gli altri, persino quando l’altrui volontà
che ci opprime non risulta giustificata da nessuna esigenza reale.
Quando impareremo a dire NO, all’inizio ci sentiremo smarriti, come bambini che stanno muovendo i loro primi passi all’interno di un mondo nuovo da esplorare e ci verrà quasi la tentazione di tornare sulle nostre scelte, di acconsentire di fronte a quelle richieste tanto gravose da meritare un nostro rifiuto. Successivamente, ci renderemo invece conto che in verità il nostro “no” ci ha liberati, ci ha reso consapevoli del fatto che le scelte debbano essere operate sulla base di effettive ragioni e che non possono essere rivolte in una direzione a senso unico.
“Di solito, in molte occasioni, per
convenienza, simpatia, costrizione o falsità, diciamo di sì. È la
maniera peggiore per mettere in mostra la nostra personalità scadente.
Bisogna avere il coraggio di dire no quando l’occasione lo richiede.
Solo così non avremo rimpianti e saremo orgogliosi della nostra scelta.
La vita è piena di sì sprecati e di no taciuti.”
(Romano Battaglia, “Incanto”)
Chi dice sempre di sì a tutto, in realtà non sta dicendo di sì a niente, perché ha perso la sua facoltà di soppesare le richieste che meritano un assenso da quelle che andrebbero osteggiate con una ferrea opposizione.
Acconsentire
sempre a tutto non ci rende più empatici o inclusivi, ma semplicemente
deboli e in perenne balia di quell’altrui volontà che, come un vento di
tramontana, ci porta a ondeggiare continuamente fino a sradicarci dal
terreno in cui crescono le nostre reali emozioni.
In un mondo che ci vuole accondiscendenti per domarci, sradicarci da noi stessi e infine disperderci, dire NO diventa un dovere
per tutti coloro che non sono disposti a sacrificare la propria libertà
per ottenere in cambio un pizzico di falsa gratificazione sociale.
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