Ieri Taiwan ha tremato duramente per il sisma che ha colpito la parte orientale del Paese e, metaforicamente, ha tremato anche una grossa fetta dell’industria globale, soprattutto tecnologica, alla notizia che il gigante della microelettronica Tsmc, la più strategica azienda del Paese, aveva sospeso la produzione nelle sue foundries di microchip, site soprattutto sulla costa occidentale dell’Isola di Formosa.
La produzione è stata prontamente ristabilita, ma gli osservatori più attenti non hanno mancato di analizzare come il devastante e luttuoso sisma che ha avuto il suo epicentro presso la città di Hualien (10, per ora, i morti confermati in un evento destinato ad avere un bilancio più grave alla fine) abbia in un certo senso mostrato tutta la fragilità sistemica dell’industria dei microchip, specie quella occidentale, che ha in Tsmc, la creatura del magnate Morris Chang, un asset oltremodo strategico.
Taiwan controlla da sola il 46% del mercato globale dei semiconduttori e Tsmc fa la parte del leone: ha una capacità complessiva di circa tredici milioni di wafer equivalenti a 300 mm all’anno, dieci volte quelli che potrà produrre, per fare un paragone, un’altra big come l’italo-francese StMicroelectronics quando il suo nuovo impianto di Grenoble-Crolles sarà in piena operatività aggiungendo 620mila wafer l’anno alla sua capacità. Tsmc, inoltre, produce chip per clienti con nodi di dimensioni che variano tra 2 micron e 3 nanometri. Il 69% dei chip di Tsmc riforniva, nel 2023, colossi Usa come Apple e Nvidia e contribuiva a far salire a 178 miliardi di dollari, su un totale di 423 miliardi, la quota della microelettronica nell’export dello Stato insulare asiatico, rivendicato dalla Cina come sua provincia. Ma al contempo alimentato anche dalla domanda della Repubblica Popolare, che ha comprato chip per 47 miliardi di dollari da Taiwan l’anno scorso.
Logico dunque che di fronte a questi dati ogni interruzione della fornitura di chip di Tsmc al mercato globale assume valenza economica generale. E causa effetti economici planetari. Per alcune ore il mondo ha trattenuto il fiato. “Smartphone, laptop e strumenti di intelligenza artificiale generativa come ChatGPT sono alimentati da chip TSMC. Pertanto, aziende come Apple, Huawei, Nvidia, Tesla, OpenAI e altre dipendono dal produttore di chip”, ha scritto Npr. Gli analisti “hanno affermato che, anche se l’interruzione è stata minima, anche un breve disturbo alla produzione di chip a Taiwan potrebbe ritardare le spedizioni e costare molti milioni di dollari. L’esatto bilancio finanziario del terremoto di mercoledì è ancora in fase di valutazione”.
Nel quadro della guerra tecnologica tra Usa e Cina Taiwan appare centrale perché, di fatto, nove chip avanzati su dieci escono dalle foundries di Tsmc. E dunque, da un lato, Pechino cerca di sostituire con la produzione interna le quote di mercato che le sanzioni Usa nella catena del valore interdicono alle sue aziende, coinvolgendo nella filiera anche Tsmc, e dall’altro l’Occidente mira a unire in catene del valore alternative, che evitino le fasi intermedie di lavorazione che passano per la Repubblica Popolare, aziende di Paesi simili negli ideali economici e, soprattutto, politici.
Il cosiddetto friend-shoring sfida il “capitalismo politico” cinese, in una dinamica che vede una sola variabile ineliminabile: Taiwan. Paese insostituibile, strategico e, al contempo, fragile. La lezione che il mercato dei chip coglie dal sisma a Taiwan è che la più strategica delle industrie tecnologiche odierne ha, sostanzialmente, un “collo di bottiglia” nell’Oceano Pacifico. Con buona pace del mito della resilienza, esso rimarrà, difficilmente scalfibile.
Tsmc è perno, fondamenta e ventre molle al tempo stesso di questo settore. Chi vuole condizionare gli sviluppi dell’industria dei chip prende appunti. E quando la natura ci mette del suo, lanciando avvertimenti, ai decisori politici ed economici dovrebbe emergere la necessità di costruire filiere più resilienti e non necessariamente concentrate su un perno tanto fragile per motivi geopolitici e, non lo scopriamo oggi, strutturali. Ma dal dire al fare c’è di mezzo un mare. Anzi, un oceano. Quello che divide Usa e Cina. Rivali su tutto, in campo tecnologico. Tranne che su una considerazione: quella che vede Taiwan come isola decisiva per il destino della loro rivalità. E dunque questa fragilità del mercato globale dei chip non sarà eliminabile in tempi stretti.
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