La scelta del governo russo di nazionalizzare le sussidiarie locali di Ariston e Bosch è solo l’ultima di una serie di mosse promosse dall’esecutivo di Vladimir Putin per consolidare la risposta di Mosca all’assedio economico dell’Occidente portato avanti dopo l’invasione dell’Ucraina del 2022. E sostanziatosi in un’ampia serie di misure sanzionatorie e di riduzione dei canali di commercio tra Russia e mondo euroatlantico. A cui la Russia ha risposto con la sua versione di guerra economica applicando anche a Bosch, azienda tedesca produttrice di componentistica auto e utensili elettrici, e Ariston, azienda italiana che produce macchinari per riscaldamento e elettrodomestici, il decreto sulla reazione alle sanzioni che consente di portare, formalmente in maniera provvisoria, sotto l’ala dell’economia statale la gestione (ma non de iure la proprietà) di sussidiarie estere di gruppi legati a Stati rivali che sanzionano Mosca.
L’assalto ai “Paesi ostili”
La Russia giustifica decreti di questo tipo, lo avevamo scritto, “richiamando al tema del sequestro degli asset appartenenti a cittadini e imprese russe, alla Banca centrale del Paese e ai funzionari del Cremlino e del governo nei Paesi occidentali e alla libertà d’azione derivante dal decreto che identifica i “Paesi ostili” intenti a muovere atti di guerra economica contro la Russia.” Come rammentato su queste colonne, la lista include oltre cinquanta Stati: “Ne fanno parte, oltre all’Ucraina, tutti i Ventisette dell’Unione europea, ivi compresa una nazione amica come l’Ungheria, gli Stati Uniti, il Canada e il Regno Unito, ma anche tutti i membri della Nato non appartenenti all’Ue, eccezion fatta per la Turchia: Albania, Norvegia, Islanda, Montenegro e Macedonia del Nord. A cui si aggiungono Giappone, Taiwan, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda per il loro sostegno a Kiev e tutti quei Paesi attivi nel mondo finanziario che hanno aderito alle sanzioni economiche: Bahamas, San Marino, Liechtenstein, Principato di Monaco, Singapore e, soprattutto, Svizzera. Completano la lista Micronesia e Taiwan per la vicinanza a Washington”.
Ariston e Bosch, non un caso isolato
Non è la prima volta che Putin ordina misure di questo tipo. L’azienda marchigiana di Fabriano e il gruppo tedesco seguono diversi altre compagnie alle cui sussidiarie russe era già stato imposto il passaggio sotto gruppi nazionali: la francese Danone e la danese Carlsberg sono stati esempi noti nel contesto del settore degli alimenti e delle bevande; la transalpina Renault ha alienato le sue fabbriche d’auto; esattamente un anno fa, nella notte tra il 26 e il 27 aprile 2023, Putin aveva aperto alla nazionalizzazione delle filiali russe di Uniper, importante attore di import-export del gas tedesco, e del gruppo energetico finlandese Fortum. In Italia, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha chiesto immediati chiarimenti all’ambasciata russa, dichiarandosi pronto a tutelare le aziende italiane presenti nel Paese.
Ariston e Bosch, in Russia, saranno poste sotto la gestione di Gazprom Household Systems. L’obiettivo della manovra di Putin è complesso e articolato su più piani. In primo luogo, una manovra chiara sembra quella di “canalizzare” le politiche di disinvestimento occidentale in quei settori che appaiono più governabili dalle attuali competenze tecniche russe. In secondo luogo, Putin vuole ricompensare il conglomerato di asset russi all’estero garantendo alla nomenklatura di oligarchi un qualche tipo di ricompensa per gli asset congelati all’estero; infine, la manovra è un deterrente contro l’alienazione di questi stessi asset da parte di Unione Europea e Stati Uniti.
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