Il celebre politologo dell’Università di Chicago John J. Mearsheimer, l’economista della Columbia Jeffrey D. Sachs, il Premio Putlizer Glenn Greenwald ma anche l’ex anchorman di FoxNews, Tucker Carlson. Apparentemente personaggi che non hanno molto in comune, se non che hanno espresso un’opinione diversa sulla guerra in Ucraina da quella generalmente accettata che prevede il sostegno incondizionato all’Ucraina e lo stanziamento di risorse – armi, in particolare – da destinare Kiev attraverso un assegno in bianco. C’è chi, come il professor Mearsheimer, in tempi non sospetti – era il 18 agosto 2014, all’indomani dell’occupazione russa della Crimea – aveva espresso, con un’analisi pubblicata su Foreign Affairs, il suo punto di vista da studioso delle Relazioni internazionali (scuola “realista”) critico verso la politica estera occidentale e statunitense, in particolare; altri, come Greenwald, dopo aver lasciato The Intercept, hanno dedicato puntate intere del loro programma sulla piattaforma social Rumbe – System Update – a sottolineare le contraddizioni della propaganda di guerra, che non è purtroppo un’esclusiva delle solo autocrazie ma è ampiamente diffusa anche al di qua della nuova Cortina di ferro. Piacciano o meno le loro opinioni, non solo questi personaggi pubblici sono stati oggetto delle trite e ritrite accuse di “filo-putinismo” e campagne denigratorie sui social e su alcuni giornali. Ma come ha scoperto il giornalista investigativo Lee Fang, il governo degli Stati Uniti sta finanziando varie organizzazioni e Ong ucraine impegnate in una vera e propria campagna denigratoria nei loro confronti.
Così gli Usa finanziano la propaganda di guerra ucraina
Ufficialmente, il programma statunitense finanzia le organizzazioni ucraine per contrastare la propaganda russa. All’apparenza, un obiettivo non solo legittimo ma anche comprensibile perché l’informazione, non è un mistero, è essa stessa una componente fondamentale di ogni conflitto. E diffondere il proprio punto di vista attraverso il soft power è importante quanto avere un esercito efficiente e motivato. Ma come spesso accade, la strada verso l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Ed è proprio questo il caso. I soldi dei contribuenti americani vengono stanziati attraverso l’Usaid, l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, il cui obiettivo è quello di “plasmare e sostenere un mondo pacifico, prospero, giusto e democratico” e di “promuovere le condizioni per la stabilità e il progresso a beneficio del popolo americano e delle popolazioni di tutto il mondo”. Un manifesto della vocazione missionaria degli Stati Uniti. In particolare, il Programma Media di Usaid mira a “rafforza la capacità del settore dei media indipendenti di promuovere l’impegno civico e i processi democratici”, ampliando “l’accesso dei cittadini a informazioni basate sui fatti su questioni sociali e politiche fondamentali”. Questi obiettivi sono rispettati? Non sembra proprio.
Il ruolo dell’Usaid
In particolare, l’assistenza Usaid sostiene “l’istituzionalizzazione del servizio pubblico radiotelevisivo, promuovendo la responsabilità nei media”, oltre ad aiutare “i media a creare contenuti di alta qualità, coinvolgenti e basati sui fatti” e aumentando così “l’alfabetizzazione mediatica e rafforzando le istituzioni e i processi chiave dei media”. Dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, “il Programma Media ha fornito attrezzature di sicurezza, formazione tattica di primo soccorso, trasferimento e supporto operativo per aiutare i media indipendenti ucraini a continuare a fornire informazioni fondamentali ai cittadini”. Una parte dei 44 miliardi di dollari messi sul piatto dagli Usa, serve per finanziare realtà come New Voice of Ukraine, VoxUkraine, Detector Media, Institute of Mass Information, Public Broadcasting Company of Ukraine e molti altri. Ora, il problema non è certo il fatto che queste realtà forniscano una chiave di lettura estremamente di parte. Quello è piuttosto scontato. Il punto è il tentativo di screditare esperti e giornalisti autorevoli bollandoli come “propagandisti russi” solo perché esprimono un punto di vista critico. Che in una democrazia dovrebbe essere tutelato, non essere oggetto di campagne denigratorie.
Critici nel mirino
Con i soldi dei contribuenti americani, VoxUkraine, ad esempio, diffonde video nei quali in cui prende di mira Sachs,
Mearsheimer e Greenwald. Ma non si tratta di una legittima critica alle
idee di questi personaggi quanto, piuttosto, un continuo tentativo di
screditare la loro professionalità e la loro immagine. “La rete della propaganda russa: Cosa collega gli “esperti” occidentali che promuovono narrazioni favorevoli alla Russia” titola VoxUkraine
il 9 febbraio 2024, in un articolo nel quale si accusano Mearsheimer,
Sachs, Greenwald, e altri – così, un po’ alla rinfusa – di “divulgare le
tesi filorusse” e quindi di “legittimare la propaganda russa in
Occidente”. È quindi necessario “identificare queste connessioni per
frenare la diffusione di narrazioni filorusse sia in Occidente che in
Ucraina”. Detector Media funge un po’ da “fact checker” della propaganda ucraina. Come nota Lee Fang, ha attaccato il New York Times
a febbraio per una notizia su centinaia di ucraini catturati o dispersi
nella battaglia di Avdiivka citando come unica fonte, per la presunta
smentita, un portavoce delle forze armate di Kiev. Non propriamente il
massimo dell’imparzialità giornalistica. Secondo New Voice of Ukraine l’articolo del New York Times faceva addirittura parte di una “psyop” (guerra psicologica) russa, come se il New York Times possa essere annoverato tra i simpatizzanti del leader russo Vladimir Putin. Così come Russia Today
diffonde un punto rivista evidentemente viziato dalla propaganda di
parte, queste realtà fanno lo stesso. Eppure, sono considerate
affidabili e super partes da Big Tech, dal governo americano e dalle
istituzioni europee. Basti pensare che VoxUkraine è un partner di “fact-checking di Meta”,
e contribuisce alla rimozione della “disinformazione russa” da
Facebook, Instagram e WhatsApp. Insomma, se è vero che in guerra la
prima vittima è la verità, in questo caso anche i contribuenti americani
potrebbero ritenersi non propriamente soddisfatti di come vengono
investiti i loro soldi.
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