“Il recente attacco dell’Iran a Israele è solo un’anteprima di ciò che le città del mondo devono aspettarsi se il regime iraniano non verrà fermato”: a scriverlo, su X, è Israel Katz, ministro degli Esteri di Benjamin Netanyahu e “falco” nel governo di ultradestra di Tel Aviv. Nel post campeggia un monito inquietante: un montaggio con sei missili diretti verso il Colosseo.
Katz chiede, contestualmente, di definire come organizzazione terroristica il corpo delle Guardie della Rivoluzione, i cosiddetti Pasdaran, che in Iran, come ha ricordato ai nostri microfoni Alessandro Cassanmagnago, controllano il programma missilistico e le due applicazioni strategiche. Katz tagga nel post i Ministri degli Esteri di Germania, Italia, Francia e Usa. Ovvero Annalena Baerbock, Antonio Tajani, Stephane Sejourné e Tony Blinken. All’elenco manca significativamente il Regno Unito perché Rishi Sunak si è dimostrato il leader occidentale più risoluto a sostenere Tel Aviv dopo i raid della notte tra 13 e 14 febbraio con cui Teheran ha risposto all’attacco alla sua legazione di Damasco di lunedì 1 aprile.
Katz chiede azioni decise contro Teheran e soprattutto si trova a doversi appellare alla comunità Internazionale. Tel Aviv sa che ogni risposta muscolare alla proiezione iraniana non può prescindere dal consenso dell’occidente, Usa in testa, che ha fatto capire di preferire la distensione come opzione.
Del resto Tel Aviv si è trovata dipendente dall’appoggio aereo occidentale per respingere i raid iraniani che, li ricordiamo, hanno coinvolto principalmente droni e non missili. E per Teheran hanno rappresentato la fine del confronto e non l’inizio di una escalation.
Minaccia emotiva e leva emotiva = propaganda inefficace
Katz usa il piano emotivo come leva e la minaccia di immagine per spingere a un’azione. Ma l’effetto è quella della propaganda poco efficace. Innanzitutto, Katz chiede in particolare agli Usa di agire pur avendo Washington già inserito i Pasdaran nella lista delle organizzazioni terroristiche, unici al mondo a farlo assieme a Bahrein, Arabia Saudita e Svezia, nel 2019. Ma Washington teme escalation pericolose e frena Netanyahu e i suoi da colpi di testa rovinosi per gli equilibri regionali. Il secondo dato da sottolineare è che anche l’immagine appare un fake grossolano: l’Iran non potrebbe colpire Roma.
Come ricorda “Rivista Italiana Difesa“, infatti, “il missile più temibile nell’arsenale iraniano è il SEJIL, noto anche come ASHURA. Si tratta di un missile bi-stadio a propellente solido – il propellente solido consente tempi di allerta e messa in opera molto più rapidi del propellente liquido – accreditato di un raggio di azione di 2.000 km ed una testata da circa 1.000 kg (il peso varia a seconda delle versioni)”. Tale missile ha portata di gran lunga inferiore agli oltre 3mila km che separano Roma e l’Iran. E anche la distanza dal Libano, ipotizzando un lancio dalle basi Hezbollah improbabile per motivi strategici, non sarebbe sufficiente, essendo la distanza di Roma superiore a 2.100 km.
La mossa di Katz allontana Israele dalla possibilità di apparire un player ragionevole in Medio Oriente. E pone di fronte al rischio che l’estrema destra israeliana possa cercare di forzare la mano agli alleati per consolidare il sostegno alle sue mosse meidorientali, riguardanti non solo l’Iran ma anche Gaza. E rappresentanti il vero punto di domanda per il futuro della precaria stabilità regionale.
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