Verso la scomparsa dei popoli europei: quanto tempo abbiamo per evitarla?
La sostituzione etnica – che tanto infastidisce i progressisti – non è qualcosa che sarà, è già una realtà in Europa, e dove non lo è, lo sarà. Cosa fare?
Dal punto di vista strutturale-economico, denatalità e immigrazione sono due fenomeni strettamente legati, in particolare, per il fatto che il secondo è una diretta conseguenza del primo, in quanto l’immigrazione viene favorita, non solo per assumere lavoratori a basso costo, ma anche per svecchiare la popolazione. Parallelamente, l’immigrazione ha delle conseguenze sul piano sociale e culturale, producendo cambiamenti politici di portata storica (affrontati quotidianamente da questa testata).
Libertà europea e dispotismo asiatico
Il primo capitolo delinea, da un punto di vista politico, cosa distingue l’Europa dal resto del mondo, in particolare dall’Asia. Distinzione che avviene con le guerre persiane:
L’Europa prende coscienza della propria identità non in quanto geograficamente separata dall’Asia […] ma distinguendosi politicamente dall’Asia. Tale differenziazione avviene con le guerre persiane (V a.C.), quando la libertà dei greci si scontra con il dispotismo asiatico. L’identità greca-europea si fonda sulla contrapposizione di questi due principi: se i greci sono cittadini che vivono regolati dalle leggi, i persiani sono sudditi di un re, il quale detiene un potere assoluto conferitogli da Ahura Mazdā, divinità suprema della religione persiana, il mazdeismo. Erodoto scrive che i persiani vengono sconfitti non solo perché sono sprovvisti di “scienza militare”, ma anche perché i greci combattono per difendere la libertà, e non per obbedire a degli ordini, come gli asiatici.
Con i dovuti distinguo, tale distinzione è sopravvissuta. L’autore passa in rassegna i rapporti delle civiltà sorte in Europa con lo “straniero”: Roma e i barbari, l’Europa cristiana e i tentativi dell’Islam di conquistare il Vecchio continente, sottolineando come lo scontro con il non-europeo abbia contribuito a forgiare l’identità europea.
L’immigrazione di massa
All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, i Paesi dell’Europa occidentale iniziarono ad accogliere in patria immigrati per sostenere la sviluppo economico. Inizialmente cercarono di attingere dai Paesi europei, Italia in primis. Tuttavia, dal momento che buona parte dell’Europa doveva far fronte allo stesso problema, gli immigrati iniziarono ad arrivare da altrove.
Oggi sono identificabili i Paesi da cui provenivano gli immigrati nei diversi Paesi dell’Europa, osservando la composizione della popolazione: algerini in Francia, pakistani nel Regno Unito, turchi in Germania e così via. Tuttavia, anche la provenienza degli immigrati può mutare rapidamente a causa di crisi umanitarie. La Germania in appena cinque anni – tra il 2011 e il 2015 – ha accolto ben 1,2 milioni di immigrati di fede islamica, per lo più siriani. Nel 2011 i due terzi dei musulmani presenti in Germania provenivano dalla Turchia, nel 2015 sono diventati la metà.
Denatalità e immigrazione sono due fenomeni strettamente legati. Il secondo giustifica il primo in quanto, per sopperire alle culle vuote, si aprono le porte a immigrati per integrarli nel mondo del lavoro e per “pagarci” le famose pensioni. La verità è che per rappresentare una “risorsa” l’immigrato deve dare allo Stato più di quanto assorbe.
I costi esorbitanti sborsati per l’accoglienza (in Italia ogni anno superano il miliardo), i sussidi dati agli immigrati, la spesa annuale per i detenuti stranieri (in Italia, sui dati del 2020, i 17.344 detenuti stranieri ci sono costati 867.286.720 euro). Per quanto riguarda i contribuiti versati, Gian Carlo Blangiardo, professore di demografia all’Università degli Studi di Milano ed ex presidente dell’Istat, fa notare che “gli immigrati non stanno dando un contributo al Paese: stanno versando una somma che sta lì in attesa di essere restituita”.
La sottomissione
Citando l’autore – in un video di presentazione del libro – “anche prendendo per positivo il bilancio economico dell’immigrazione, può un presunto vantaggio economico prevalere sulla stessa sopravvivenza fisica dei popoli europei?”. Non è una questione di colore della pelle, ma di convivenza tra persone provenienti da culture profondamente diverse. Paesi come la Francia, dimostrano che il tentativo di assimilare un gran numero di immigrati – nel caso specifico perlopiù musulmani – è stato un completo fallimento.
Parigi è costantemente sull’orlo di una guerra civile etnica, perfino Emmanuel Macron parla di “separatismo islamico”. Più che assimilazione, si assiste ad una sottomissione della popolazione autoctona. Criminalità organizzata, attentati di matrice islamica, convivenza impossibile; quale sia il vantaggio di un’immigrazione di massa, resta un mistero.
In Francia il 21 per cento dei nuovi nati ha un nome arabo, a questi vanno aggiunti tutti gli immigrati extraeuropei non-arabi. C’è chi stima che entro il 2050, nelle zone urbanizzate, dove vivono i due terzi della popolazione, la metà degli abitanti sotto i 55 anni avrà un’origine extraeuropea.
Situazioni demografiche altrettanto drammatiche, le riscontriamo anche in altri Paesi europei: Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio, Svezia. In alcune città gli immigrati extraeuropei costituiscono già la maggioranza della popolazione. La sostituzione etnica – che tanto infastidisce i progressisti – non è qualcosa che sarà, è già una realtà in Europa, e dove non lo è, lo sarà. Numeri alla mano, è solo questione di tempo.
Denatalità
L’Italia, che solo recentemente ha conosciuto il fenomeno dell’immigrazione di massa, è dilaniata da un dramma strettamente legato a quello dell’immigrazione: la denatalità. Il fenomeno delle culle vuote ha portato a un rapido invecchiamento della popolazione. Il popolo italiano è il più anziano d’Europa.
Se nel 2022 le persone con più di 65 anni costituivano il 23,8 per cento della popolazione (quasi un italiano su quattro), nel 2050 la percentuale salirà al 34,9. Questo significa che tra meno di trent’anni il rapporto tra popolazione attiva (15-64) e popolazione non attiva (0-14 e over 65) sarà di uno a uno, rendendo insostenibile lo stato sociale per come lo conosciamo oggi. Non ci saranno più – fisicamente – gli italiani per finanziare in primis pensioni e sanità (che in una popolazione anziana diventano fondamentali).
L’alternativa all’invecchiamento, almeno sul piano economico, sarebbe quella di accogliere milioni di immigrati, ma questo pone degli enormi problemi: in primo luogo, non tutti gli immigrati vengono qui per lavorare (e oggi la burocrazia rende difficile se non impossibile il rimpatrio).
In secondo luogo – più importante del fattore economico – è l’impossibile convivenza tra popoli diversi che porterà, numeri alla mano, come unico risultato la scomparsa degli autoctoni e il tramonto dell’Occidente sul piano antropologico. Un’Europa abitata da musulmani renderà il nostro continente qualcosa di profondamente diverso dai millenni di civiltà che ci hanno contraddistinto come faro della civiltà. Lo studioso di cultura islamica Bernard Lewis ha sostenuto che entro la fine del secolo l’Europa “sarà la zona più occidentale del mondo arabo, farà parte del Magreb”.
Quale destino per l’Europa?
Denatalità e immigrazione stanno lacerando l’Europa. Nel breve periodo l’invecchiamento della popolazione sarà inevitabile, in quanto, anche se messe in pratica serie misure di sostegno alla famiglia, come in Ungheria, gli eventuali risultati positivi si ottengono dopo anni, decenni. Per questo motivo sarà necessario mettere in campo tutti gli strumenti e le soluzioni possibili, descritte nel libro come inevitabili (ad esempio l’invecchiamento attivo).
Un libro da leggere per comprendere che la soluzione è più grave di quanto si possa immaginare. Con il passare del tempo le donne in età fertile diminuiscono e di conseguenza si assottiglia progressivamente la possibilità di invertire la rotta, per la mancanza fisica di donne.
Nella lunga prefazione di Stefano Vaj viene proposta la tecnica come via da percorre, in quanto sostanzialmente non vi sono soluzioni “umane” al declino demografico. Entro la metà del secolo -nell’arco di appena una generazione – se non agiamo in fretta, vivremo in un continente irriconoscibile e probabilmente non più “salvabile”. L’autore non fa che ripetere che per sopravvivere occorre agire hic et nunc.
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