Haaretz: Israele e l'idea folle di vendicarsi sull'Iran
Israele per ora ha riposto le pistole nella fondina, dopo che per ben due volte gli Stati Uniti hanno detto niet a un attacco contro l’Iran in risposta al raid del 14 aprile. Se ne riparlerà dopo la Pasqua ebraica, hanno detto le autorità israeliane, aggiungendo che la risposta comunque ci sarà.
Colpa dell’Iran?
Ciò, nonostante il fatto che l’Iran abbia detto di considerare chiusa la partita dopo il raid e chiarito che un nuovo attacco di Israele comporterà un’altra reazione, stavolta non dimostrativa come la precedente e non a distanza di giorni, ma di secondi. Il rischio che la vendetta israeliana inneschi un circolo vizioso che porterà a una grande guerra – e quanto grande lo scopriremo solo vivendo (o morendo) – è altissimo.
Un particolare significativo, però, poco notato è che l’America non sta spostando una flotta massiva verso la regione. Non che non abbia forze in zona, ma non sono bastevoli a sostenere una grande guerra. Infatti, nel caso dovessero ingaggiarsi nel conflitto, non godrebbero di una copertura sufficiente, almeno in base agli standard militari Usa. Da cui certa vulnerabilità.
Resta che in Israele, da Netanyahu in giù, c’è chi vuole trascinare gli Usa in una guerra di grande scala, ché senza l’alleato non può farla.
Futuro incerto, dunque, di più facile analisi il presente. Su quanto accaduto il 14 aprile e sulla furia vendicativa israeliana un interessante articolo di Zvi Bar’el su Haaretz, che inizia così: “Non c’è atto più inutile e pericoloso della cieca vendetta, azione che il governo di Israele è così determinato ad attuare contro l’Iran. Né si può ignorare il fatto che è stato Israele a dare il via a questa catena di eventi, quando ha assassinato Mohammad Reza Zahedi, capo della forza al Quds delle Guardie rivoluzionarie iraniane in Siria” [attaccando un’ambasciata contro il diritto internazionale ndr].
“Dopo tutto, si è trattenuta dopo l’uccisione dei suoi scienziati nucleari, tra cui Mohsen Fakhrizadeh, il capo del programma nucleare; il capo dell’intelligence del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche in Siria lo scorso dicembre; il coordinatore delle relazioni tra Iran e Hezbollah un mese dopo, per non parlare di decine di altri scienziati e funzionari iraniani uccisi nel corso degli ultimi anni”.
L’equazione è cambiata
“La colpa è ovviamente dell’Iran – annota Bar’el sarcasticamente – Israele si è abituato a credere che sarà ‘scoraggiato’ o almeno ‘frenato’ a rispondere dopo le provocazioni”.
Un po’ quel che è avvenuto con Hamas, annota Bar’el, che Tel Aviv reputava non potesse mai attaccare in maniera massiva, o come Hezbollah, col quale da tempo intercorre un conflitto sotterraneo divenuto aperto dopo l’invasione di Gaza. “Poi all’improvviso – continua il cronista – come disse il vicepresidente americano Spiro Agnew: ‘I bastardi hanno cambiato le regole e non me l’hanno detto'”…
“[…] Ora, a quanto pare, la rabbia che si sta accumulando in Israele dopo il bombardamento iraniano non riguarda l’attacco in sé, che è stato sventato con successo, ma l’insolenza iraniana e, soprattutto, il clamoroso deficit di supervisione dell’intelligence che non è riuscita a prevedere le conseguenze dell’uccisione di Zahedi” [un assassinio, peraltro, pianificato da ben due mesi, come informa un altro articolo di Haaretz, senza prendere in considerazione le conseguenze ndr].
“Questo affronto richiede una risposta, insistono i leader israeliani. Senza una strategia, la vendetta è un’alternativa allettante. Senza vendetta, Israele perderà la deterrenza, per non parlare del suo onore in patria e nella comunità delle nazioni. Questa è una rara opportunità per colpire l’Iran così duramente che non possa dimenticarlo mai più. Ma di quale deterrenza e di quale onore parla questo governo?”
“Nonostante il terribile disastro del 7 ottobre e i fallimenti che ha messo in luce, Israele è ancora convinto che l’immagine del pazzo – un paese con la schiuma alla bocca, che colpisce in modo incontrollabile in ogni direzione, che distrugge e uccide indiscriminatamente – garantirà il suo sicurezza”.
Di sicurezza e deterrenza
“Ma è proprio questa follia vendicativa ad averlo reso un paria. La sua debolezza interiore [cioè questa deriva folle ndr], creata e alimentata dal primo ministro, è ciò che ha minato la sua capacità di deterrenza. Israele ha un enorme debito non verso la deterrenza e il suo prestigio”, ma verso i Paesi che l’hanno aiutato a far fronte all’attacco iraniano.
“[…] Ma agli occhi del governo e di gran parte dei vertici dell’esercito, il successo della difesa e l’aver sventato l’attacco iraniano non possono essere considerati un risultato se non seguirà la vendetta. È vero esattamente il contrario: una difesa efficace è parte essenziale della deterrenza e della sicurezza, molto più della vendetta furiosa”.
Lo dimostra, annota Bar’el, quanto avvenuto negli ultimi mesi, in cui la vendetta furibonda contro Hamas non ha prodotto deterrenza, laddove questa avrebbe dovuto palesarsi il 7 ottobre, respingendo l’attacco.
“Ed ecco l’assurdità: nonostante il fatto che la vendetta a Gaza non sia riuscita a raggiungere gli obiettivi della guerra, l’opinione pubblica – che è pronta ad ingoiare l’insulto [subito il 7 ottobre ndr] per fermare la guerra a Gaza pur di liberare gli ostaggi – non esita ad credere alla menzogna secondo cui la vendetta contro l’Iran è l’unico modo per garantire la sicurezza del Paese”.
La proposta indecente di Israele: nessuna risposta in cambio del placet su Rafah
Infatti, è vero esattamente il contrario. Se il conflitto con l’Iran precipiterà, Israele ne uscirà devastato. Strano concetto di sicurezza, perché questa dovrebbe garantire esattamente il contrario. Peraltro, qualche pulce nell’orecchio dovrebbe averla messa anche l’attacco del 14 aprile.
Infatti, mentre tutti magnificano le modalità con cui Israele e i suoi alleati sono riusciti a intercettare quasi tutti i vettori iraniani, un dettagliato articolo sull’attacco, pubblicato sul Jerusalem Post, che annota alcuni punti d’ombra dello scudo difensivo israeliano, conclude spiegando che “l’annuncio iniziale di un portavoce dell’IDF riguardo a un tasso di successo del 99% era piuttosto ottimista”.
Si tenga conto che nell’attacco sono stati lanciati più o meno 300 droni e qualche missile, una minima frazione delle risorse balistiche iraniane; che danni infliggerebbe un attacco davvero massivo e non solo dall’Iran?
Forse è per tutte questa incognite che stamane si è diffusa la notizia che gli Usa avrebbero dato luce verde all’attacco a Rafah in cambio di un’assicurazione da parte di Israele di non rispondere all’attacco iraniano o, in alternativa, di una risposta limitata. Ad oggi è solo un’indiscrezione, forse fondata forse no. Vedremo.
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