Da Istanbul è pronta a salpare la “Freedom Flottilla” per rompere l’assedio di Gaza
Una nuova flottiglia di navi cariche di attivisti e di beni materiali è pronta a partire dal porto di Istanbul con direzione Gaza, allo scopo di rompere l’assedio israeliano e consegnare aiuti alla popolazione civile della Striscia: è la nuova edizione della “Freedom Flottilla”. La coalizione di civili che da anni lavorano per rompere l’illegale blocco navale israeliano su Gaza ha terminato i preparativi per l’inedita missione mercoledì 24 aprile, e sarebbe dovuta salpare venerdì, ma ha incontrato la prevedibile resistenza israeliana, che ne sta ritardando la partenza. Il rilancio dell’iniziativa, effettuata per la prima volta nel 2010, ha trovato il sostegno di un insieme di esperti ONU, tra cui spicca il nome di Francesca Albanese, i quali hanno richiesto il passaggio della flotta senza nascondere la loro preoccupazione per la sicurezza dei partecipanti alla missione; già nel 2010, infatti, Israele aveva contrastato l’iniziativa conducendo una vera e propria azione militare che portò alla morte di 10 dei membri civili dell’equipaggio delle navi. L’annuncio di una nuova missione, conferma così il crescente fiorire di proteste e iniziative a favore del popolo palestinese, che intanto, a Rafah, aspetta inerme l’ultima colossale operazione militare di Israele, che nonostante le pressioni internazionali sembra ormai sempre più prossima alla realizzazione.
La coalizione Freedom Flottilla ha annunciato il lancio di una nuova missione verso Gaza lo scorso 4 aprile, spiegando che la flotta partirà da Istanbul e trasporterà “5.500 tonnellate di aiuti umanitari e centinaia di osservatori internazionali per i diritti umani”, tra cui avvocati, medici, infermieri, giornalisti, parlamentari e politici. Mercoledì 24 aprile i preparativi per la missione sono stati ultimati e il gruppo di operatori ha condotto le dovute attività di formazione “sull’azione diretta nonviolenta” da svolgere prima della partenza, prevista venerdì. Il giorno seguente, tuttavia, Israele ha richiesto un blocco amministrativo per prevenire la partenza della nave, chiedendo alla Repubblica di Guinea Bissau di ritirare la propria bandiera dalla prima nave della flotta, Akdeniz. A quanto comunica Dimitri Laskaris, avvocato, giornalista e attivista canadese che da anni opera con Freedom Flottilla, il Governo della Guinea Bissau «ha ritirato la sua bandiera su due delle tre navi» della flotta, ed è dunque stata posticipata la partenza. Secondo lo stesso Laskaris, il ritiro della bandiera da parte della Guinea Bissau costituirebbe una grave «violazione dei suoi obblighi ai sensi dell’Articolo 1 della Convenzione sul Genocidio», mentre Freedom Flottilla vede nella richiesta di Israele una manifesta volontà di boicottare l’iniziativa, che testimonierebbe la sua mancanza di volontà nel prevenire il genocidio.
Contro il boicottaggio da parte di Israele e a favore della partenza della flotta ha alzato la voce un gruppo di esperti e alti funzionari delle Nazioni Unite, composto dal Relatore Speciale sul Diritto all’alimentazione Michael Fakhri, il Relatore speciale sul diritto alla casa Balakrishnan Rajagopal, la Relatrice Speciale sul diritto di ogni individuo a godere del più alto livello possibile di salute fisica e mentale Tlaleng Mofokeng, e infine la Relatrice speciale sui territori palestinesi occupati Francesca Albanese. Nella loro dichiarazione congiunta, i relatori ONU definiscono Freedom Flottilla come la «manifestazione materiale del supporto internazionale» alla Palestina e sottolineano il suo «diritto alla libera circolazione nelle acque internazionali», sollecitando Israele ad «aderire alla legge internazionale, inclusi i recenti ordini dalla Corte Internazionale di Giustizia» volti ad assicurare l’entrata incondizionata di aiuti umanitari a Gaza.
Visti i precedenti tra Israele e Freedom Flottilla l’esplicita preoccupazione per l’incolumità dei membri dell’equipaggio della flotta espressa dagli alti funzionari delle Nazioni Unite non è decisamente ingiustificata. Il gruppo nasce nel 2010 con l’obiettivo di “rompere l’illegale e disumano blocco israeliano sulla Striscia di Gaza” che negli ultimi 15 anni “non ha solo causato una crisi umanitaria”, ma anche “privato i palestinesi dei loro diritti alla salute, alla sicurezza e alla libertà di circolazione”; altri scopi dichiarati di Freedom Flottilla sono quelli di “informare le persone” del blocco a Gaza, e di “condannare e rendere pubblica” la compartecipazione degli altri governi mondiali all’oppressione del popolo palestinese, prima fra tutti quella degli USA, che hanno difeso “la violenza di Israele contro i Palestinesi per decenni, finanziando l’esercito israeliano al ritmo di approssimativamente 4 miliardi di dollari all’anno, e usando la maggior parte dei loro veti nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU degli ultimi tre decenni per proteggere Israele dalla condanna per i suoi crimini umanitari”. Ultimo, ma non meno importante fine è quello di “rispondere alle richieste di solidarietà dei palestinesi”.
Nel corso degli anni Freedom Flottilla è sempre stata attiva nella condanna delle azioni israeliane a Gaza e ha condotto molteplici missioni tanto fuori quanto dentro la Striscia per fornire assistenza alla popolazione palestinese. La più nota è certamente quella del 2010, in occasione di cui Israele intercettò e attaccò la flotta uccidendo 10 dei suoi passeggeri e ferendone altri, incrinando inoltre i rapporti con la Turchia. Il lancio di una nuova missione si colloca sulla scia dei sempre più forti sollevamenti dal basso in sostegno del popolo palestinese, che stanno investendo numerosi Paesi del mondo. In Italia è in atto una vera e propria “mobilitazione dei saperi” in tutte le Università della penisola, recentemente arrivata anche negli USA, dove studenti e professori sono stati oggetto di una forte repressione. Anche in Francia gli studenti hanno occupato la sede di Scienze Politiche della Sorbona e in generale in tutto il mondo ci sono state manifestazioni, marce e proteste in sostegno alla Palestina.
[di Dario Lucisano]
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