Jens Stoltenberg è andato in all-in: alla vigilia del vertice dei Ministri degli Esteri della Nato il segretario uscente dell’Alleanza Atlantica ed ex primo ministro norvegese ha messo a terra l’idea di un fondo quinquennale da 100 miliardi di dollari complessivi per sostenere la resistenza dell’Ucraina in guerra contro la Russia.
La Nato di Stoltenberg, che è in cerca di un sostituto ai suoi vertici, intende mobilitare una quota di risorse conferita dagli Stati membri dell’Alleanza in misura proporzionale al proprio prodotto interno lordo. La misura è stata denominata come orientata alla creazione di un fondo “anti-Trump” a livello giornalistico in quanto si ritiene che Stoltenberg l’abbia proposto in risposta al continuo palleggio al Congresso Usa del piano da 60 miliardi di dollari di aiuto militare a Kiev. Inoltre, la proposta del segretario Nato include pure il passaggio sotto il comando dell’Alleanza delle tavole rotonde “formato Ramstein” con cui si riunisce la coalizione internazionale dei partner dell’Ucraina, finora ospitate soprattutto nell’omonima base americana in Germania occidentale.
La proposta di Stoltenberg presuppone che, come ricorda il Financial Times, “la quota statunitense dei 100 miliardi di dollari sarebbe significativamente inferiore al pacchetto di aiuti bilaterali bloccato, hanno detto i diplomatici. Sono in corso dibattiti sulla struttura del finanziamento, con alcuni che spingono per la stessa ripartizione utilizzata per finanziare il bilancio condiviso della Nato, in base al quale gli Stati Uniti dovrebbero fornire poco più di 16 miliardi di dollari”. Stoltenberg agisce a sostegno dell’Ucraina per puntellare la fine della sua lunga segreteria mentre la Nato è alla ricerca di un successore entro l’autunno dopo mesi di lungaggini sul sostegno a Kiev. Possibile pensare, al tempo stesso, alla volontà di fornire una sponda a Joe Biden e alle sue politiche per amplificare al Congresso gli sforzi per sostenere Kiev. Ma al contempo la manovra del segretario della Nato dovrà scontrarsi con diverse problematiche.
Prima fra tutte, la necessità di far approvare da tutti e trentadue i membri dell’Alleanza Atlantica le disposizioni pro-Ucraina. E in campo Nato ci sono almeno tre Stati che potrebbero rompere la norma dell’unanimità: la Turchia, restia ad appoggiare in profondità Kiev, si aggiunge al duo centroeuroepo formato da Ungheria e Slovacchia.
In secondo luogo, emerge la prospettiva che finanziare questo maxi-fondo possa negli anni a venire condizionare la corsa dei Paesi Nato verso il superamento del 2% del Pil in termini di spese militari. Accorciando giocoforza la coperta e ponendo gli Stati, soprattutto la ventina di Paesi europei che non ha ancora raggiunto il target, di fronte alla necessità di dover scegliere tra le proprie forze armate e quelle ucraine.
Infine, il fondo di lungo periodo sembra presupporre un’abdicazione a qualsiasi soluzione politica per la guerra e non è dato sapersi cosa potrebbe succedere se il conflitto finisse prima. Che assistenza dovrebbe la Nato fare, in questo caso, a un Paese non membro? E in generale, con che condizioni Kiev sarà sostenuta? Prosaicamente, la realtà sembra voler presupporre una corsa di Stoltenberg a mettere sul terreno un tema caldo per preparare la successione come leale e fiero sostenitore dell’Ucraina blindando la posizione della Nato. Da far coincidere, però, con quella dei Paesi membri. Che con l’ingresso di Svezia e Finlandia sono ora trentadue. Sarà difficile trovare una sintesi, specie per la percepita escludibilità tra le spese per l’Ucraina e quelle per la propria difesa in molti Paesi. E in cinque anni molte priorità possono cambiare. Non solo un’amministrazione Usa sostituibile con un’altra vista, a Bruxelles, come uno spauracchio.
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