Il problematico caso del Francis Scott Key Bridge di Baltimora, collassato dopo l’impatto con una nave portacontainer, la “Dali” nella giornata del 26 marzo, ha mostrato apertamente il drammatico stato in cui si trovano le infrastrutture negli Stati Uniti.
Lo ricorda Politico.com, sottolineando come incuria e scarsa manutenzione siano alla base della fragilità della rete connettiva che tiene uniti gli States, soprattutto nei trasporti ferroviari e via strada. Le infrastrutture americane sono figlie dell’epoca post-Seconda guerra mondiale e fu tra le presidenze di Dwight Eisenhower e Richard Nixon, tra gli Anni Cinquanta e Settanta.
Un’altra epoca, un’altra America, ricorda Politico: “Negli anni ’70, quando fu progettato il Key Bridge, le navi erano notevolmente più piccole e gli ingegneri non avrebbero previsto le gigantesche navi portacontainer di oggi”, le cosiddette post-Panamax. La nave più grande del mondo “a quel tempo era grande circa un quarto della Dali, ovvero la lunghezza di un grattacielo. La nave media nel 2024 è sei volte più grande di quella della fine degli anni ’70″.
Ad oggi negli Usa si moltiplicano incidenti di vario tipo. Il ponte di Baltimora è solo l’ultima della serie. L’amministrazione dei Trasporti Usa, guidata dal segretario Pete Buttigieg, ex candidato presidenziale del 2020, ha dovuto affrontare due casi gravi nell’ultimo biennio: un incidente ferroviario in Michigan nel 2022, che ha causato 4 morti, e il deragliamento di un treno nel 2023 a East Palestine, Ohio, che non ha causato morti ma ha suscitato scalpore per il fatto che molti cittadini del luogo si sono sentiti male dopo che un incendio ha rilasciato nell’aria diversi inquinanti. Il crollo del Francis Scott Key Bridge ha risvegliato l’allarme destato nel 2021 dallo U.S. Government Accountability Office (Gao) che indicava come potenzialmente a rischio crollo o danni strutturali per cause legate alla loro costituzione o al contesto ambientale un ponte su quattro nel paese
In una valutazione del 2021 l’American Society of Civil Engineers rilevava un “gap negli investimenti infrastrutturali” di quasi 2.600 miliardi di dollari tra pubblico e privato nel decennio culminato nella pandemia di Covid-19, sottolineando come questo avrebbe potuto causare, in termini cumulati, la perdita di 10mila miliardi di dollari di Pil in 20 anni, una media di 500 miliardi di dollari l’anno, a causa di ritardi, incidenti, capacità di trasporto insoddisfatte e costi gestionali straordinari.
Il problema di fondo è la manutenzione ordinaria e l’adeguamento delle opere già esistenti alle nuove condizioni operative. Vale per i trasporti di merci e persone, per ponti, porti, aeroporti e autostrade, così come per le infrastrutture complementari, le reti energetiche, quella idrica e la banda larga. “Tra l’Infrastructure Investment and Jobs Act (IIJA) e l’Inflation Reduction Act (IRA), il 117esimo Congresso ha investito 1,25 trilioni di dollari nei settori dei trasporti, dell’energia, delle risorse idriche e della banda larga per i prossimi cinque-dieci anni”, nota la Brookings Institution.
A ogni livello manca una fase di coordinamento generale tra il governo federale e le amministrazioni locali, soprattutto a livello di raccolta requisiti e necessità operative, sistemiche e di manutenzione. Un tema sottolineato nel 2016 nel volume “The Road Taken: The History and Future of America’s Infrastructure” da Henry Petroski. Petroski ai tempi sottolineava fosse di almeno 120 miliardi il sotto-investimento annuo mancante agli States. Donald Trump, eletto presidente quello stesso anno prevedeva un piano da 1.000 miliardi di dollari per colmare il gap, ma in un Congresso bloccato non se ne fece nulla. Biden ci riprova, ma tutto sta nel management delle opere.
“Gran parte della discrepanza nella qualità delle infrastrutture tra gli Stati Uniti e i suoi omologhi può essere ricondotta a diversi livelli di finanziamento”, secondo il Council of Foreign Relations. Secondo il Cfr, tra i Paesi membri Ocse gli Stati Uniti “investono meno nelle infrastrutture di trasporto in percentuale del PIL rispetto a molti altri paesi ricchi, tra cui Francia, Germania, Giappone e Regno Unito. La Cina, nel frattempo, spende dieci volte di più degli Stati Uniti in percentuale del Pil. Allo stesso tempo, il progetto infrastrutturale globale di punta della Cina, noto come Belt and Road Initiative , ha cercato di aumentare l’influenza economica del paese in tutto il mondo”. Washington sta lavorando molto per sviluppare corridoi alternativi alla Bri nel mondo, ma spesso trascura le opere interne. Arteria vitale di un Paese tanto potente e dominante in tanti ambiti quanto diviso e frammentato al suo interno. La spina dorsale dell’America è fragile. La connettività va ripensata. E incidenti come quello di Baltimora lo ricordano, spesso al prezzo di vite umane e di emergenze che un lavoro ordinario di sostegno alle infrastrutture avrebbe spesso permesso di ridurre di numero.
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