Aleksandr Vucic alza l’asticella dell’attenzione della Serbia per le tensioni geopolitiche e diplomatiche mai sopite che interessano i Balcani occidentali. Negli ultimi giorni il presidente ha mostrato agitazione per gli scenari internazionali e nella giornata del 27 marzo ha parlato di “giorni difficili” in arrivo per Belgrado e per la sua sicurezza nazionale. “Adesso non mi è facile dire quali notizie abbiamo ricevuto nelle ultime 48 ore. Minacciano direttamente gli interessi nazionali vitali della Serbia e della Repubblica di Srpska”, ovvero la componente serba della Bosnia-Erzegovina, ha scritto Vucic sul suo profilo Instagram.
“Nei prossimi giorni informerò il popolo serbo su tutte le sfide che lo attendono. Sarà difficile come sempre”, ha aggiunto. Un messaggio criptico che ha destato allarme.
Che cosa succede? Il presidente serbo viene da settimane agitate. Ieri, ad esempio, ha suscitato tensione in Serbia il rifiuto da parte dei Paesi Nato di portare al Consiglio di Sicurezza Onu in discussione il tema del bombardamento della Jugoslavia nel 1999 e delle sue conseguenze nel loro 25esimo anniversario.
Un segno del distacco politico crescente tra Belgrado e l’Occidente amplificato dalle recenti tensioni sui fatti russi della scorsa settimana. A caldo, dopo gli attentati di Mosca del 22 marzo, Vucic ha anticipato quanto ha detto il capo dell’Fsb Aleksandr Bortnikov, sottolineando che “Usa e Regno Unito sapevano già” cosa sarebbe accaduto con l’attacco di Isis-K nella capitale russa. Nei giorni successivi, Vucic ha mantenuto alta la tensione con le componenti del campo occidentale convocando per colloqui collettivi sia gli ambasciatori dei Paesi membri del gruppo di contatto per il futuro dei Balcani occidentali, il cosiddetto “Quintetto” (costituito da Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti) che il rappresentante nella capitale serba dell’Unione Europea, il diplomatico Emanuele Giaufret. Tema dei dialoghi il possibile avvicinamento del Kosovo al Consiglio d’Europa e la futura ammissione di Pristina e dei suoi rappresentanti all’Assemblea parlamentare della Nato.
Nei giorni scorsi, il processo di avvicinamento all’Unione Europea della Bosnia-Erzegovina aveva suscitato allarme in Serbia e nella Repubblica Srpska guidata dall’alleato di Vucic, Milorad Dodik. Il quale è notoriamente critico dell’Occidente e vicino alla Russia di Vladimir Putin. A inizio marzo Vucic aveva annunciato un vasto piano di riarmo. In precedenza, la “battaglia delle targhe” aveva agitato le relazioni tra Serbia e Kosovo, mostrando come dal riconoscimento dei veicoli dei due Paesi potesse partire una questione esistenziale sul mutuo riconoscimento di due Stati tra i quali la comunicazione è sempre più complessa.
Vucic ha provato negli anni scorsi a tenere parallelamente in campo la vicinanza alla Russia, il rifiuto del sostegno all’aggressione all’Ucraina, dato che le rivendicazioni del Donbass avrebbero giocoforza amplificato la questione kosovara, e un dialogo economico e politico a tutto campo con l’Unione Europea, sostanziatosi in accordi commerciali e industriali con Paesi come Germania e Italia. Le questioni identitarie e nazionali, però, premono: l’avvicinamento all’Occidente di Pristina e Sarajevo evidentemente allarma Belgrado. Capitale in cui l’allerta ai massimi. In attesa che Vucic comunichi cosa davvero minaccia la sicurezza nazionale serba: una provocazione o una sfida reale? Attenzione ai confini caldi con il Kosovo e a quelli interni alla Bosnia: ogni provocazione o movimento, nei giorni a venire, rischia di essere critico.
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