Il Piano dell’UE Contro Orban: il Terrorismo Finanziario di Bruxelles
di Cesare Sacchetti
Un articolo appena uscito in prima pagina del quotidiano principe dell’anglosfera, il Financial Times, firmato da tre nomi, quelli di Henry Foy, Andy Bounds e Martin Dunai, rivela un piano dell’Unione europea contro l’Ungheria.
È noto che da diversi mesi a questa parte Budapest abbia mostrato una certa riluttanza a sostenere gli aiuti al regime nazista ucraino che ormai si trova quasi esclusivamente dipendente da Bruxelles, visto che gli Stati Uniti ormai sembrano essersi fatti da parte anche sotto il lato economico, dopo non aver voluto avere alcun coinvolgimento militare attivo nella guerra contro la Russia.
Il venir meno della sponda europea di quella che un tempo era l’alleanza Euro-Atlantica accelererebbe ancora di più il declino di Zelensky, che negli ultimi mesi si trova a dover far fronte ad una crescente fronda di malcontento interno che è penetrata anche nel cuore delle forze armate.
È questa con ogni probabilità la motivazione che ha spinto il presidente ucraino a rimuovere dal comando il popolare generale Zaluzhny, che viene descritto come alquanto contrariato della strategia militare suicida di Kiev, che consiste sostanzialmente nel mandare al macello il numero più alto di uomini possibile, senza avere alcuna speranza di sovvertire le sorti del conflitto.
I numeri sono impressionanti e si parla di perdite superiori alle 300mila unità, senza contare tutti i mercenari dei vari Paesi Occidentali che sono stati eliminati dalla Russia nel corso degli ultimi due anni.
Bruxelles è l’ultima flebile spiaggia di Kiev anche se questa non è in grado di sostenere da sola questo decadente regime, ma questo non sembra aver dissuaso qualche irriducibile eurocrate dal voler comunque inviare aiuti finanziari all’Ucraina.
La Guerra Finanziaria dell’UE all’Ungheria
Ecco dunque che nelle stanze della Commissione, rivela il FT, sarebbe stato approntato un piano di attacco, visionato dal quotidiano anglosassone, qualora Orban questa settimana decida di proseguire il suo ostruzionismo nei confronti del finanziamento a Kiev.
A quanto riferisce il Financial Times, il piano consisterebbe sostanzialmente nella chiusura dei finanziamenti europei all’Ungheria, i cosiddetti fondi strutturali, per poi passare ad una sorta di guerra valutaria che avrebbe come scopo principale quello di provocare una svalutazione del fiorino ungherese sui mercati per colpire la crescita dei salari e il finanziamento del debito pubblico.
Se si prende in considerazione uno scenario di una guerra valutaria di questo tipo con massicci attacchi speculativi al fiorino ungherese, si potrebbe assistere a scenari che ricordano quelli del 1992 quando il famigerato squalo della finanza anglosassone, George Soros, attraverso il suo fondo di investimenti Quantum Fund scommetteva pesantemente contro la lira, sostenuto dall’ineffabile e non rimpianto governatore della banca d’Italia e presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che piuttosto che liberare l’Italia dalla morsa dello SME, l’antenato dell’euro, si impegnava in una scellerata difesa del cambio fisso con il marco tedesco, svuotando le riserve in valuta estera di palazzo Koch a tutto beneficio degli speculatori come Soros.
Le condizioni però allora erano alquanto diverse poiché la lira appunto era legata ad un sistema di cambi fissi mentre il fiorino ungherese non deve difendere alcuna parità con un’altra moneta di riferimento e il contraccolpo principale per esso sarebbe quello di rendere più costose le importazioni, aumentando però al tempo stesso la competitività delle merci magiare rese più economiche dal cambio svalutato.
L’Ungheria per le sue importazioni dipende principalmente da 5 Paesi, Germania in testa dalla quale compra macchinari industriali ed elettrici, seguita da Austria, Cina, Slovacchia e Russia, dalla quale Budapest compra invece gas e petrolio.
Se Bruxelles decide dunque di scatenare una guerra economica all’Ungheria, a pagare il conto sarebbe anche la Germania, poiché Orban potrebbe iniziare a guardare altrove per comprare le merci di cui ha bisogno, soprattutto Cina e Russia, aggravando così la già profonda crisi economica della Germania, affetta da una galoppante deindustrializzazione dovuta anche al fatto di non riuscire più a sfruttare i vantaggi artificiali che la moneta unica offriva a Berlino. L’Ungheria in questo caso potrebbe guardarsi attorno come si accennava prima e rinsaldare ancora di più i rapporti economici con i Paesi che orbitano nell’area dei BRICS.
Il danno principale che deriverebbe da una simile strategia sarebbe quello della perdita dei fondi strutturali dell’UE se si considera che solamente nel 2021 l’Ungheria ha versato a Bruxelles 1,7 miliardi di euro per riceverne in cambio 6, con un attivo per i magiari di 4,3 miliardi di euro mentre l’Italia, dal canto suo, si trova in condizioni diametralmente opposte quando negli ultimi 20 anni si trova a dover affrontare un passivo nei confronti di Bruxelles superiore ai 70 miliardi di euro.
Il piano dell’UE era quello di estendere i suoi confini e per rendere più attrattive le prospettive di un ingresso nell’Unione ai Paesi dell’Est Europa sono stati versati ingenti fondi dai contribuenti attivi dell’UE, tra i quali appunto c’è anche l’Italia.
Quello che però non hanno considerato dalle parti della Commissione europea è che a Budapest potesse esserci un primo ministro che mettesse al primo posto gli interessi del Paese, senza affatto aderire all’agenda immigrazionista dei confini aperti voluta dall’UE, né tantomeno rinunciare alla forte identità cattolica dell’Ungheria per passare al modello liberale e sorosiano della società aperta.
Anche nel caso della politica estera, Budapest ha seguito una linea più neutrale sul conflitto ucraino e non ha dato alcun sostegno attivo a Kiev, né ha attuato le sanzioni economiche contro la Russia sul petrolio e sul gas.
Orban ha una politica estera alquanto abile che prevede che l’Ungheria non si schieri nettamente con il blocco Euro-Atlantico per lasciare aperta la porta ai legami con la Russia, paese fondamentale per l’economia ungherese, soprattutto per l’approvvigionamento di gas e petrolio.
Esiste poi anche una chiara affinità culturale tra Orban e Putin, entrambi accomunati dalla loro opposizione all’ingerenza di Soros nei rispettivi Paesi, che hanno preso la comune decisione di mettere al bando le ONG dello speculatore finanziario che ha orchestrato il numero più alto di rivoluzioni colorate e colpi di Stato in giro per il mondo negli ultimi 30 anni.
Se Bruxelles Va Contro Budapest fa Harakiri
Se non si raggiunge un’intesa sull’approvazione del bilancio UE, e se Bruxelles decide di lanciare un simile piano, le conseguenze per l’Unione sarebbero simili a quelle di un harakiri.
L’Unione si trova già isolata sullo scenario internazionale e abbandonata dalla sua tradizionale sponda atlantica di Washington che l’ha finanziata ed etero-diretta sin dai primi anni della sua creazione negli anni ’50, quando i presidenti americani approvavano il finanziamento della futura UE.
L’idea era quella di creare un blocco unico europeo per consentire alla Casa Bianca di controllare meglio il continente europeo ridotto al vassallaggio politico e alla mercé del governo parallelo americano costituito dalla lobby sionista, dal Council on Foreign Relations finanziato dai Rockefeller e da un’altra estesa rete di circoli globalisti.
Se si lancia una guerra economica all’Ungheria si preme il bottone nucleare sulla già fragile Unione europea, poiché Budapest messa alle strette potrebbe decidere a sua volta di preparare un piano di uscita dall’UE e iniziare a sondare il terreno per un ingresso nei BRICS.
Ciò scatenerebbe una reazione a catena che probabilmente coinvolgerebbe gli altri Paesi del blocco di Visegrad che una volta visto l’eventuale allontanamento dell’Ungheria da Bruxelles potrebbero decidere di seguire la stessa linea.
Non è chiaro se si giungerà ad un accordo tra le parti. Nelle ultime ore l’Ungheria ha fatto sapere attraverso il suo ministro degli affari europei, János Bóka, che non ha alcuna intenzione di cedere al ricatto dell’eurocrazia.
Se si arriverà al muro contro muro, e la Commissione deciderà di attuare la sua guerra economica contro Budapest, non farebbe altro che creare le condizioni ideali per una completa disgregazione dell’UE.
Bruxelles in questo momento è sola e non è più in grado di lanciare la strategia del terrorismo finanziario già attuata contro Italia e Grecia nel biennio 2011-2013. È una fase storica molto diversa poiché in quel frangente l’Unione era ancora sostenuta pienamente dall’anglosfera e dall’amministrazione Obama a differenza di quello che è adesso, considerato il vuoto governativo che c’è a Washington con l’amministrazione Biden che ad oggi ancora non ha spostato i fondamentali della politica estera di Trump, notoriamente ostile all’UE e alle organizzazioni di natura globalista.
È una situazione quella dell’UE appesa ad un filo dal momento che il mondo multipolare che sta sorgendo si rafforza sempre di più e i Paesi europei come la Francia perdono tutta la loro influenza coloniale ancora di più colpita dall’uscita di Burkina Faso, Mali e Niger dalla comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale.
Se i falchi dell’eurocrazia proveranno ad attuare il terrorismo economico contro Orban, il conto da pagare potrebbe non essere alto solamente per l’Ungheria, che comunque può trovare altre soluzioni, ma soprattutto per la stessa UE.
Stavolta non è il 2011 dell’Italia e della Grecia come si diceva in precedenza. Stavolta è il 2024 e l’Unione europea rischia di aggravare ancora di più la sua crisi e di accelerare il declino che potrebbe portare alla sua prossima fine.
Se il futuro appartiene al mondo multipolare e al ritorno degli Stati nazionali, l’idea stessa alla base dell’UE della cessione di sovranità è superata. Bruxelles si trova nelle condizioni di un cadavere geopolitico già condannato dalla storia.
Articolo di Cesare Sacchetti
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