di Giacomo Gabellini per l'AntiDiplomatico
Ormai da oltre due mesi, gli Houthi, gruppo yemenita di fede sciita e collegato all’Asse della Resistenza imperniato sull’Iran, conduce una campagna di pirateria nelle acque prospicienti il Golfo di Aden contro i navigli riconducibili a Israele. Con azioni anche spettacolari come quella risalente allo scorso novembre che ha portato alla cattura di Galaxy Leader, nave di proprietà del miliardario israeliano Abraham Ungar. «La detenzione della nave israeliana – ha dichiarato un portavoce degli Houthi – rappresenta un passo pratico compiuto a dimostrazione della serietà delle forze armate yemenite nel condurre questa battaglia marittima, senza riguardo per i costi che comporterà. Si tratta soltanto dell’inizio».
Gli Stati Uniti hanno reagito dapprima promuovendo un programma internazionale di pattugliamento del Mar Rosso, e successivamente colpendo, di concerto con la marina militare britannica, numerosi obiettivi in territorio yemenita – compresa la capitale Sana’a e il governatorato costiero di Hodeidah – al fine deliberato di “neutralizzare” gli Houthi. Basandosi sulle confidenze rese da due fonti anonime interne al Pentagono, il «New York Times» sostiene che la distruzione del 90% degli oltre 70 obiettivi colpiti con più di 150 missili a guida di precisione avrebbe compromesso circa il 20-30% della capacità offensiva degli Houthi, gran parte della quale è composta da sistemi missilistici montati su piattaforme mobili facilmente spostabili e occultabili. « Localizzare obiettivi riconducibili agli Houthi – scrive il quotidiano statunitense – si sta rivelando più impegnativo del previsto. Le agenzie di intelligence americane e occidentali non hanno impiegato molto tempo e risorse nel corso degli ultimi anni per raccogliere dati riguardo alla posizione delle difese aeree Houthi, degli hub di comando, dei depositi di munizioni e degli impianti di stoccaggio e produzione di droni e missili».
Secondo Nasr al-Din Amer, presidente dell’agenzia di stampa yemenita «Saba», le stime in merito alla distruzione di tre quarti circa delle capacità offensive degli Houthi riportate dal «New York Times» sarebbero soltanto «fesserie. Hanno colpito vecchie basi già bombardate durante la guerra con la coalizione internazionale che ci ha combattuto per nove anni. C’erano i sauditi a metterci la faccia, ma spesso partecipavano anche gli americani. Quindi niente di nuovo. Avevano armi moderne, intelligence, elettronica noi invece eravamo semplici ribelli e la parte dell’esercito yemenita che si è unita a noi era al collasso. Per anni abbiamo risposto: Allah è con noi. Così, dopo nove anni di guerra, abbiamo vinto. Adesso rispondo ancora: Allah è con noi e vinceremo». Nel corso degli anni, ha aggiunto Amer, «abbiamo preparato missili balistici e da crociera, siluri marini, droni per il cielo e il mare. Soprattutto, abbiamo il supporto della gente. Dal 2011 noi yemeniti ci siamo divisi su tutto, ma ora siamo uniti contro Israele per difendere Gaza. Ci sostiene persino chi ci ha ucciso nella guerra civile, anche l’opposizione espatriata ci ha teso la mano. In più abbiamo il vantaggio della geografia. Conosciamo la nostra terra, le nostre montagne, sappiamo dove nasconderci mentre il nemico è in mare e non ha nulla per ripararsi». Per gli Houthi, continua Amer, un blocco militare che pregiudicasse la possibilità di ottenere rifornimenti militari dall’Iran «non sarebbe un problema perché [le armi] sappiamo fabbricarle completamente in Yemen […]. Durante i nove anni di guerra, il mare era chiuso, il confine con l’Arabia Saudita anche, ma i nostri depositi si sono riempiti con armi sempre più efficienti […]. ». Le argomentazioni di Amer si pongono sulla stessa linea rispetto a quelle formulate da «Moon of Alabama», secondo cui «l’Asse della Resistenza rappresenta un insieme di gruppi vagamente collegati all’Iran e addestrati dal Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, che ha fatto molto di più di quanto avrebbe fatto il normale addestramento militare statunitense. Ha incoraggiato i gruppi a mettersi in contatto tra loro e a scambiare conoscenze. Ora collaborano a tutti i livelli. L’Iran ha introdotto nuove tecnologie e armi e ha insegnato a ciascun gruppo come crearne delle copie. Oggi i servizi segreti di Hezbollah insegnano agli Houthi come interpretare sistematicamente le azioni degli Stati Uniti. Houthi e iracheni si scambiano piani per la costruzione di missili e droni».
I preziosi insegnamenti ricevuti hanno posto gli Houthi nelle condizioni di alzare il tiro, prendendo di mira con missili anti-nave un cacciatorpediniere statunitense, e quindi bersagliando con missili balistici e droni sia il mercantile Genco Picardy, sia la portacontainer Gibraltar Eagle, entrambi di proprietà statunitense. Le azioni, ha spiegato il portavoce delle forze armate yemenite, generale di brigata Yahya Saree, è stata condotta «a sostegno della difficile situazione del popolo palestinese e in solidarietà con i nostri fratelli nella Striscia di Gaza, e nel quadro della risposta all’aggressione anglo-statunitense contro il nostro Paese». Saree ha quindi ribadito che l’esercito yemenita attaccherà «tutte le fonti di minaccia nella regione araba e nel Mar Rosso, in conformità al legittimo diritto di difendere [lo Yemen] e sostenere il popolo palestinese oppresso», e chiarito che «qualsiasi rinnovata aggressione comporterà ritorsioni e punizioni». L’Arabia Saudita, dal canto suo, ha invocato moderazione alla luce degli attacchi aerei sferrati da Stati Uniti e Gran Bretagna. Riad, i cui funzionari sono da mesi impegnati in colloqui di pace con gli Houthi, ha inoltre espresso «grande preoccupazione» per i connessi rischi di escalation nella regione mediorientale, che rischiano concretamente di aumentare per effetto della decisione degli Stati Uniti di inserire gli Houthi nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Gli attacchi degli Houthi hanno rallentato il commercio tra Asia ed Europa e indotto decine e decine di società di trasporto marittimo a circumnavigare l’Africa pur di evitare la rotta transitante attraverso il Canale di Suez. Nonché spinto un numero crescente di società assicuratrici a rifiutarsi di garantire copertura ai cargo mercantili riconducibili a Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele che intendano attraversare il Mar Rosso, in linea con le raccomandazioni di Washington di evitare per quanto possibile questa rotta strategica fintantoché i rischi di guerra rimangono concreti. Marcus Baker, responsabile dell’unità di intermediazione assicurativa e consulenza sui rischi di Marsh McLennan, ha dichiarato che «alcuni assicuratori non sono più disposti a sottoscrivere assicurazioni contro il rischio di guerra per navi di proprietà o coinvolte con Stati Uniti, Regno Unito o Israele che viaggiano attraverso il Mar Rosso. Anche se non tutti gli assicuratori impongono simili restrizioni, il mercato assicurativo si sta inequivocabilmente restringendo e sussistono le condizioni per ulteriori aumenti dei tassi». I quali andrebbero ad aggravare una situazione già fortemente critica, in cui il rischio di esasperazione e allargamento del conflitto si è riflesso in un incremento dei tassi dallo 0,01% del valore delle navi da assicurare registrato all’inizio del dicembre 2023 all’odierno 0,7%. Tradotto in soldoni, i costi per assicurare una nave portacontainer da 100 milioni di dollari sono saliti da 10.000 a 700.000 dollari nell’arco di un mese. Spese in forte aumento dunque, da sommare a quelle derivanti dall’incremento del prezzo del petrolio che proprio in questi giorni sta registrandosi sempre per effetto dell’incremento dei rischi connessi alla delicatissima situazione nel Mar Rosso. E che potrebbe crescere alle stelle, qualora la situazione degenerasse in maniera incontrollata.
A poco sembrano servire le rassicurazioni del ministro degli Esteri yemenita, il quale ha chiarito in una nota che gli attacchi portati dagli Houthi sono «limitati esclusivamente alle navi di proprietà del nemico israeliano o a quelle dirette ai porti della Palestina occupata», ed esortato le compagnie di navigazione marittima a proseguire le loro operazioni nel Mar Rosso «purché non siano dirette verso il nemico sionista». Il tema è stato ripreso da Mohammed Abdulsalam, che in qualità di caponegoziatore della delegazione yemenita in Arabia Saudita ha pubblicato un post su Twitter/X in cui si afferma che: «ciò che diverse compagnie di navigazione dichiarano per giustificare la sospensione delle loro operazioni, menzionando l’aumento dei rischi nel Mar Rosso, è il risultato delle pressioni e delle esagerazioni statunitensi. Si tratta di una posizione imprecisa e allineata alla propaganda americana. Centinaia di navi continuano a transitare ogni giorno attraverso lo stretto di Bab el-Mandeb. Riaffermiamo che non vi sono restrizioni su alcuna nave, fatta eccezione per quelle associate al criminale nemico sionista o quelle dirette ai suoi porti nella Palestina occupata».
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