CHE SIGNIFICA LA ‘MOSSA’ IRANIANA
Anche se il quadro del conflitto in Medio Oriente si presenta estremamente articolato e complesso, nonché foriero di pericolose escalation, è impossibile non osservare come l’Asse della Resistenza – ed in particolar modo l’Iran ed Hezbollah – abbia sinora mostrato una grande capacità di gestione strategica e tattica del conflitto, calibrando con grande attenzione ogni mossa. Ragion per cui ha destato non poco stupore il molteplice attacco iraniano dell’altro giorno, proprio perché sembra essere una rottura di quella capacità di equilibrio sinora manifestata. Ma è davvero così?
Consideriamo innanzi tutto gli aspetti principali dell’attacco. Ad essere stati colpiti sono obiettivi ostili in
Siria (ISIS) ed Iraq (Mossad), due paesi più che amici, e Pakistan
(Jaish Ul-Adl), un paese con cui Teheran ha buoni rapporti – in questi
giorni, era addirittura programmata una esercitazione navale congiunta.
Di là dal fatto che l’Iraq, e soprattutto il Pakistan, abbiano protestato in modo significativo, cosa peraltro quasi obbligata sotto
il profilo politico-diplomatico, resta il fatto che questi attacchi
sono stati portati a termine senza che vi fosse un tentativo di
reazione; infatti in alcun caso è stato attivato il sistema di difesa anti-missile.
Ciò significa che, certamente per quanto riguarda la Siria (e quindi la
Russia) ed il Pakistan, i paesi sul cui territorio si trovavano i
bersagli sono stati preavvertiti. Per quanto riguarda l’Iraq, il cui
governo sicuramente era stato allertato, c’è da aggiungere una ulteriore
considerazione: i missili balistici utilizzati hanno compiuto un volo
di oltre 1200 km, poiché sono stati volutamente lanciati da una
posizione lontana, nel sud dell’Iran, laddove trovandosi il bersaglio
nel kurdistan iracheno sarebbe stato assai più semplice colpire a
partire dall’omologa regione iraniana.
Questa scelta ha avuto un
doppio valore, politico e militare, ovvero dimostrare la capacità
iraniana di colpire con grande precisione ed a grande distanza
(messaggio rivolto soprattutto ad Israele), ma anche che i sistemi di
intercettazione e difesa anti-missile statunitensi, largamente presenti
sia in Iraq che in Siria, sono stati colti di sorpresa/bypassati.
Per quanto riguarda l’attacco alla base del Mossad ad Erbil, va
aggiunto che (nonostante la regione del kurdistan iracheno sia una
enclave largamente autonoma, e fortemente legata sia agli USA che ad
Israele) è evidente che ha mostrato anche la capacità di penetrazione
dell’intelligence di Teheran.
La questione dell’attacco sul
Belucistan pakistano, alla luce della forte reazione di Islamabad,
appare più complessa, ma anche qui – oltre alla mancata attivazione
delle difese anti-missile – va tenuto conto della particolare natura
dello stato pakistano, al cui interno sicuramente agiscono poteri
(interni ed esterni) anche assai diversi e conflittuali. Le forze
armate, ed i servizi segreti (ISI), sono molto ben collegati con gli
Stati Uniti, sin dai tempi della guerriglia anti-sovietica in
Afghanistan, ma anche abbastanza permeati da influenza fondamentaliste
islamiche, mentre il governo (anche in funzione anti-indiana,
storicamente filo russa) ci tiene a mantenere un rapporto privilegiato
con Washington. Vale appena la pena di ricordare come, proprio su
mandato statunitense, sia stato liquidato il presidente scomodo
Imran Khan… È assai probabile, quindi, che alcune delle forze interne
non abbiano gradito la mossa iraniana, ed abbiano imposto una reazione adeguata. È di oggi la notizia che il Pakistan ha effettuato una serie di attacchi mirati contro i “nascondigli terroristici” in
Iran; specularmente a Teheran, Islamabad ha dichiarato che rispetta la
sovranità dell’Iran, e la sua è una azione esclusivamente antiterroristica. Ed anche in questo caso, le difese iraniane non sono state attivate…
Tornando quindi alla questione iniziale, se siamo di fronte o no ad un venir meno della moderazione iraniana,
aggiungendo al quadro la rivendicazione dell’attacco a due navi
israeliane nell’Oceano Indiano, ma anche l’assenza di mosse dirette
contro gli USA, credo si possa affermare che siamo di fronte a
qualcos’altro.
L’Iran ha davanti a sé grandi prospettive, derivanti
non solo dagli stretti rapporti con la Russia e la Cina, entrambe
capofila della spinta al multipolarismo, ma anche dai grandi vantaggi
che la sua posizione geografica strategica offre nella prospettiva dei
corridoi euroasiatici. Non ha pertanto interesse ad arrivare allo
scontro con gli Stati Uniti, e preferisce di gran lunga esercitare –
come sta efficacemente facendo – una forte pressione finalizzata ad
espellerne le basi militari dalla regione, senza arrivare al conflitto
aperto. Ma, al tempo stesso, e proprio nella prospettiva di cui prima,
avverte sia la necessità di affermare il proprio ruolo di potenza
regionale di primo piano, sia che sono maturate le condizioni interne ed
internazionali perché ciò avvenga.
In questo senso, la mossa
iraniana va letta come un segnale alle altre potenze regionali – Arabia
saudita e Turchia innanzi tutto – nonché allo storico nemico israeliano,
perché comincino a misurarsi con l’idea che l’Iran (a più di
quarant’anni dalla rivoluzione khomeinista), non solo non è liquidabile né
emarginabile, ma è un soggetto geopolitico con cui devono fare i conti,
e con cui è meglio cercare una pacifica convivenza piuttosto che
inseguire il sogno di rovesciarne il governo. Vedremo chi e come
recepirà il messaggio.
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