First Republic Bank è la terza banca americana a fallire in meno di due mesi
La First Republic Bank di San Francisco è la terza grande banca americana a fallire nell’arco di meno di due mesi, dopo la Silicon Valley Bank (SVB) e la Signature Bank: con 229,1 miliardi di dollari di attività totali al momento della chiusura, First Republic ha superato SVB – con 209 miliardi di dollari al momento della chiusura – diventando il secondo più grande fallimento bancario statunitense. Dopo un’asta conclusasi nella notte tra domenica e lunedì, le autorità monetarie hanno annunciato che la banca verrà rilevata da JP Morgan Chase, il maggiore istituto di credito degli Stati Uniti. L’accordo prevede che la JP Morgan, guidata da Jamie Dimon, rilevi i depositi assicurati e non assicurati ancora non ritirati dai clienti della First – circa 100 miliardi di dollari – accollandosi anche i 173 miliardi di prestiti concessi dall’istituto e 30 miliardi di titoli in portafoglio. Secondo il Financial Times, l’accordo per First Republic tutela i correntisti ma non gli azionisti, «spazzati via». I principali sono le società di investimento statunitensi Vanguard Group (11,4 per cento), BlackRock (7,3 per cento) e Capital Group (5,7 per cento). L’operazione costerà in totale 229,1 miliardi di dollari e la FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation) – l’agenzia che assicura i depositi bancari – contribuirà all’intervento di salvataggio dividendo con la Chase le perdite sui prestiti (circa 13 miliardi a suo carico) e concedendo a JP Morgan finanziamenti per 50 miliardi. La FDIC ha preso possesso della banca di San Francisco subito dopo il crollo ed è grazie al suo intervento che si è concluso l’accordo con JP Morgan.
L’operazione di acquisizione da parte della Chase si è resa necessaria per evitare rischi sistemici per l’intero sistema bancario americano, già sotto stress a causa dei precedenti fallimenti e reduce da appena un mese di tregua. Il tutto mentre le autorità bancarie cercano di rassicurare circa la «solidità» dell’intero settore per non allarmare i correntisti, scongiurando così una eventuale e ulteriore corsa al ritiro dei depositi. Per questo, in precedenza i mercati erano stati tranquillizzati dalle garanzie della Federal Reserve, pronta a farsi carico di tutti gli oneri del fallimento di SVB e Signature Bank. Le autorità regolamentari statunitensi sono intervenute prontamente per facilitare la vendita di First Republic Bank, garantendo al contempo la sicurezza dei depositi dei contribuenti, ha spiegato il presidente americano Joe Biden, aggiungendo anche che «Queste misure garantiranno la stabilità del settore bancario nazionale, proteggendo le piccole imprese e i lavoratori in tutto il Paese».
La crisi di First Republic deriva dal massiccio ritiro dei depositi da parte dei clienti causato dall’aumento dei tassi d’interesse decisi dalla Fed e da un timore diffuso generato dai precedenti fallimenti bancari che hanno indotto i clienti a spostare il proprio denaro verso banche considerate più sicure e in grado di offrire rendimenti più interessanti. Tra le banche di medie dimensioni, la First Republic è stata la più colpita da questa tendenza, anche perché il 70% dei suoi depositi non era assicurato, essendo superiore al limite garantito dalla FDIC di 250.000 dollari. Questo li mette a rischio, a meno che non subentri direttamente la FDIC o degli acquirenti. Oltre ai depositi non assicurati, First Republic aveva anche molti prestiti con tassi d’interesse fissi a lungo termine che hanno iniziato a perdere valore a causa dei ripetuti aumenti del tasso di riferimento della Federal Reserve. La settimana scorsa, in un comunicato stampa, First Republic aveva dichiarato di essere alla ricerca di aiuto per rimodellare il proprio bilancio dopo la massiccia fuga di depositi, ma nessuno è intervenuto, in quanto si è preferito attendere il fallimento e l’intervento della FDIC.
In un primo momento, un prestito di 30 miliardi erogato da 11 banche concorrenti a metà marzo, era riuscito a tamponare il crollo, in aggiunta al sostegno della Fed. Tuttavia, la crisi è riesplosa la scorsa settimana, quando la banca ha diffuso, oltre ai dati trimestrali, una relazione nella quale rivelava di aver dovuto fronteggiare in poche settimane il ritiro di metà dei suoi depositi. Li ha quindi dovuti sostituire coi prestiti della Fed e della Federal Home Loan Bank che però hanno un costo superiore al rendimento degli investimenti dell’istituto. Il risultato è che da lunedì scorso il titolo è sceso di oltre il 75%: l’azione First Republic, che l’8 marzo scorso valeva 115 dollari, venerdì scorso ha chiuso a 3,51 dollari.
Il governo americano ha cercato di evitare il salvataggio pubblico, optando, invece, per un salvataggio pubblico-privato: grazie alla mediazione della FDIC, infatti, JP Morgan è intervenuta nel salvataggio, facendo un favore al governo americano. Anche la Fed è dovuta intervenire riconoscendo di aver commesso gravi errori nella sorveglianza di alcune banche. «Il governo ha invitato noi e altri a fare un passo avanti e noi l’abbiamo fatto», ha detto l’AD di JP Morgan, Dimon. «La nostra forza finanziaria, le nostre capacità e il nostro modello di business ci hanno permesso di sviluppare un’offerta per eseguire la transazione in modo da minimizzare i costi per il Fondo di Assicurazione dei Depositi», ha aggiunto. Nonostante le dichiarazioni delle istituzioni sulla solidità del sistema bancario americano, dunque, quest’ultimo, senza gli interventi delle autorità di vigilanza e della Fed, appare sempre più vulnerabile.
[di Giorgia Audiello]
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