Un documento dell’FBI proverebbe la corruzione di Joe Biden
Da vicepresidente “si sarebbe impegnato in uno schema di corruzione con un cittadino straniero”. Il legame con gli affari di famiglia emersi dal laptop del figlio Hunter
La notizia è passata quasi inosservata negli Usa e difficilmente varcherà l’oceano: ieri mattina, i Repubblicani James Comer, presidente della Commissione investigativa della Camera, e Chuck Grassley, membro della Commissione Bilancio del Senato, hanno dichiarato di aver appreso da un whistleblower che “il Dipartimento di Giustizia e l’FBI sono in possesso di un promemoria non classificato che descrive un presunto schema criminale che coinvolge l’allora vicepresidente Joe Biden e un cittadino straniero relativo allo scambio di denaro per decisioni politiche”.
Il documento conterrebbe “una descrizione precisa di come è stato utilizzato il presunto schema criminale e del suo scopo”.
Il presidente Comer ha quindi reso noto che la sua Commissione ha già emesso un mandato per obbligare l’FBI a produrre il documento, un modulo FD-1023 (quello che viene utilizzato per raccogliere le dichiarazioni di “fonti umane riservate”). La citazione richiede specificamente al Bureau di consegnare tutti gli FD-1023 che contengono la parola “Biden” e tutti i documenti allegati.
“Le informazioni fornite sollevano preoccupazioni sul fatto che l’allora vicepresidente Biden si sarebbe impegnato in un piano di corruzione con un cittadino straniero. Il popolo americano ha bisogno di sapere se il presidente Biden ha svenduto gli Stati Uniti d’America in cambio di soldi per se stesso”.
Particolarmente rilevante la tempistica, perché sembra collegare la presunta corruzione agli affari di famiglia emersi dalle e-mail contenute nel laptop di Hunter Biden.
Il promemoria infatti conterrebbe le dichiarazioni di una “fonte umana riservata” raccolte dall’FBI a giugno del 2020. Siamo a pochi mesi dall’elezione di Joe Biden e all’incirca sei mesi prima l’FBI era entrata in possesso del laptop del figlio Hunter. Possibile, quindi, che il promemoria faccia parte dell’attività di indagine avviata dall’FBI dopo il rinvenimento del laptop e l’esame del suo contenuto, ma che sia finito nel fondo di un cassetto per non danneggiare le possibilità di vittoria dell’attuale inquilino della Casa Bianca.
Cosa ha fatto l’FBI?
“Riteniamo che l’FBI possieda un documento interno non classificato che include accuse molto serie e dettagliate che coinvolgono l’attuale presidente degli Stati Uniti”, ha spiegato Grassley. “Quello che non sappiamo è se l’FBI abbia fatto qualcosa, e che cosa, per verificare queste affermazioni o indagare ulteriormente. La recente storia di fallimenti dell’FBI nelle indagini politicamente rilevanti richiede una rigorosa supervisione da parte del Congresso”, ha aggiunto.
Il Dipartimento di Giustizia e l’FBI, ha dichiarato Grassley, “devono chiarire al popolo americano cosa hanno fatto con il documento, perché sappiamo che il documento esiste da informazioni molto credibili… Abbiamo davvero bisogno di sapere quali passi hanno intrapreso il Dipartimento di Giustizia e l’FBI per indagare ed esaminare il documento per determinare se è accurato o meno, e se hanno seguito le normali procedure investigative o hanno lasciato che calcoli politici interferissero“.
Il laptop di Hunter e la lettera dei 51 esperti
Il documento includerebbe transazioni e politiche legate all’Ucraina che risalgono a quando Biden era vicepresidente, hanno affermato diversi funzionari, secondo quanto riporta il giornalista John Solomon.
Biden si è sempre difeso dalle accuse sostenendo di aver semplicemente attuato la politica degli Stati Uniti e di non aver avuto alcun rapporto con la società del figlio o con i suoi soci in affari. Una versione smentita però proprio dalle email contenute nel vecchio laptop di Hunter, dalle quali è emerso che Joe Biden in effetti incontrò alcuni dei soci del figlio quando era vicepresidente.
Come ricorderete, la storia del laptop, pubblicata dal New York Post poco prima delle elezioni del 2020, fu censurata e falsamente bollata come disinformazione russa, con il decisivo contributo di una lettera firmata da 51 esperti di intelligence che fu sollecitata, secondo le ultime rivelazioni, addirittura dall’attuale segretario di Stato Antony Blinken, allora tra i principali consulenti della Campagna Biden.
Le e-mail tra Brennan e Morell
Nell’ottobre 2020, in uno scambio di e-mail tra due ex capi della CIA ottenuto da Solomon, Michael Morell informava John Brennan che stava organizzando una lettera di 51 esperti di intelligence per sostenere che la storia del laptop fosse un’operazione di interferenza russa, perché voleva dare alla Campagna di Biden “un argomento per respingere” le accuse di Donald Trump durante l’ultimo dibattito presidenziale (“trying to give the campaign, particularly during the debate on Thursday, a talking point to push back on Trump on this issue”).
Brennan, direttore della CIA con il presidente Obama, accettò volentieri di firmare la lettera dopo essere stato informato delle sue motivazioni politiche: “Ok, Michael, aggiungi il mio nome alla lista”, rispose a Morell il 19 ottobre 2020. “Buona iniziativa. Grazie per avermi chiesto di aderire”.
Una iniziativa politica
Lo scambio di e-mail fornisce una ulteriore schiacciante prova a sostegno della rivelazione del presidente della Commissione Giustizia della Camera Jim Jordan, secondo cui l’ormai famigerata lettera – che fu presentata dai media, dai fact checker e da Big Tech come una iniziativa indipendente degli esperti di sicurezza – fu in realtà una iniziativa politica sollecitata e assistita dalla Campagna Biden nel tentativo di influenzare le elezioni del 2020.
Morell ha testimoniato alla Commissione di Jordan che fu l’attuale segretario di Stato Antony Blinken, allora consigliere della Campagna Biden, a “innescare” il suo tentativo di organizzare la lettera, che la sua intenzione era di aiutare Biden a vincere le elezioni e che la Campagna Biden fece arrivare la lettera ai mezzi di informazione.
Alla fine è stato riconosciuto che il laptop era autentico, che era in possesso dell’FBI dal 2019, e che l’Intelligence Usa non aveva alcuna prova che si trattasse di una operazione di disinformazione russa.
Ora bisogna vedere se il Bureau consegnerà i documenti chiesti dal presidente Comer o se farà resistenza come già altre volte in passato.
Nessun commento:
Posta un commento