Nestor Halak per Comedonchisciotte.org
https://comedonchisciotte.org/nessuno-sa-la-verita/
Sembra
oramai assodato che lo scopo dell’amministrazione americana nel portare
la guerra in Ucraina sia quello di costringere la Russia ad una
sanguinoso conflitto che dovrebbe distruggerla economicamente e
politicamente fino a causare un cambio di regime interno sostituendo
l’attuale con uno più favorevole agli interessi esteri per poi arrivare
alla distruzione della Russia come potenza internazionale e farne un
terreno di sfruttamento per i complessi industriali, commerciali e
finanziari occidentali.
Al medesimo scopo erano già state
provocate le guerre in Cecenia e in Georgia e qualcosa di simile tentato
in Asia Centrale. Mi pare abbastanza chiaro che dal punto di vista
strettamente militare nessuna di queste guerre per procura avrebbe
potuto essere davvero vinta sul campo, a meno di un vero e proprio
miracolo, ma che il fine reale non fosse di vincerle militarmente, anche
perché la Russia è una potenza nucleare di prima grandezza e in
situazione critica potrebbe sempre decidere di usare l’arma atomica, ma
appunto di servirsene come mezzo di destabilizzazione interna. Ciò, tra
l’altro, conferma che le truppe usate sono sostanzialmente carne da
cannone.
Beninteso, lo stesso trattamento è previsto per quanto
riguarda la Cina, ma Taiwan è un’isola per cui è molto più difficile
trovare dei combattenti locali abbastanza forti ai quali poter affidare
la guerra suicida senza la diretta partecipazione delle forze
aereonavali americane. Comunque il sogno statunitense resta quello di
riuscire a far combattere russi con russi, cinesi con cinesi, onde
evitare che migliaia di bare avvolte nella bandiera a stelle e strisce
comincino ad arrivare a Washington.
In Ucraina questa strategia
ha per il momento funzionato soltanto parzialmente perché la Russia si è
rivelata, soprattutto dal punto di vista economico e sociale,
decisamente più resistente di quanto preventivato, tuttavia il fatto di
aver messo in opera una guerra in territorio russo, dove muoiono
migliaia di russi (anche i morti ucraini per quanto riguarda gli
americani, sono in un certo senso morti russi o quasi russi), è di per
se una vittoria strategica. Certo costa molto anche agli Stati Uniti, ma
non dimentichiamo che gli Usa i soldi li stampano e finché trovano chi
li accetta, il problema è superabile. E poi una parte della guerra è
pagata dai sudditi coloniali, in primo luogo dagli europei. Dal punto di
vista americano si tratta di insistere non tanto fino a vincere, cosa
che appare improbabile, ma fino a portare la Russia al collasso per
cedimento interno. Così come un tempo accadde all’Unione Sovietica.
Il
rischio più immediato di questa strategia è che collassi prima il
regime ucraino, il che potrebbe portare la Russia, volente o nolente, a
riprendere il controllo di tutto o quasi il territorio e al
rafforzamento del proprio governo col conseguente fallimento del piano.
Proprio per questo il sostentamento del regime di Kiev deve essere
assicurato e se possibile aumentato senza sosta e a questo fine tutte le
risorse anche propagandistiche dell’impero devono essere mobilitate: è
essenziale che l’Ucraina continui a resistere militarmente: non è poi
così facile trovare dei gonzi disposti a morire per gli interessi
altrui. Per inciso mi pare evidente che da parte russa non si tratta
di impedire all’Ucraina di entrare nella Nato – che è solo il nome che
si da all’organizzazione imperiale americana in Europa – ma di
convincerla ad uscirne, in quanto l’Ucraina è già membro Nato a tutti
gli effetti pratici fin dal 2014.
Resta vero che ben
difficilmente i russi possono essere sconfitti sul piano strettamente
militare, almeno non in Ucraina, sia perché la loro capacità di
escalation in loco è certamente superiore, sia perché gli eserciti
europei sono in realtà ben poca cosa e per nulla vogliosi di combattere,
sia perché la costruzione di un corpo di spedizione americano
richiederebbe molto tempo, centinaia di migliaia di uomini e tutto un
complesso sociale, politico, logistico, militare e industriale che al
momento l’America non pare possedere né avere la possibilità di
costruire nel breve periodo. La speranza di vittoria deve dunque basarsi
principalmente sulla scommessa che il potere russo sia internamente
diviso e non ha abbia nel suo complesso volontà di arrivare fino in
fondo alla partita. Se il cedimento ancora non viene, occorre
semplicemente insistere e superare i limiti che si erano precedentemente
posti: per esempio ultimamente gli americani sono giunti alla
determinazione di consentire la fornitura al regime di Kiev di aerei da
combattimento, cosa che lo stesso Biden aveva sempre categoricamente
escluso sia per gli evidenti problemi logistici ed operativi che
comporta, sia, per dirla con parole sue, per non “rischiare la terza
guerra mondiale”. La stessa cosa è già avvenuta per i missili a lungo
raggio, i droni marini, i carri armati, le difese anti aeree. Se sono
giunti al punto di far saltare un gasdotto che serviva la colonia
europea più importante in Europa, non si faranno certo molti scrupoli a
proseguire su questa strada.
I russi da parte loro hanno
cominciato ad opporsi allo strapotere americano fin dall’ascesa al
potere del presidente Putin, ma in maniera piuttosto indiretta e
ondivaga cercando sempre e comunque di trovare un accordo tra “pari”,
status che gli americani non gli hanno mai riconosciuto. Pare che i
russi, al contrario della controparte, che già scrivevano nei trattati
con gli indiani falsità come “questa terra sarà vostra finché i fiumi
scorreranno e l’erba crescerà”, attribuiscano molto valore a “qualcosa
di scritto”. Il risultato, però, non pare molto brillante se si pensa
che nonostante carte e trattati suggellati dall’Onu, è stata loro
imposta l’ennesima una guerra in casa: certamente non un buon risultato
strategico. Evidentemente il patto Molotov / Ribbentrop non gli
ricordava nulla. Comunque, sia il primo tentativo di risolvere la
questione con gli accordi di Minsk, sia il successivo di “caldeggiare”
l’accordo con un’azione militare spettacolare, ma soprattutto
dimostrativa (prima fase della operazione militare speciale), sono
evidentemente falliti.
Per capire i motivi di questa politica
incerta occorre probabilmente considerare che il governo capeggiato dal
presidente Putin, al contrario da come viene dipinto dal main stream
occidentale, è in realtà un’amministrazione moderata, assolutamente
incline al negoziato, che deve tenere conto delle diverse parti in lotta
nella politica interna russa, che vanno dalla cricca filo occidentale
composta dagli eredi degli anni novanta quando la Russia era diventata
una sorta di colonia americana (più che a un partito politico
assomigliano ad una elite compradora sudamericana); ai moderati che
desiderano una Russia europea, alleata dell’occidente, che abbia il
prestigio e lo standard di vita di una grande nazione europea e il peso
politico che la sua stazza comporta; ai nazionalisti imperiali che
vogliono il ritorno ad una pura politica di potere che riporti la Russia
al ruolo di superpotenza mondiale.
A seconda di quale fazione
risulta nella contingenza più influente, il governo oscilla tra la
ricerca quasi ossessiva di un accordo per non “alienarsi definitivamente
gli occidentali” e la difesa della sicurezza e degli interessi
nazionali a costo anche dello scontro militare. Certamente l’
aggressività, l’inaffidabilità, la doppiezza e le cattive intenzioni
degli americani non fanno altro che favorire la fazione più
belligerante. In ogni caso non dobbiamo stupirci troppo che certi centri
di potere interni siano disposti a barattare gli interessi nazionali
per vantaggi corporativi: non è forse ciò che accade di continuo sia nel
nostro governo che negli altri governi europei? I nostri politici
eletti fanno forse i migliori interessi delle nazioni che amministrano? O
si sono piuttosto venduti e sottomessi ad ordini di centri di potere
esterni? Gli “imprenditori” americani non hanno forse deindustrializzato
il paese per pagare un poco di meno gli operai? Come vedete, nessuno è
perfetto.
La Russia è rimasta sostanzialmente inerte di fronte
alle manovre americane di colonizzazione dell’Ucraina almeno fino al
2014, ma le azioni intraprese all’indomani del colpo di stato di Maidan
hanno indotto a credere che si fosse infine decisa a contrastare
l’aggressività americana, almeno sulla porta di casa e hanno
probabilmente indotto gli statunitensi a considerare assolutamente
imprescindibile la rimozione dal potere dell’amministrazione Putin.
Tuttavia, dopo l’annessione della Crimea e la sconfitta ucraina in
Donbass, anziché portare a termine l’azione intrapresa riprendendo
l’essenziale controllo sull’ Ucraina, i russi, quasi impauriti dalle
loro stesse iniziative, hanno di nuovo fatto marcia indietro cercando
per l’ennesima volta un compromesso.
Come abbiamo visto, il
risultato ottenuto è stato il riarmo Nato dell’Ucraina, decine di
migliaia di morti civili (russi), per mezzo di una guerra a bassa
intensità, e sanzioni economiche. Quindi, probabilmente nell’imminenza
di un nuovo attacco al Donbass nella primavera del 2022, Putin non ha
avuto altra scelta che dare il via all’operazione speciale, che peraltro
ha voluto moderata anche nel nome.
A partire da questo momento
le provocazioni americane volte al mantenimento e se possibile
all’aggravamento del conflitto sono proseguite in un continuo crescendo,
dal furto dei beni russi all’estero, a sanzioni che sono veri atti di
guerra, all’affondamento dell’ammiraglia della flotta del Mar Nero, agli
assassini mirati di civili, all’attentato al ponte di Kerch,
all’incredibile distruzione del gasdotto Nord Stream, alla fornitura di
armi di tutti i tipi, persino all’uranio impoverito, al drone sul
Cremlino alla persecuzione di stampo fondamentalista della cultura
russa. Ogni volta i russi hanno risposto sotto tono, sempre cercando di
non chiudere la via ad un accordo che mi pare più o meno inutile. Del
resto il diritto internazionale non è garantito da nulla, a meno che non
si disponga preventivamente di un nodoso bastone sotto il tavolo, come
ammoniva il presidente Wilson. E visto che sostanzialmente ben poco è
accaduto in rappresaglia alle provocazioni, gli americani, come è nel
loro stile, si sentono autorizzati ad alzare sempre più il tiro.
Per
fare solo un esempio, non si può non constatare che il Cremlino ha
ritenuto opportuno rinnovare l’accordo che consente l’esportazione del
grano ucraino via mare, permettendo il funzionamento del porto di Odessa
apparentemente senza contropartita, visto che gli ostacoli di fatto
all’esportazione dei fertilizzanti russi non sono mai stati rimossi
dagli europei. Perché? Per migliorare la propria immagine
internazionale? Ma se davvero ci tengono all’immagine, mi pare che la
sparata di Pregozhin, che ha mostrato (o finto di mostrare), le
divisioni interne di un paese in guerra, oppure la massiccia ritirata
dello scorso autunno abbiano un effetto sull’immagine ben peggiore della
negazione al nemico dell’uso dei porti del Mar Nero.
Molti
sostengono che i russi vogliono salvaguardare la popolazione ucraina che
considerano sorella, perciò agiscono con grande circospezione. Sarà
sicuramente così, solo che in certi casi si finisce per fare più morti
col presunto umanitarismo che con la fermezza. La guerra non è mai
umanitaria e ha ragione solo chi vince. Si dice che gli ucraini hanno
già perso più di 300.000 uomini e non sono certo tutti convinti nazisti,
anzi, per la maggior parte è gente presa per strada e mandata al fronte
a viva forza. Si dice che 14.000 civili erano già stati uccisi negli
otto anni di attesa russa del rispetto degli accordi di Minsk,
certamente ci sono già migliaia di morti tra i soldati russi e ancora
non siamo certo all’epilogo. Comunque lo valutiate, questo non mi pare
un risultato umanitario.
Al momento attuale, dopo la caduta di
Bakhmut\Artiomosk, siamo tutti in attesa della annunciatissima
controffensiva ucraina resa possibile dagli sforzi congiunti di tutto
l’occidente. Un’offensiva che non lascia presagire nulla di buono e che
potrebbe cambiare poco, ma anche essere risolutiva del conflitto.
Tenuto
conto della situazione generale, non pare probabile che l’Ucraina/Nato
possa conseguire risultati militari decisivi a meno che non intervengano
direttamente altre armate (ma non si vede quali), oppure fattori
interni alla politica russa che rovescino la situazione. E’ possibile
che sia proprio in questi ultimi gli americani sperano.
Sembra
tuttavia più probabile che la “grande controffensiva” con le nuove
wunderwaffen occidentali, se davvero verrà lanciata, porti ad una nuova
carneficina ed a perdite tali da avviare al collasso proprio l’ Ucraina,
che oramai , si dice, conta la metà della popolazione presente prima
della guerra. Pare che qualcosa come venti milioni di ucraini siano
scappati all’estero: eppure c’è chi trova ancora vantaggioso mettersi
con gli Stati Uniti, nonostante tutto ciò che toccano vada in pezzi. Se
il crollo si dovesse effettivamente verificare, l’opzione migliore degli
americani diventerebbe quella di negoziare una tregua: a quel punto
dipenderebbe tutto dalla buona volontà di Mosca, cioè dall’orientamento
politico prevalente al Cremlino che non si sa bene quale potrà essere.
Di sicuro l’accettazione di una tregua sulle posizioni raggiunte con un
nemico in difficoltà, non avrebbe l’aspetto di una vittoria russa, ma
piuttosto un modo di evitare l’umiliazione americana. E i “nuovi accordi
di Minsk” non potrebbero che avere lo stesso esito dei precedenti.
C’è
da dire che, date le qualità già abbondantemente dimostrate dai membri
del governo americano, palese e sotterraneo, non si può escludere la
possibilità che invece della tregua (o nel caso che la tregua venisse
giustamente respinta dalla controparte),quei gentiluomini optassero per
una nuova scommessa, un nuovo raddoppio, una di quelle iniziative che
per decine di volte dichiarano assolutamente impossibili, ma che poi
tranquillamente intraprendono. A quel punto quale altra wunderwaffe
potrebbe mai essere proponibile se non una bomba nucleare? Magari
tattica, una roba piccola, intendiamoci, poco più di un petardo.
Credo
infatti che, da fanatici guerrafondai quali sono, potrebbero anche
arrivare a ritenere accettabile una guerra atomica in Europa purché
limitata. Forse un’esplosione atomica su Sevastopoli potrebbe essere
tollerata anche se magari seguita dall’uso di qualche bomba russa in
Ucraina. Magari, col tempo, anche l’accidentale perdita di Varsavia o
Berlino potrebbe essere messa in conto: dopo tutto l’America è
dall’altra parte dell’oceano e i russi, a quanto possono dedurre dai
precedenti, non oserebbero colpirli. O no? Dopo tutto la bomba la
userebbero gli Ucraini, mica gli americani, così come sono stati gli
ucraini a far saltare il Nord Stream con l’incredibile acquiescenza
degli un tempo bellicosi germani.
Per evitare di incoraggiare
questo modo di pensare e per superare quel senso di impunità e
intoccabilità che gli americani ancora conservano, mi pare necessario
che la risposta russa alle provocazioni diventi più dolorosa e puntuale
di quanto non sia stata fino ad oggi. Dalla seconda guerra mondiale in
poi le amministrazioni Usa hanno fatto letteralmente milioni di morti
senza mai pagarne il prezzo, il che potrebbe portarle ad osare
l’impensabile. Dopo tutto l’atomica loro l’hanno già usata (solo loro e
per di più su obbiettivi civili), e se possono far saltare un gasdotto
russo che rifornisce l’Europa senza conseguenze nascondendosi dietro un
dito, perché non dovrebbero pensare di poterla fare franca anche
stavolta?
E’ forse un’ipotesi remota, ma credo che i russi
farebbero bene a rendere ben chiaro e pubblicamente che se un ordigno
atomico dovesse mai esplodere in Ucraina, quello successivo non sarebbe
destinato ad una qualche concentrazione di truppe di Kiev, ma ad un
obbiettivo americano, un luogo dove a loro fa male davvero. Dopo tutto
la pace mondiale fino ad oggi si è basata sull’equilibrio del terrore,
non sulle buone intenzioni.