Reportage / Il fallimento della nazione arcobaleno: visioni da Johannesburg
di PAOLO L. BERNARDINI
Per qualche ragione, da decenni sono legato al Sud Africa, e ogni tanto vi faccio ritorno. Ora sono a Johannesburg. Nel giugno 1994 volavo verso Cape Town, per il mio primo posto accademico, Senior Lecturer in Italian Studies. Avevo trentuno anni. Ora, quasi trenta anni dopo, sono qui a far visita ad un mio allievo. Nel 1994 cadeva il regime di Apartheid. Solo formalmente. In una infinita gamma di modi e maniere, esso rimane. Eccome. Da allora, rifletto sul fallimento del Sud Africa da prospettive prima liberali classiche, ora libertarie. Non me ne do pace.
Qui, si vive sotto assedio. Il mio cottage ha una difesa singolare. Prima un canneto. Inteso anche come elemento decorativo. Poi una staccionata di legno e metallo. Greve. Poi, sulla staccionata, una recinzione elettrificata. Non posso uscire di casa da solo, nonostante sia in un quartiere elegante di questa meravigliosa città così difficile da definirsi, almeno da quando sorse, con la corsa all’oro degli Anni Ottanta del XIX secolo. Mi vengono a prendere, mi riportano. Sono prigioniero. Se fossi forse più pratico del luogo saprei come e quando uscire da solo e a piedi. Ma non lo sono.
Qui sia spetta la catastrofe. Ci sono interruzioni programmate di energia, che per fortuna non toccano le recinzioni, alimentate da batterie autonome. Manca spesso l’acqua. La criminalità è alle stelle, ieri sono entrati in 6 armati in una Chiesa derubando un prete e pochi altri. I rimedi sono talvolta peggio dei mali. A Port Arthur, sempre ieri, due mastini hanno letteralmente divorato una passante, scambiandola forse per una ladra, o semplicemente perchè i proprietari avevano lasciato il cancello aperto.
Su sessanta milioni di abitanti, circa un terzo va a letto affamato, milioni vivono in disgustosi slums, di cui Soweto e Alexandra, i mitici sobborghi neri dei tempi di Mandela e Tutu e Tambo, non sono certo i peggiori. Molti slums non hanno nomi, altri li hanno quasi paradossalmente eleganti, ad esempio Bellevue. Non si gode di nessuna splendida vista a Bellevue, se non sulla miseria e il degrado.
Qui, in una delle terre più belle del mondo, di cui sono davvero innamorato, si consuma una storia di odi intrecciati molto rara da trovarsi, ed insieme si ha la peggiore disuguaglianza economica del mondo, derivato non da politiche liberali, magari ci fossero, ma dal peggior statalismo.
L’odio, innanzitutto, tra bianchi. I Boeri odiano gli inglesi per quello che hanno fatto loro sopportare dopo la definitiva conquista del Paese nelle guerre anglo-boere di fine Ottocento. I neri odiano tutti i bianchi. Ma poi vi sono conflitti etnici e sociali immensi, e non ben definiti, anche tra le varie etnie africane. Insomma, sono opachi e torvi tutti i colori di questo arcobaleno. Mai nome fu meno azzeccato.
Nel 1994, con il trionfo di Mandela, onorato dal Nobel per la Pace l’anno prima, vedevo nel Sud Africa un immenso potenziale. Da storico sempre attento alla geografia, lo vedevo come una piccola Australia, e lo è. Infatti il centro del Paese è coperto dal Kalahari, il sesto deserto del mondo e il secondo d’Africa. Ma intorno alla costa, e nella parte orientale per un vasto spazio, la terra è meravigliosamente ricca, oltre ad essere di una bellezza che lascia senza fiato. Si percorra la Panoramic Route, a est di Joburg, e quasi al confine col Mozambico, e si capirà quel di cui parlo. Canyon, cascate, grotte, dolcissime colline, punteggiate discretamente di ricordi storici.
Dell’Australia aveva il Sudafrica anche la ridotta popolazione rispetto alla estensione del territorio. Quando ci andai per la prima voltasi era poco sopra ai 30 milioni.
Ora la popolazione è raddoppiata, grazie alle politiche di immigrazione facile volute dall’ANC, e dallo stesso Mandela, responsabile in gran parte della rovina del Paese che così tanto amava, e da cui era così tanto amato. Etnie del Nord, peraltro molto più operose dei locali, dallo Zimbabwe, ad esempio, o dal Botswana, sono giunte nel paese, creando una competizione terribile con i neri locali, che hanno sofferto immensamente, in quanto meno disposti allo sforzo sia fisico sia intellettuale.
Probabilmente, se la popolazione si fosse fissata intorno ai 30 milioni, il disastro che osserviamo oggi non sarebbe avvenuto. Un piccolo stato, in termini di popolazione, è sempre molto più resiliente, e se la crisi finanziaria del 2008 non ha se non in parte scalfito il potente sistema bancario sudafricano, quella del Covid ha ulteriormente debilitato questa immensa terra, immensa solo in relativo, però, perchè abbondantemente desertica.
Ci sono milioni di persone senza casa, proliferano le malattie, l’uso di droghe, gli aborti e la criminalità ogni tanto recuperano corpi di prostitute massacrate, in un paese dove la prostituzione è ancora un grave crimine, comunque venga esercitata, ma dove evidentemente per una serie di ragioni vi è una sessualità esplosiva.
Piccolo è bello, anche in Africa. Sopra di me, ad esempio, e spero di visitarlo presto, un paese quasi del tutto desertico, assai più del Sudafrica, il Botswana. Ebbene, con poco più di due milioni di abitanti su un territorio quasi doppio di quello italiano, il Botswana ha uno dei redditi pro-capite maggiori di tutto il continente. Superiore di parecchio a quello sudafricano. Riesce perfino a sviluppare una industria turistica, qui quasi impossibile. Ci vuole tanto fegato a fotografare qui, come ho sperimentato io rischiando grosso, anche se fotografavo da un bus, poi redarguito dal conducente. Ed usavo un cellulare. Si vive blindati, figuriamoci se si può pensare al turismo.
Forti aliquote fiscali, corruzione rampante, deficit gestionali paurosi, con le ferrovie, una volta vanto del Paese, al tracollo, fanno fuggire molti bianchi, che rimangono i detentori del potere economico, ma che sono forse il 5, forse il 10% della popolazione. Difficile dire. Si respira atmosfera di apocalisse. Insieme a questa rarefatta aria d’altipiano, profumata e dolce non ostante lo smog. Manca un leader. Più di ogni altro, è lo stato centralistico che soffre e costringe alla fame un terzo della popolazione a necessitare di riforme federali. Forti. Invece accade il contrario, per le emozioni che guidano il mondo, e i loschi interessi di pochi che tali emozioni strumentalizzano, più si è nel fango, meno si decentralizza.
Come finirà? La domanda sembra avere una sola risposta. Ma non è’ detto. Vi sono elezioni imminenti e potrebbero riservare sorprese. Ma la politica del salario per tutti è micidiale. Vi sono poveretti che per pochi rand selezionano la spazzatura. Le macchine, sostengono qui, toglierebbero il lavoro all’uomo. Se i loro economisti la pensano in questo modo, la tragedia è assicurata. Continuano a straparlare di quarta rivoluzione industriale, quando hanno scientemente distrutto tutta la prima e sola, ma imponente, che mai abbia avuto questo paese.
Intanto vago nel CBD, il Central Business District, temendo per la pelle. Ma sopravvivo, non esibisco ricchezza, da nessuna parte. Solo il colore della pelle. Grattacieli vuoti, abbandonati, poveretti che vendono frutta, fazzolettini, sigarette, cappellini e poco altro. Competizione tra underdogs per la raccolta di immondizie. Non vedo cani e gatti, molto probabilmente li mangiano. Poi mi imbatto in centinaia di vagoni abbandonati, nel degrado assoluto. Quel che resta di un invidiabile settore ferroviario. Se cade Joburg cade il Continente? Forse no. Città come Lagos stanno diventando centri di maggior peso commerciale, eppure siamo nella cruenta, sommamente instabile Nigeria. Qui la Cina è presente, ma, almeno così sembra, meno che in Nigeria. Intanto, se si è bianchi ci si sente prigionieri. Ma non è, a ben vedere, questione di colore della pelle.
Anche un nero abbiente, ben vestito, su una bella macchina, diventa un bersaglio per queste legioni di miserabili. Una delle terre più suggestive del mondo è divenuta un incubo. Eppure qui, centomila anni fa, o forse più, non è nata una civiltà qualunque, ma lo homo sapiens stesso, che nel corso di 55.000 anni si è poi diffuso in tutto il globo. Le nostre origini. Indubbiamente, allora stavano molto meglio di oggi. Almeno qui.
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