Abbiamo bisogno di un’altra stampa, di altri Social e di altri Media
Sia l’amministrazione Trump che quella Biden hanno fatto pressione su Twitter – e una quantità di altri social e di altre aziende – perchè moderassero e censurassero secondo le linee guida ufficiali sul covid, considerando per esempio disinformazione il parere di esperti che dissentivano dalle indicazioni date.
Quindi non essere d‘accordo è stato equiparato a dare informazioni false, e su questa base il governo ha censurato il dissenso e il dibattito, attraverso queste aziende, senza alcuna resistenza e anzi spesso con entiusiasmo da parte loro, in una chiara violazione del Primo emendamento e dei principi fondamentali di una democrazia.
Questo è un esempio di come i governi collaborano con i social per combattere la disinformazione. Questo è quello che intendono quando parlano di combattere la disinformazione: sul covid, sul cambiamento climatico, sul razzismo, su qualsiasi cosa.
La stampa e i media, anche quelli italiani, al posto di difendere l’indipendenza dell’informazione e il suo ruolo di controllo critico verso il potere politico e statale, specialmente in un momento in cui i governi attivano una serie di poteri emergenziali straordinari, hanno accettato tutto questo, hanno fatto propria questa missione, e si sono messi a disposizione, con rare eccezioni.
L’unica conclusione che se ne deve trarre è che abbiamo bisogno di un’altra stampa, di altri social e di altri media, per poter avere un dibattito pubblico onesto, dove anche le voci critiche e il dissenso possano trovare spazio, e dove si possa dibattere idee, proposte e critiche senza manipolazioni e censure governative. Perché quelli che abbiamo attualmente, per un motivo o per l’altro, per interesse o per convinzione, poco importa, hanno completamente abdicato al loro ruolo di “fare la guardia” al potere politico. E questo fatto da solo vuol dire che le nostre democrazie sono attualmente ben poco democratiche.
Se non vogliamo che le cose peggiorino ulteriormente, dobbiamo rompere lo status quo – come ha fatto Elon Musk in America – e far entrare nel dibattito le idee, le voci, gli argomenti, i problemi, le questioni che mancano. Ma non è solo giusto, è anche un’opportunità imprenditoriale.
In Usa lo ha capito Musk che ha comprato Twitter, lo hanno capito Greenwald, che si è messo a fare un programma su Rumble, Bari Weiss che ha fondato “The free press” su Substack (da cui l’articolo sotto), e tanti altri, alcuni dei quali pare guadagnino un sacco di soldi. Il che è giusto e bello, perché anche l’informazione dovrebbe vivere sul mercato, cioè dell’apprezzamento che suscita e dei profitti che ne ricava, e non di contributi pubblici. Se no come fa a essere indipendente?
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