“Il colore dei soldi”: perché la difesa del contante è una battaglia di libertà
di GIANFABIO CANTOBELLI
Si resta basiti nel constatare con quale grado di approssimazione, pressappochismo ed ignoranza (quando non proprio disonestà intellettuale) vengano dibattuti nell’agone di una politica, sempre più qualitativamente ed intellettualmente deficitaria, temi la cui rilevanza è tutt’altro che trascurabile e meriterebbero, pertanto, di essere affrontati con gli strumenti di una matura capacità analitica piuttosto che farne oggetto di dispute da bar sport.
Mi riferisco alla questione dell’uso del contante (e del connesso obbligo di accettazione di pagamenti col POS) la cui delicatezza e le cui implicazioni di carattere sociale, economico e politico finiscono troppo spesso disperse nella densa caligine di mistificatorie cortine fumogene sollevate da disinformatori professionali dediti al fiancheggiamento militante di (poco commendevoli) interessi.
In questa prospettiva le esigenze di “contrasto dell’evasione fiscale” (sbandierate da giornaloni e reti televisive i cui editori hanno sede fiscale in paesi a tassazione di favore, quando non da politicanti sorpresi con sacchi di banconote in casa o… nella cuccia del cane) evocate, con tartufesca compunzione, a sostegno della limitazione dell’uso del contante, oltre ad essere economicamente prive di significato, rivelano la loro decettiva natura di ipocrita foglia di fico finalizzata ad occultare il piano di progressiva destrutturazione delle libertà fondamentali già iniziato con l’ignobile (e sottolineo ignobile) operazione greenpass.
Dal punto di vista strettamente giuridico si tende con eccessiva (o voluta?) superficialità ad obliterare il dato che il denaro contante (rectius: moneta legale avente corso forzoso emessa da una Banca Centrale) è ex lege lo strumento di estinzione delle obbligazioni pecuniarie tant’è che l’art. 693 del codice penale stabilisce che: “chiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato, è punito con sanzione amministrativa fino a 30 euro”.
Dal punto di vista commerciale ed economico il “cash” resta (al netto dell’inflazione) una risorsa stabile nel suo valore, immediatamente disponibile ed utilizzabile al contrario della cosiddetta “moneta elettronica” (termine che impropriamente viene utilizzato per indicare i metodi alternativi di pagamento quali le varie carte di credito/debito) la quale, essendo inserita nel circuito bancario, non solo non è “di proprietà” (ai sensi dell’art. 1834 del codice civile) ma è destinata a “consumarsi” ad ogni successivo passaggio per effetto dell’applicazione di commissioni da parte del fornitore del servizio.
Dal punto di vista psicologico e comportamentale, il denaro contante consente, poi, di esercitare un controllo più responsabile ed accorto sulle spese (se il portafoglio è scarso non potrò indulgere in acquisti non strettamente necessari); controllo che la “dematerializzazione” elettronica della moneta tende inevitabilmente a depotenziare (grazie anche a meccanismi di pagamento differito o rateale) favorendo tra, l’altro, l’indebolimento di (salutari) freni inibitori e l’innesco di pericolose spirali debitorie.
Ma è sotto il profilo politico che la difesa del contante rappresenta la “battaglia del fosso di Helm”
contro le forze oscure di quelle oligarchie tecnofinanziarie che della
sua abolizione vorrebbero fare la pietra angolare di una nefasta
impalcatura di controllo totalitario delle masse sulla falsariga del
(mai abbastanza deprecato) modello cinese.
In questo senso la prospettiva della dematerializzazione del contante
mercé l’introduzione di una vera e propria valuta digitale (CBDC Central Bank Digital Currency)
e la sua allocazione in “borsellini elettronici” apre scenari che è
eufemistico definire inquietanti e di cui le cronache recenti hanno già
provveduto a fornire fosche anticipazioni.
Mi riferisco a quanto accaduto non solo in Cina ed Iran ma anche nel “democratico ed occidentale” Canada il cui governo (retto da un personaggio contiguo alla sinistra conventicola del World Economic Forum) ha bloccato i conti correnti di quanti protestavano contro le restrizioni sanitarie.
Chi scrive è personalmente favorevole al ritorno al gold standard sicché non può che essere estremamente critico nei confronti della moneta “fiat” e totalmente contrario all’ipotesi di una valuta bancaria privata smaterializzata, sostanzialmente sfornita di valore reale e, perdipiù, sotto il controllo di un potere opaco in grado di congelarla, espropriarla, tassarla a piacimento e, magari, condizionarne la fruizione in funzione di obbiettivi di consumo “ecosostenibili”.
Ciò dovrebbe aprire gli occhi sul vero nocciolo della questione (che di certo non è quello del pagamento delle commissioni e del beneficio che ne trarrebbero i players finanziari e bancari) che l’eventuale (e sciagurata) abolizione del contante sarebbe un grosso chiodo piantato sulla bara delle nostre libertà.
Un governo serio e consapevole non solo avrebbe tenuto il punto senza tentennamenti su una misura (tutto sommato secondaria) come il limite per l’obbligo di accettare pagamenti col POS ma dovrebbe farsi promotore della tutela Costituzionale del contante, per quanto, va amaramente detto, anche questo presidio giuridico, alla luce degli abusi “pandemici” degli ultimi due anni e mezzo (in parte avallati da “stravaganti” sentenze della Corte Costituzionale”) potrebbe rivelarsi non del tutto efficace.
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