DOLCHSTOßLEGENDE E NARRAZIONE COVID: CENTO ANNI DI DISTANZA, STESSO MECCANISMO
La “Dolchstoßlegende” (“leggenda della pugnalata alla schiena”) è un mito sociale ed una mossa propagandistica con la quale i nazionalisti tedeschi addossarono le colpe della sconfitta della Germania imperiale nella prima guerra mondiale non all’inferiorità militare delle forze armate germaniche nei confronti delle potenze alleate, ma al crollo del cosiddetto fronte interno, alla presunta sedizione e al preteso disfattismo anti-nazionale delle correnti politiche tedesche democratiche e popolari. Vi sono singolari affinità con la narrativa pandemica, la quale ha di volta in volta cercato capri espiatori nei runner, nei giovani che si accalcavano in massa in discoteca o sulle spiagge senza mascherina, nei no-vax, in tutti coloro che non “rispettavano le regole”, escludendo fin dall’inizio la possibilità che fossero le regole stesse a essere sbagliate.
Il 10 dicembre 1918 il Cancelliere Friedrich Ebert disse alle truppe della Decima Armata che sfilavano a Berlino: “Nessun nemico vi ha sconfitti, avete concluso la guerra in territorio nemico”. Questo fu il timbro ufficiale su quella che diventò credenza comune in Germania dopo la Grande Guerra.
In realtà, già molti contemporanei si rendevano ben conto che il Reich guglielmino era arrivato allo stremo delle forze, e che il conflitto era perso. Tuttavia, l’idea che la guerra fosse stata persa per la pugnalata alla schiena inferta all’esercito da traditori interni aveva molti vantaggi: preservava dalle critiche gli alti gradi dell’esercito, assolveva i decisori politici e, cosa ancora più importante, dava al tedesco medio una buona ragione per non considerare inutili gli sforzi e i sacrifici fatti durante la guerra.
Un passo indietro: il 21 febbraio 1918 iniziava la Kaisersclacht (lett. “battaglia dell’imperatore”, in italiano tradotto per lo più come “offensiva di primavera”): 208 divisioni tedesche contro 173 alleate. All’opinione pubblica interna era stata presentata come il Friedensturm, lo sforzo finale per la vittoria e la pace. Ogni paragone con “Abbiamo due settimane per salvare il Natale” è ovviamente del tutto casuale. Tralasciando gli errori di Ludendorff, quello che ci interessa è l’effetto sul fronte interno, ieri come oggi: promettendo il successo in cambio di sacrifici oggi, si generano aspettative e, quando queste non vengono soddisfatte, si genera inevitabilmente un contraccolpo. Successe in Germania nell’autunno del 1918, è successo in questi mesi quando tutte le chiusure e le restrizioni si sono dimostrate inefficaci.
A quel punto i decisori politici hanno due strade: ammettere di aver sbagliato i calcoli o la strategia oppure cercare un capro espiatorio. Naturalmente, nell’ottobre 1918 la scelta fu la stessa che abbiamo visto recentemente, e non parliamo dell’ammissione di responsabilità.
Allora i colpevoli furono identificati negli ebrei e nei social-comunisti. Dopo l’assassinio di Rosa Luxembourg e Karl Liebnecht nessuno osò davvero sfidare la Dolchtoßlegende, vera storia fondatrice della Repubblica di Weimar. Fin dall’inizio dell’emergenza Covid, i colpevoli sono stati, di volta in volta, quelli che non si mascherano, quelli che escono di sera, quelli che portano il cane fuori fino ad arrivare a coloro che non si sono voluti sottoporre al rito dell’inoculazione.
In conclusione, sia la Dolchtosslegende che le varie narrazioni sul Covid hanno avuto molte cose in comune: tenere alta la tensione con promesse irrealizzabili, individuare un capro espiatorio quando tali promesse si sono rivelate immancabilmente fallaci e permesso da un lato di tenere indenni da qualsivoglia compte- rendu gli autori delle scelte rivelatesi non azzeccate, dall’altro evitato di far fare al popolo un vero esame di coscienza sulla propria credulità, avendo all’uopo indicato un colpevole fin troppo comodo.
È proprio vero: chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo.
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