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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

La Revisione dei Trattati Ue è l’attacco definitivo alla sovranità e alla democrazia. Non c'è limite al peggio in questa unione burocratica dispotica e corrotta.

 

 

 

Il ruolo dell'Italia nella commissione europea - Openpolis

Per accedere alle fonti originali e agli approfondimenti, vedere grafici, foto, mappe e video, cliccate sul link che troverete a inizio articolo.

 

La Revisione dei Trattati Ue è l’attacco definitivo alla sovranità e alla democrazia

Secondo il recente voto del Parlamento UE i Trattati dovranno essere modificati con l'obiettivo di passare dal voto all'unanimità a quello a maggioranza qualificata. Cosa potrà significare tutto ciò?


Di Luca Lanzalaco per ComeDonChisciotte.org

https://comedonchisciotte.org/la-revisione-dei-trattati-ue-e-lattacco-definitivo-alla-sovranita-e-alla-democrazia/

 

 

Giovedì 9 giugno 2022 il Parlamento europeo in sessione plenaria ha approvato il rapporto conclusivo dei lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa, iniziati nel marzo 2021, che prevede 49 proposte e include 326 misure da realizzare relativamente a nove punti: il cambiamento climatico e l’ambiente; la democrazia europea; l’economia, la giustizia sociale e l’occupazione; l’educazione, la cultura, i giovani e lo sport; la transizione generale; valori, diritti, stato di diritto e sicurezza; la salute; l’Unione europea nel mondo; l’immigrazione (CoFE 2022).

La risoluzione di approvazione è passata con 355 voti favorevoli, 154 contrari e 48 astenuti (European Parliament 2022c, 17-19). Una maggioranza non risicata, ma certamente non “larga” come qualcuno ha trionfalmente affermato in quanto ben 202 dei 557 votanti, cioè il 36%, non ha approvato la relazione. Ancora più significativo è il fatto che con enorme tempestività, cioè lo stesso 9 giugno, ben 13 paesi sui 27 aderenti all’Unione europea – cioè Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Latvia, Lituania, Malta, Polonia, Romania, Slovenia e Svezia – abbiano espresso in un breve e succinto non paper, così viene chiamato nel gergo delle istituzioni europee una presa di posizione pubblica ma non ufficiale, un parere radicalmente contrario sia alle Conclusioni della Conferenza che alla Risoluzione del Parlamento europeo (Sweden Offices of Government 2022).

Per capire le ragioni sia del non facile percorso della risoluzione del Parlamento europeo, ricordiamo che sono state necessarie 17 votazioni su vari emendamenti e mozioni per giungere alla approvazione (European Parliament 2022c, 17-19), che la dura opposizione dei 13 paesi dissenzienti, bisogna considerare attentamente il contenuto della decisione presa (European Parliament 2022b). Il punto focale della risoluzione del 9 giugno 2022 non è tanto l’approvazione dei lavori della Conferenza sul Futuro dell’Europa, che di fatto era già avvenuta il 4 maggio 2022 (European Parliament 2022a), quanto piuttosto l’esplicita richiesta della convocazione di una Convenzione per la riforma dei Trattati su cui si basa l’Unione europea.

In particolare, si richiedono tre tipi di intervento (European parliament 2022b, articolo 5). Il primo è la riforma delle procedure di voto, consentendo l’approvazione delle decisioni a maggioranza qualificata invece che secondo il principio di unanimità in aree di policy rilevanti. Quindi, si limita il potere di veto di cui oggi gli Stati membri dispongono all’interno del Consiglio. In secondo luogo, si chiede l’allargamento delle aree di competenza dell’Unione nelle politiche sanitarie, energetiche, della difesa, economiche e sociali. Infine, si richiede l’ampliamento dei poteri del Parlamento sia nelle procedure di codecisione nell’amministrazione del budget comunitario, sia nelle sue prerogative di iniziativa legislativa, nonché di emendamento e revoca della legislazione.

Il combinato disposto di questi interventi sarebbe chiaramente un ulteriore e drastico ridimensionamento della sovranità degli stati nazionali che era tutelata sia dal potere di veto che dal metodo intergovernativo. L’organizzazione della Convenzione per la riforma dei Trattati costituirebbe quindi un punto di svolta radicale e irreversibile nella evoluzione dei rapporti tra istituzioni europee e stati nazionali.

Un governo regolarmente eletto dai propri cittadini perderebbe gran parte degli strumenti di cui oggi dispone per opporsi a politiche che non condivide in alcuni settori cruciali che riguardano le competenze distintive dello stato quali la fiscalità e la difesa. E questo è il motivo per cui alla perdita di sovranità corrisponderebbe anche una riduzione nella qualità della democrazia. I governi in minoranza sarebbero obbligati, per rispettare la volontà della maggioranza, a costringere i propri cittadini a rispettare decisioni e ad attuare politiche che i loro elettori non approvano. Insomma, una vera e propria sospensione della democrazia: ignorare le preferenze della maggioranza dei cittadini di uno stato per rispettare quella espresse dalla maggioranza dei governi di altri stati.

La convocazione della Convenzione e la riforma dei Trattati, che procedono con grande rapidità, costituiscono un passaggio cruciale, una svolta epocale, nella storia dell’Unione europea e degli stati che ne fanno parte. È quindi un processo che va monitorato con grande attenzione.

Qui mi limito ad analizzare due questioni, una di metodo, (come si è arrivati alla risoluzione del 9 giugno 2022), e una di merito (la proposta del Parlamento europeo è valida?).

L’istituzionalizzazione dell’emergenza

Il 10 marzo 2021 è la data di inizio dei lavori della Conferenza sul Futuro dell’Europa con la firma congiunta del Presidente di Parlamento europeo, della Commissione e del Consiglio (CoFE 2021a). Il 23 marzo 2021 dodici Paesi, che corrispondono a quelli che si opporranno poi alla Risoluzione del 9 giugno 2022, rendono pubblico un non paper nel quale definiscono con precisione i temi di cui dovrà interessarsi la Conferenza. In entrambi i documenti non vi è nessun accenno alla riforma dei Trattati.

Il Regolamento interno della Conferenza, afferma che essa

è un processo ‘dal basso verso l’alto’ incentrato sui cittadini, che consente agli europei di esprimere la loro opinione su ciò che si aspettano dall’Unione europea. I cittadini europei di ogni contesto sociale e ogni angolo dell’Unione potranno partecipare, e i giovani europei svolgeranno un ruolo centrale nel plasmare il futuro del progetto europeo

(CoFE 2021c, corsivi nostri)

Abbiamo sottolineato il termine cittadini europei, in quanto questa espressione mette in evidenza come con la Conferenza si sia svolto un grande, forse il più grande, esperimento di populismo istituzionale: Parlamento, Commissione e Consiglio europei si sono rivolti direttamente ai “cittadini europei”, intesi come individui, scavalcando le istituzioni intermedie pubbliche e private, ipotizzando una cittadinanza europea che, di fatto non esiste o nel migliore dei casi è una entità evanescente a geometria variabile. Come dimostra brillantemente Manlio Graziano (2022) in un recente articolo, la risposta alla domanda “che cosa è l’Europa”, ovvero quali stati ne fanno parte, varia a seconda che consideriamo la moneta, le tradizioni e le origini storico-culturali, i confini geopolitici, gli interessi militari. A maggior ragione questa ambiguità si presenta quando cerchiamo di definire i connotati della cittadinanza europea.

Parlare di populismo istituzionale appare ancora più appropriato se consideriamo i tre strumenti utilizzati dalla conferenza, cioè i panel nazionali dei cittadini, i panel europei dei cittadini, entrambi composti da individui scelti casualmente, e la piattaforma digitale. Per capire come abbiano operato questi strumenti occorrerebbe studiare attentamente gli atti della Conferenza che peraltro, sono stati resi ampiamente pubblici. Qui, ci interessa fermare solo due punti.

Anzitutto, colpisce il fatto che quando forme di consultazione on line sono state condotte dal Movimento Cinque stelle, sono state ridicolizzate, in questa situazione sono state invece elevate a grande esperimento di democrazia deliberativa. In secondo luogo, nelle 336 pagine del rapporto conclusivo, la parola Trattati compare solo 14 volte e solo in 6 casi ci si riferisce alla possibilità, non alla necessità, della loro riforma su specifici punti. La riforma dei Trattati, quindi, è stato per tutto lo svolgimento della Conferenza un tema del tutto marginale che poi è diventato, negli ultimi documenti del maggio e giugno 2022, il tema fondamentale. Come è avvenuta questa trasformazione?

Per saperlo basta guardare il testo della risoluzione del 4 maggio 2022 con la quale il Parlamento europeo approvò, questa volta sì a larga maggioranza, la prosecuzione del programma della Conferenza sul futuro dell’Europa (European Parliament 2022a). All’articolo 8 si afferma che il Parlamento europeo

ricorda come in risposta alla pandemia da COVID-19, l’Unione europea ha mostrato la sua capacità di agire e promuovere soluzioni comuni in relazione alla salute, alla crescita economica e alla coesione sociale; è quindi dell’opinione che queste azioni positive debbano essere trasformate in un modello istituzionale e di politica pubblica nuovo e permanente

(corsivi nostri)

Questo è esattamente lo stesso stratagemma della istituzionalizzazione dell’emergenza che è stato utilizzato per costruire la nuova governance europea partendo dalla crisi greca (Lanzalaco 2022, 385-397).

La riforma dei Trattati che, come ricorda opportunamente il non paper dei tredici paesi dissenzienti dalla risoluzione del Parlamento europeo (Government Offices of Sweden 2022) non era tra gli scopi originari della Conferenza, è stata trasformata in una priorità, da un lato, facendola passare come una richiesta emersa prepotentemente dalla consultazione dei “cittadini europei” e, dall’altro, decidendo di rendere permanenti soluzioni, originariamente nate come temporanee, per far fronte a ipotetiche crisi future (European Parliament 2022b, articolo 4). Insomma, un disegno di politica istituzionale che, se è riuscito con la nuova governance europea, potrebbe funzionare anche con la riforma dei Trattati.

Questa volta però la posta in gioco è veramente molto alta, cioè la sovranità degli stati in settori di policy strategici, e pare che qualcuno, i tredici stati dissenzienti e un terzo del Parlamento europeo, se ne siano accorti

Riforme inutili e sbagliate

La riforma dei Trattati non è stata solo proposta con un metodo discutibile e manipolatorio, ma è anche criticabile nel merito, nei suoi contenuti, da almeno quattro punti di vista. In primo luogo, è contraddittoria. Se, come afferma la stessa risoluzione del 9 giugno 2022, l’Unione europea ha saputo reagire alla sfida della pandemia e ora, con qualche difficoltà, a quella della guerra in Ucraina, perché modificare gli assetti istituzionali? “Noi abbiamo già un’Europa che funziona. Non abbiamo bisogno di affrettarci in riforme istituzionali per ottenere dei risultati” (Government Offices of Sweden 2022, punto 6).

Quindi, delle due l’una: o l’Unione europea non ha dato risposte soddisfacenti nell’emergenza, e allora perché consolidare soluzioni temporanee che si sono dimostrate fallimentari, oppure ha saputo reagire efficacemente e quindi perché modificare i Trattati? In entrambi i casi le riforme sono inutili.

Sono inutili, e qui passiamo al secondo punto, anche perché gli strumenti per aggirare i vincoli dell’unanimità e consentire forme di cooperazione flessibile, ci sono già: l’astensione costruttiva, la cooperazione rafforzata o strutturata o la formazione di gruppi informali tra stati (Pirozzi 2022). Perché andare a toccare i Trattati la cui modifica richiede, come hanno evidenziato alcuni commentatori, l’unanimità ed è quindi alquanto improbabile? Evidentemente la riduzione dei poteri di veto non è una questione di natura giuridica, ma politica.

Terzo punto, la riforma dei Trattati, come proposta dal Parlamento europeo nella sua Risoluzione del 9 giugno 2022, è dannosa. Attualmente gli Stati aderenti all’Unione sono 27, a breve se ne aggiungeranno almeno altri cinque. La strategia delle élite europee – fin dalle origini, ma soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino – è stata di annettere nuovi stati e contemporaneamente di accentrare le funzioni regolative svolte. Quindi, di espandersi sia lungo la dimensione estensiva acquisendo nuovi territori, che lungo quella intensiva controllando un numero sempre maggiore di settori di intervento. È una strada fallimentare in quanto genera un sovraccarico funzionale per le istituzioni europee a cui esse sono in grado di far fronte solo trasformandosi sempre più in tecnocrazie, riducendo gli spazi di democrazia e rafforzando i meccanismi di controllo (Majone 2014). La riforma dei Trattati si colloca esattamente in questa traccia, soprattutto se si tiene presente delle future prospettive di allargamento a est.

Infine, si tratta di una proposta di riforma illiberale, anche se viene presentata come finalizzata a rendere l’Unione europea più democratica. Per comprendere le ragioni di questa affermazione è necessario introdurre un paio di concetti (Sartori 1987). La riforma dei Trattati modificherebbe il modo in cui sono prese le decisioni in settori di intervento rilevanti, questo lo riconoscono gli stessi documenti ufficiali. Ora, le decisioni politiche, per il semplice fatto di essere vincolanti per tutti i membri di una comunità politica, presentano dei rischi esterni, che consistono nei danni che un cittadino può subire per dover sottostare a decisioni che lo danneggiano, che vanno contro i suoi valori, che ledono i suoi diritti. E, parallelamente, implicano anche dei costi interni, che consistono nelle risorse (soprattutto tempo, ma anche remunerazione dei decisori, finanziamento di studi e consulenze) impiegate per prendere le decisioni. Obiettivo comune è di minimizzare sia i rischi esterni che i costi interni.

Purtroppo, però rischi esterni e costi interni sono inversamente correlati. Tecniche decisionali che minimizzano i rischi esterni fanno aumentare i costi interni, e viceversa. Se chi decide è “uno per tutti” il tempo impiegato per prendere la decisione sarà ridotto, ma saranno elevati i rischi esterni in quanto è assai improbabile che le preferenze, gli interessi, i valori del “decisore” coincidano con quelli di tutti. Se si decide a maggioranza assoluta i rischi esterni si abbassano, in quanto la decisione presa rifletterà le preferenze di almeno il 50%+1 della collettività. Ma si innalzeranno i costi interni in quanto ci vorranno tempo ed energie per trovare un accordo nella maggioranza. Se la regola decisionale è l’unanimità si annullano i rischi esterni, in quanto ogni decisore è in grado di bloccare una decisione che lo danneggia, ma si impennano i costi decisionali in quanto sarà molto faticoso mettere d’accordo tutti, e talvolta sarà anche impossibile prendere una decisione. L’unanimità, che conferisce potere di veto ad ogni decisore, è quindi un sistema estremamente garantista che tutela al massimo la libertà individuale.

Da questo punto di vista, quindi, chi sostiene che il metodo dell’unanimità rischia di condannare all’immobilismo l’Unione europea ha ragione. Ma solo parzialmente, in quanto il livello di costi decisionali accettabili dipende dal tipo di decisioni che si prendono. Se oggetto delle decisioni sono questioni molto rilevanti i cui effetti possono essere irreversibili e gravi, ha senso sopportare costi interni elevati ed adottare una regola decisionale “garantista”, quale è appunto il metodo dell’unanimità, che tutela la libertà individuale. Se, invece, l’oggetto delle decisioni è relativamente marginale e i suoi effetti sono reversibili, allora ha senso cercare di contenere e minimizzare i costi interni ed accettare una quota di rischi esterni in quanto i danni di una decisione sbagliata saranno marginali e reversibili.

La riforma dei Trattati proposta dal Parlamento europeo non tiene conto minimamente di questi vincoli e cerca di minimizzare i costi interni facendo contemporaneamente aumentare i rischi esterni.

In altri termini, da un lato, trasferisce la competenza su politiche estremamente rilevanti, pensiamo per tutte alla difesa, dagli stati alle istituzioni comunitarie e, dall’altro, priva i governi di uno strumento per tutelare l’interesse nazionale e dei cittadini che gli hanno eletti, cioè il potere di veto.

Conclusione

L’integrazione europea a partire dal 2010 ha vieppiù assunto le caratteristiche di una forma di federalismo coercitivo che, comprimendo la sovranità degli stati, costituisce una seria minaccia per la democrazia e per lo stesso progetto europeo (Lanzalaco 2022). La riforma dei Trattati proposta dal Parlamento europeo imprime una ulteriore accelerazione a questo processo. Fermarlo, forse è ancora possibile.

Di Luca Lanzalaco per ComeDonChisciotte.org – 14.06.2022

Luca Lanzalaco è professore ordinario di Scienza politica presso l’Università di Macerata. Ha recentemente pubblicato, con Giampiero Cama e Sara Rocchi, Le banche centrali prima e dopo la crisi. Politica e politiche monetarie non convenzionali (ATì editore, 2019) e Fragile Boundaries. The Power of Global Finance and the Weakness of Political Institutions (Rivista Italiana di Politiche pubbliche, 2/2015, il Mulino). E’ autore del libro L’euro e la democrazia. Dalla crisi greca al nuovo Mes (Youcanprint, Bari, 2022).

 

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