La “Commissione sulla disinformazione” americana? Solo propaganda e inganno! E non scherzano…
La più impudica e sfacciata campagna di disinformazione ufficiale degli Stati Uniti negli ultimi anni ha avuto luogo tre settimane prima delle elezioni presidenziali del 2020. È stato quando decine di ex funzionari dell’intelligence hanno dichiarato, in una lettera aperta, di credere che le email autentiche riguardanti le attività di Joe Biden in Cina e Ucraina, riportate dal New York Post, fossero “disinformazione russa”.
Quella proclamazione quasi ufficiale ha permesso alle corporazioni mediatiche liberal di deridere acriticamente, e poi ignorare, quelle e-mail come “falsi” creati dal Cremlino, ed è servita a fare pressione sulle piattaforme Big Tech come Facebook e Twitter perché censurassero l’inchiesta esattamente nel momento in cui gli americani si preparavano a decidere chi sarebbe stato il prossimo presidente degli Stati Uniti.
La lettera di questi ex funzionari dell’intelligence è stata orchestrata da bugiardi di carriera addestrati a mentire – agenti della disinformazione – come l’ex direttore della CIA John Brennan e l’ex direttore della National Intelligence James Clapper. Eppure quella lettera è stata comunque cruciale per screditare e infine sopprimere il rapporto incriminante del New York Post su Biden. Ha fornito un imprimatur quasi ufficiale – qualcosa che potrebbe essere dipinto come una dichiarazione autorevole – che queste e-mail autentiche fossero, in realtà, fraudolente.
Dopo tutto, se tutti questi nobili ed eroici operatori dell’intelligence che hanno passato la loro vita a studiare la disinformazione russa insistono sul fatto che le e-mail di Biden hanno tutti i “segni distintivi” di un inganno del Cremlino, chi ha la credibilità per contestare la loro tanto esperta valutazione? Questa clip video presa da quello che possiamo considerare il leader dei media nella diffusione di questa menzogna pre-elettorale della CIA – cioè dalla CNN – mostra il loro analista della sicurezza nazionale James Clapper, e illustra quanto fosse vitale questa finzione di ufficialità nella loro ingannevole campagna di disinformazione.
Questo stesso motivo strategico – rivestire le accuse di “disinformazione” con una patina di competenza e credibilità – è ciò che sta favorendo la crescita di una nuova industria, molto ben finanziata, che si annuncia come composta da studiosi “anti-disinformazione”. Sapendo che agli americani viene inculcato fin dall’infanzia la convinzione che la censura è una cosa nefasta e che è il segno distintivo della tirannia, coloro che vogliono censurare hanno bisogno di trovare qualche logica nobilitante per giustificarla e mascherare ciò che è.
Hanno così creato una pletora di gruppi dall’aspetto neutrale e dai nomi benevoli – l’Atlantic Council, l’Institute for Strategic Dialogue, i vari servizi di “fact-checking” controllati da media corporativi – che sostengono di impiegare “esperti anti-disinformazione” per identificare e combattere le fake news. Proprio come le corporazioni dei media hanno ribattezzato i loro opinionisti di parte come “fact-checkers”, il termine “esperto anti-disinformazione” è progettato per mascherare opinioni ideologiche per conto dei centri di potere statali e corporativi e trasformarle in “Verità Ufficiale”.
Eppure, non appena si sottopongano questi gruppi a un vaglio anche minimo, si scopre che sono tutt’altro che apolitici e neutrali. Sono spesso finanziati dalla stessa piccola manciata di miliardari liberal (come George Soros e Pierre Omidyar), dalle agenzie statali di sicurezza degli Stati Uniti, del Regno Unito o dell’UE, e/o dai monopoli di Big Tech come Google e Facebook.
In effetti, il concetto di “esperto anti-disinformazione” è di per sé completamente fraudolento. Non si tratta di una vera competenza, ma piuttosto di un titolo inventato conferito ai propagandisti per farli apparire più esperti e apolitici di quanto non siano. Ma la funzione di questa industria ben finanziata è la stessa di quella servita dalla lettera pre-elettorale di “decine di ex funzionari dell’intelligence”: screditare il dissenso e giustificare la sua censura, incartando la sua condanna in una pretesa autorità istituzionale. Le opinioni prese di mira non sono semplicemente sbagliate; sono state giudicate da esperti ufficiali e accreditati come “disinformazione”.
Questo imbroglio è il contesto critico per capire perché l’amministrazione Biden ha casualmente annunciato la scorsa settimana la creazione di qualcosa a cui ha dato il nome di “Consiglio di disinformazione” all’interno del Dipartimento della Sicurezza Nazionale. Non c’è nessuna circostanza concepibile in cui un’agenzia come il Dipartimento della Sicurezza Nazionale dovrebbe rivendicare il potere di decretare il vero e il falso. Gli operatori dello Stato di Sicurezza degli Stati Uniti non sono dedicati a combattere la disinformazione. È vero il contrario: sono bugiardi di carriera, addestrati a mentire e incaricati di inventare e diffondere la disinformazione. Come ha scritto Jack Schafer di “Politico”:
- Chi di noi pensa che il governo debba aggiungere alla sua lista di compiti quello di determinare cosa è vero e cosa è disinformazione? E chi pensa che il governo sia capace di dire la verità? Il nostro governo produce bugie e disinformazione su scala industriale e lo ha sempre fatto. Sovrascrive informazioni vitali per impedire ai suoi stessi cittadini di diventare più consapevoli e saggi. Paga migliaia di agenti stampa per giocare a nascondere “la ciccia” dietro ai fatti…. Fare del governo federale il custode ufficiale della verità sarebbe come se la Brink’s facesse guidare le sue auto blindate a uno scassinatore.
Lo scopo degli agenti della Sicurezza Nazionale è quello di propagandare e ingannare, non di illuminare e informare. Il livello di ignoranza storica e di stupidità richiesto per credere che gli operatori dello Stato di Sicurezza degli Stati Uniti siano seriamente dedicati a esporre e rivelare la verità – come evidentemente crede Brian Stelter della CNN, dato che ha lodato questo nuovo programma del governo come “di buon senso” – è fuori scala. Come ha detto Jameel Jaffer, già parte delle ACLU e ora presso il Knight First Amendment Institute della Columbia, la cosa più preoccupante è “il fatto che il consiglio sia ospitato dal Dipartimento della Sicurezza Nazionale, un’agenzia particolarmente opaca che in passato ha calpestato le libertà civili”.
Di solito, ogni tentativo di applicare “1984”, il romanzo-avvertimento di George Orwell, alla politica degli Stati Uniti viene automaticamente respinto come iperbolico: un paese libero e democratico come gli Stati Uniti non potrebbe mai cadere preda della repressione distopica che Orwell descrive. Eppure è abbastanza difficile distinguere questa “Commissione sulla disinformazione” dal Ministero della Verità di Ingsoc. Il protagonista del romanzo di Orwell, Winston Smith, lavorava nel Ministero della Verità e descrive in lungo e in largo come la sua funzione primaria sia quella di creare versioni ufficiali del falso e del vero, sempre aderenti ai bisogni del governo del momento esoggett e a cambiamenti radicali a seconda dell’evoluzione di quegli interessi
Che questa Commissione sarà gestita da una figura assurda e ridicola come Nina Jankowicz – una vignetta liberal, la caricatura di un fanatico di Twitter della #Resistenza che ha passato il 2016 a postare slogan partigiani adolescenziali come: “Forse il punto più importante di @HillaryClinton finora: ‘Una presidenza di @realDonaldTrump incoraggerebbe l’ISIS’. #ImWithHer“ – ha, in un certo senso, fatto sembrare questo organismo più benigno e innocuo. Dopo tutto, quanto nefasta e pericolosa può essere questa commissione quando è governata da una persona frivola e banale come questa, che si definisce “la Mary Poppins della disinformazione”?
Ma proprio come la banalità può essere un veicolo per il male, può anche essere un veicolo per la repressione e il controllo tirannico. Jankowicz, reagendo con orrore all’intenzione di Elon Musk di ripristinare un minimo di libertà di parola su internet, proprio la settimana scorsa su NPR ha propagandato le virtù della censura: “Rabbrividisco al pensiero di cosa accadrebbe se gli assolutisti della libertà di parola prendessero il controllo di più piattaforme, come sarebbe per le comunità emarginate… che stanno già sopportando.. quantità sproporzionate di questi abusi”, ha detto.
Il suo libro appena uscito, intitolato “How to Be A Woman Online: Surviving Abuse and Harassment, and How to Fight Back”, è pieno di giustificazioni per la censura online. L’anno scorso, ha condannato me e il conduttore di Fox News Tucker Carlson come “disgustosi” perché abbiamo criticato le invenzioni dell’allora reporter di prima pagina del New York Times, Taylor Lorenz, sulla base del fatto che le potenti professioniste donne (con la giusta ideologia politica) non dovrebbero mai essere criticate perché tale atto si traduce in molestie.
Quando è scoppiata la polemica su questa nuova Commissione contro la Disinformazione, la CNN ha affermato che la Jankowicz era “un’esperta di disinformazione, con un’esperienza di lavoro sulla disinformazione riguardante le questioni russe e ucraine”. Il segretario alla sicurezza interna Alejandro Mayorkas è apparso sulla CNN per esaltarla come “eminentemente qualificata, un esperto rinomato nel campo della disinformazione”. Cosa significa questo? Cos’è il “campo della disinformazione”, e come si diventa un “esperto rinomato ed eminentemente qualificato” in esso? C’è qualche programma di laurea o un nuovo campo disciplinale che si deve studiare? C’è una commissione per le licenze che certifica che uno è un “esperto di disinformazione” o una borsa di studio che lo dimostra? Quali credenziali costituiscono la “competenza” nella disinformazione?
È tutta una farsa: tutta questa intera industria della comunicazione. L’idea stessa che la Jankowicz – che si ricopre di cliché della #Resistenza, che si agita a favore della censura online e che pubblica nevroticamente hashtag liberal su Twitter – sia un’esperta in qualcosa, per non parlare una in grado di identificare e combattere la disinformazione, è ridicola di per sé. E questo vale per tutti coloro che rivendicano questa pomposa e fittizia competenza.
Molto peggio della fissazione della Jankowicz di censurare coloro con cui è in disaccordo – ormai un punto fermo della politica liberal – è il fatto che questa nuova zarina della disinformazione abbia ratificato e aiutato a diffondere praticamente ogni campagna di disinformazione architettata dal Partito Democratico e dalle media corporations negli ultimi cinque anni. Infatti, l’unica base valida per chiamarla “esperta di disinformazione” sta proprio nel fatto che ha sempre diffuso disinformazione con grande gusto. La più nota di queste bugie è stata quella pre-elettorale secondo cui l’autentico portatile di Hunter Biden sarebbe stato “disinformazione”. Jankowicz ha anche affermato, falsamente, che si era definitivamente provato che il COVID aveva origini animali e non poteva provenire da una fuga di laboratorio, è stata una frequente e insistente sostenitrice del fraudolento Dossier Steele, e ha ripetutamente affermato come vere ogni sorta di teorie cospirazioniste su Trump e la Russia, le stesse che Robert Mueller, dopo aver condotto un’intensa indagine di 18 mesi, ha respinto in quanto mancavano le prove per confermarne la verità.
Che nessuno dovrebbe volere che il governo degli Stati Uniti, per non parlare della Homeland Security, si arroghi il potere di dichiarare il vero e il falso sembra evidente, in particolare quando si trovi in mano a questo esponente del Partito Democratico particolarmente inadatto. Ma al di là dell’astratta inquietudine per il governo che assume questo ruolo, c’è qualcosa di concretamente pericoloso, o è una reazione eccessiva, una forma di paura, dipingere questo come un qualche sviluppo straordinariamente minaccioso?
L’integrazione di questa fraudolenta industria della “disinformazione” nello stato di sicurezza degli Stati Uniti è davvero, e seriamente, perniciosa. Se non altro, i pericoli di questo sviluppo sono stati sottovalutati, non esagerati.
Lo scopo di dare al Dipartimento della Sicurezza Nazionale il potere di decretare cosa sia o non sia “disinformazione” è quello di conferire a tutte le affermazioni del governo una pretesa di autorevole competenza e, al contrario, di decretare ufficialmente che il dissenso dalle affermazioni del governo non può che essere falso e ingannevole. Una volta che l’Homeland Security dichiari che un certo punto di vista è “disinformazione”, allora molti media corporativi, deferenti alle affermazioni dello Stato di sicurezza degli Stati Uniti, citeranno acriticamente quella dichiarazione come fosse definitiva, mentre le piattaforme Big Tech saranno spinte a vietare i punti di vista considerati “disinformazione” dal Dipartimento della Sicurezza Nazionale- esattamente come hanno accettato la bugia per cui l’archivio Biden era “disinformazione”, perché questa bugia proveniva da “esperti” ufficiali del governo.
Negli ultimi diciotto mesi, i democratici hanno usato il loro potere di maggioranza a Washington per convocare i CEO delle aziende tech davanti a loro e chiedergli – sotto pena di subire rappresaglie legali e normative in caso di disobbedienza–di imporre una maggiore censura in nome della lotta alla “disinformazione”. E una grande maggioranza dei Democratici crede che le Big Tech (76%) e il governo (65%) dovrebbero intervenire per limitare la libertà di informazione online, se questo è necessario per fermare la “disinformazione”.
Un problema che emerge con questo regime di censura è la questione di come viene determinato cosa sia “disinformazione” o, più giustamente, chi lo determina? Questo nuovo Disinformation Board è destinato a mettere un immenso potere nelle mani dello Stato di sicurezza degli Stati Uniti, dandogli la possibilità di mettere un bollino ufficiale di “disinformazione” su qualsiasi idea o visione che desideri screditare. Questo, a sua volta, renderà molto difficile per i media permetterne la trasmissione ignorando il decreto ufficiale della Homeland Security e, cosa più importante, costituirà un’enorme pressione sulle Big Tech perché proibiscano che quell’idea sia difesa sulla base del fatto che è stata dichiarata “disinformazione” in modo ufficiale, dagli “esperti” del Dipartimento della Sicurezza Nazionale.
Le potenziali ramificazioni per chi dovesse diffondere ciò che la Homeland Security decreterà essere “disinformazione” potrebbero estendersi ben oltre l’essere censurati. I paesi di tutto il mondo stanno rapidamente adottando leggi che metterebbero fuori legge o addirittura criminalizzerebbero la pubblicazione di disinformazione. “Una disposizione del codice penale che il parlamento greco ha adottato l’11 novembre 2021, rende un reato penale la diffusione di ‘fake news'”, ha notato Human Rights Watch a novembre. Nel 2020, il governo canadese, citando COVID, ha proposto una legislazione “per rendere un reato la diffusione consapevole di disinformazione che potrebbe danneggiare le persone”. Le autorità di tutta l’UE e del Regno Unito hanno proposto o approvato leggi e regolamenti per costringere le piattaforme dei social media a vietare la “disinformazione”, e che prevedono multe salate e altri tipidi sanzioni per chi non dovesse farlo. Numerosi paesi ormai hanno leggi che rendono un crimine ospitare o diffondere “disinformazione”.
Mentre la protezione garantita alla libertà di parola dal primo emendamento rende difficile l’attuazione di un tale schema criminale negli Stati Uniti, c’è chiaramenteoggi uno slancio per un’azione governativa molto più forte per limitare e punire qualsiasi cosa venga considerata “disinformazione”. Barack Obama ha tenuto un discorso sulla disinformazione il 21 aprile alla Stanford University. Nonostante si sia definito “abbastanza vicino ad un assolutista del Primo Emendamento”, ha comunque insistito che l’attuale regime di censura imposto da Big Tech è insufficiente, e che non solo devono fare di più per risolvere il problema di ciò che lui chiama “contenuti dannosi”, ma che deve fare di più anche lo Stato:
- Ma mentre la moderazione dei contenuti può limitare la distribuzione di contenuti chiaramente pericolosi, non va abbastanza lontano. Gli utenti che vogliono diffondere disinformazione sono diventati esperti nello spingersi fino alla linea estrema di ciò che le politiche aziendali pubblicate permettono…
Queste decisioni riguardano tutti noi, e proprio come accade per ogni altra industria che abbia un grande impatto nella nostra società, ciò significa che queste grandi piattaforme devono essere soggette ad un certo livello di supervisione e regolamentazione pubblica… Una struttura di regolamentazione, una struttura intelligente, deve esserci, progettata consultandosi con le aziende tecnologiche, e gli esperti e le varie comunità interessate, comprese le comunità di colore e altre che a volte non sono ben rappresentate qui nella Silicon Valley, una regolamentazione che permetterà a queste aziende di operare efficacemente, rallentando anche la diffusione di contenuti dannosi.
Questo è un appello esplicito perché il governo degli Stati Uniti prenda delle misure per chiedere più censura online in nome della lotta contro la “disinformazione”. Esattamente lo stesso giorno in cui l’ex presidente ha pronunciato tale discorso, Hillary Clinton si è messa su Twitter per proclamare: “Per troppo tempo, le piattaforme tecnologiche hanno amplificato la disinformazione e l’estremismo senza alcuna responsabilità. L’UE è pronta a fare qualcosa al riguardo. Esorto i nostri alleati transatlantici ad approvare il Digital Services Act e a sostenere la democrazia globale prima che sia troppo tardi”. Quattro giorni dopo, è tornata su Twitter per celebrare la promulgazione da parte dell’UE di ciò che il New York Times ha chiamato “una legislazione storica che costringerebbe Facebook, YouTube e altri servizi online a combattere la disinformazione”. In particolare, il nuovo quadro giuridico costringe le aziende di social media a rimuovere qualsiasi contenuto lo Stato ritenga dannoso:
- La legge, chiamata Digital Services Act, ha lo scopo di affrontare i danni sociali dei social media, richiedendo alle aziende di sorvegliare più aggressivamente le loro piattaforme contro i contenuti illeciti, pena rischiare miliardi di dollari di multe. Le aziende tecnologiche sarebbero costrette a istituire nuove politiche e procedure per rimuovere i discorsi d’odio, la propaganda terroristica e altro materiale definito illegale dai paesi dell’Unione europea.
Solo una settimana dopo che sia Obama che Clinton hanno chiesto un maggiore impegno del governo contro la disinformazione online, la Homeland Security ha annunciato che sta “istituendo una nuova Commissione contro la Disinformazione per coordinare il contrasto alla disinformazione relativa alla sicurezza interna”. La tendenza qui non potrebbe essere più chiara: i governi occidentali stanno cercando di ottenere un controllo sempre maggiore su quali informazioni siano e non siano permesse online, e stanno usando sia il potere formale (la forza della legge) che quello informale (minacce di rappresaglie legali e normative) per forzare le aziende tecnologiche a censurare in nome della lotta alla “disinformazione”.
Per questo motivo, chi esercita l’autorità di decretare ciò che rientra o non rientra nell’ambito di questo termine elastico, vago e mal definito, ha l’immenso potere di controllare quali informazioni siano accessibili alle popolazioni di tutto il mondo, e viceversa quali debbano essere vietate. Questo è ciò che rende così inquietante il fatto che la Homeland Security abbia appena arrogato questo potere a sé.
Un’agenzia con una lunga storia di menzogne, gestita da agenti che dedicano la vita a promuovere la disinformazione, ha appena creato una commissione per emettere questi “decreti ufficiali”, il tutto supervisionato da una persona che è così di parte e ideologicamente motivata che è difficile prenderla sul serio. Che la prendiate sul serio o meno, il potere che la Homeland Security si è appena assicurata è tutt’altro che uno scherzo.
QUI IL Link all’originale – TRADUZIONE DI PIETRO AGRIESTI
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