Yemen: accaparramento coloniale e resistenza Houthi
di Maria Morigi
Notizia del 7 maggio 2022: Riad prevede di annettere le province ricche di risorse dello Yemen orientale (Hadhramaut, Shabwah, Al-Mahrah e Abyan). Diciamo pure circa la metà dello Yemen. la Monarchia del Golfo fa un’ottima scelta tempistica, perché in questo momento tutti sono concentrati sull’Ucraina e così come non ci siamo accorti della tragedia del Donbass per otto anni, ora nessuno si accorgerà che il conflitto yemenita, quasi ignorato dai media, è ancora irrisolto e che continua la compravendita e l’occupazione coloniale del territorio. L’indecente spartizione del “bottino” è iniziata dal 2018 quando Abu Dhabi (Emirati Arabi) ha sfruttato il vuoto di potere creato dalla guerra civile per occupare la strategica isola di Socotra e la vicina isola di Abd al-Kuri che recentemente il governo yemenita fantoccio con sede ad Aden ha dato in concessione per 99 anni agli Emirati. (L’isola di Socotra Patrimonio Unesco!. Onu e Unesco zitti!). Iniziata la corsa all’accaparramento, i Sauditi hanno preteso Hadhramaut e Al-Mahrah, e gli USA da parte loro mirano al completo controllo del porto di Aden.
I retroscena dall’unificazione del 1990. Il più importante risultato del Rais Ali Abdullah Saleh (autoritario presidente privato del potere nel 2012 dalla spinta popolare) fu quello di aver unificato il Paese (22 maggio 1990) e facilitato l’integrazione dello Yemen nel mercato globale, abbandonando le priorità della passata monarchia yemenita (difesa di valori identitari e contrasto alle pressioni angloamericane e saudite). L’ unità del Nord e del Sud creò il quadro politico-istituzionale per investimenti cospicui fondati su contatti con i conglomerati finanziari ed industriali angloamericani attraverso cui sfruttare le ricchezze energetiche del Paese, concentrate nelle province di Marib e di Shabwa. Tutto ciò, gestito dai globalisti liberali, non fece che acuire ostilità tra gruppi di potere e provocò pulsioni secessioniste.
In maggio 1994 scoppiò la rivolta armata delle forze del Sud, col movimento indipendentista Hirak (Movimento popolare) di ideologia socialista. Tutto si concluse dopo tre mesi di repressione feroce da parte di Saleh (aiutato, neanche a dirlo, dall’Arabia Saudita. I cruenti eventi di quell’anno fecero sì che lo schieramento separatista clandestino degli Houthi diventasse una vera formazione politico-militare.
E comunque in questa bipolarità dello Yemen, sono fondamentali le differenze etniche che dividono lo Yemen in due entità separate: le tribù del Nord e quelle del Sud di ispirazione marxista e indipendentista.
La Primavera araba nel 2011 e l’occupazione di Sana’a da parte degli Houthi nel 2014 diedero vigore alle aspirazioni del Sud Yemen, ma scatenarono anche la guerra civile e l’intervento saudita con massicci bombardamenti. Ad aprile 2015 (Presidenza Obama) fu approvata dal Consiglio di Sicurezza ONU la Risoluzione 2216 in cui si imputava la responsabilità del conflitto agli Houthi, puniti con l’embargo militare. L’autorizzazione del blocco navale ed aereo ha quindi prodotto i suoi deleteri effetti fino ad oggi.
Gli Houthi. Dipinti dalla stampa come i maggiori responsabili di atrocità -mentre il silenzio è obbligato sui massacri perpetrati dall’Arabia saudita-, gli Houthi (in arabo: al-??thiyy?n) sono un movimento armato sciita zaydita che si definisce “Partigiani di Dio” o “Gioventù credente”, nato nel 1994 ma diventato attivo in funzione anti-governativa dopo il 2004. Si caratterizzano per un’ ideologia antioccidentale, antisionista (ma, si badi bene, non antisemita), filo-iraniana, incline al nazionalismo. Da specificare che lo Zaydismo è una delle Scuole dello Sciismo, diffuso nel solo Yemen con una dottrina ricca d'implicazioni sociali; ciò lo rende pericoloso agli occhi del potere islamico sunnita (prevalente nelle Monarchie del Golfo) per la presenza di aspetti giudicati dal sunnismo "estremistici" o “esagerati”. Lo Zaydismo infatti, come il movimento sciita dei Kharigiti, afferma la deposizione dell'Imam in caso d'inadempienza, prescrivendo che il potere legittimo sia esercitato solo da chi dimostri di saper guidare i musulmani contro usurpatori e oppressori.
Ed è singolare che, prima dell’aggressione saudita, ci fosse assonanza tra i comandi militari USA e gli Houthi nell’azione di contenimento della locale branca di al-Qaeda, per cui ancora di più stupisce che il “Joint Statement” (sottoscritto in marzo 2021 da Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania ed Italia) condanni la milizia Houthi per l’aggressione all’Arabia saudita e l’offensiva di Marib iniziata nel marzo 2021, ma non menzioni affatto i bombardamenti aerei indiscriminati di Riyadh che hanno massacrato civili e distrutto luoghi di raccolta di derrate alimentari.
Conclusione. Giudico molto male gli strateghi della geopolitica che né conoscono le forze / fazioni in campo, specie del movimento militante Houthi, né la natura dello scontro in atto nel mondo islamico. Procedere per semplificazioni di comodo e dividere la realtà tra “buoni” (alleati con gli USA) e “cattivi” (alleati con l’Iran) non consente di trovare soluzione per la crisi yemenita, così come non ha portato alcuna soluzione per l’Afghanistan. Se i potenti (USA, Arabia Saudita, Emirati) continueranno sulla strada imboccata della compravendita di territori per puro calcolo di sfruttamento di risorse, lo Yemen finirà per diventare del tutto un’area infestata da militanza jihadista e terrorismo dello Stato Islamico. Una fonte di perenne instabilità e di uno scontro infinito tra la galassia sunnita - nelle ramificazioni politiche di puro interesse predatorio rappresentate dagli Stati del Golfo - e la resistenza degli Houthi, determinati a preservare il loro ruolo di forza nazionale autenticamente unificante e orientata al bene sociale.
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