La pandemia è stata funzionale al Grande Reset, non a salvare il mondo finanziario
La politica monetaria messa in atto dalle banche centrali ha dimostrato negli anni che non crea inflazione. Molti appartenenti al mondo finanziario al contrario indicano, proprio in questa creazione di moneta, la causa principale degli attuali fenomeni inflattivi. Addirittura si avventurano ad indicare come la "pandemia" sia stata la scusa per salvare il mondo finanziario stesso dal suo collasso. Ma è davvero così?
Mi capita spesso negli ultimi tempi di leggere articoli, dove varie personalità soprattutto appartenenti al mondo della finanza, provino a spiegare le attuali dinamiche inflattive, indicando come principali colpevoli le banche centrali ed i loro programmi di politica monetaria (tra tutti il famoso Quantitative Easing).
Addirittura, oltre a prodigarsi in tale fallace spiegazione a livello tecnico, si avventurano anche nell’affermare che la pandemia sia stata proprio la scusa perfetta per consentire alle banche centrali di stampare tutto il denaro necessario per salvare il mondo finanziario, prossimo al collasso.
Ora, che il mondo finanziario sia tecnicamente fallito all’interno dell’artifizio di scommesse già perse – ma tutt’ora iscritte a bilancio come fossero da perdere – è risaputo da tutti gli addetti ai lavori. Un esempio su tutti è Deutsche Bank: è noto da tempo che essa sia seduta su una bomba atomica. Nel suo portafoglio ci sono derivati (vere e proprie scommesse), per un valore nozionale di circa 55 mila miliardi di euro, circa 20 volte il Pil tedesco e quasi 6 volte quello dell’intera zona euro. [1]
Ora, arrivare a pensare che Soros e Co. abbiano messo in piedi la farsa pandemica per salvare gli speculatori finanziari (grossi e piccoli che siano), mi sembra un po’ come credere alle favole.
La politica monetaria è in atto da lunghi anni e per aumentarne la quantità, chi tiene in mano il bastone del comando, non ha certamente bisogno di una pandemia.
Il Giappone, il cui rapporto tra asset di bilancio e PIL era superiore a 100 punti percentuali già prima della pandemia, è lì a dimostrarlo.
Altro esempio a conferma della tesi, lo troviamo nei nostri confini: Draghi nel 2011, quando era a capo della BCE, non ha avuto bisogno di chiudere in casa il mondo intero, per dare inizio alle danze. Appena sistemato il “fratello” Mario Monti a Palazzo Chigi, sono state sufficienti tre semplici parole, per attivare a pieno ritmo le stampanti di Francoforte.
Quindi è chiaro che indicare la pandemia come la scusa per salvare il mondo finanziario, di fatto mettendo sotto il tappeto quello che è apparentemente il vero motivo per cui è stata indotta, è del tutto fuorviante, oltre ad essere un grosso favore di copertura che facciamo agli ideatori del Grande Reset, partorito proprio nelle segrete stanze di Davos.
Ma andiamo a vedere cosa è in realtà il QE e quali sono i suoi obiettivi, quello reale e quello che invece viene dato in pasto alla gente.
Se parliamo di esempi di uso della sovranità monetaria non orientati al benessere della collettività: il QE (Quantitative Easing) è il prototipo perfetto.
Agli occhi di molti rappresenta la massima espressione di ciò che possono fare gli Stati con sovranità monetaria, nella realtà è uno strumento del tutto inadeguato a ridurre la disoccupazione. I detrattori della MMT (ed in questo caso, anche chi lo indica come causa dell’inflazione), affermano che il QE è la prova provata che “stampare moneta come dice la MMT non funziona”, dimostrando così di non conoscere né la MMT né quello che avviene quando si mette in atto questo strumento di politica monetaria.
Il QE è uno strumento inadeguato a ridurre la disoccupazione per due motivi, legati alla filosofia del QE stesso ed al meccanismo di creazione del credito da parte delle banche commerciali.
L’obiettivo del QE non è il finanziamento diretto di un intervento di spesa dello Stato, ma lo stimolo del credito nel settore privato, credito che dovrebbe alimentare la spesa di imprese e famiglie.
Nella realtà il QE consiste nell’acquisto, da parte della Banca Centrale, di Titoli di Stato già emessi dal Tesoro; in cambio – “cambia i numeri” – dei conti di riserva che le banche hanno presso la Banca Centrale. Operativamente, abbiamo lo spostamento di numeri da un conto deposito (il titolo di Stato) a un conto riserva (presso la Banca Centrale). Non c’è nessuna “stampa di soldi” o “iniezione di liquidità” connessa ad un intervento nell’economia reale. Anzi, l’operazione rimuove dal sistema economico il reddito da interesse che il detentore dei titoli percepisce, assorbito dalla BC insieme al titolo.
Il secondo punto ruota intorno alle aspettative sul QE come stimolo all’economia reale, fondate sull’errato convincimento che, nell’erogazione del credito, le banche commerciali siano vincolate al meccanismo del “moltiplicatore monetario”. Secondo tale scorretto presupposto, le banche creerebbero e concederebbero credito come multiplo delle riserve bancarie detenute presso la Banca Centrale; pertanto, a seguito di un incremento (conseguente al QE) dell’entità di queste riserve, le banche andrebbero proporzionalmente a creare più credito. Ma questo non corrisponde alla realtà. Nella realtà, non esiste una catena di trasmissione diretta che parte dall’espansione delle riserve bancarie e porta all’incremento dei volumi di credito erogato al settore privato. Le banche non prestano riserve alla clientela, e non erogano più prestiti come conseguenza dell’incremento delle riserve.
Pertanto, come afferma l’economista Warren Mosler, il QE:
Non ripristina la domanda aggregata, ma semplicemente riposiziona asset di natura finanziaria. Opera sui prezzi (tassi di interesse), non sulle quantità.
Appunto, “opera sui prezzi”, in questo caso i tassi di interesse. Infatti Il QE è uno degli strumenti utilizzato dalle banche centrali per raggiungere il proprio obiettivo di tasso.
E dal momento che si decide di perseguire una politica di tassi a zero, o addirittura, come avvenuto in UE, quella dei tassi negativi, è chiaro che poi abbiamo bisogno di chi compra e si fa carico delle perdite reali che si conseguono detenendo Titoli di Stato a tasso negativo.
Chi altro, se non le banche centrali, può assumersi tale onere?
Prestereste voi i vostri soldi ad uno Stato sapendo di riceverne di meno alla scadenza?
Certo che no.. e così è anche per il mondo finanziario; che a questo punto, privo di rendimenti certi e sicuri, si trova costretto a cercare altri lidi, finendo per inerzia dentro i mercati borsistici.
A questo contribuisce anche il fatto che l’economia reale viene tenuta in stato recessivo da decenni attraverso le persistenti ed austere politiche fiscali; di conseguenza anche le banche preferiscano il rischio dei mercati finanziari al rischio di concedere crediti, stante appunto, l’altissima probabilità di vederli trasformati in insolvenze.
Quindi se proprio vorremmo essere “complottisti” sulle vere intenzioni, nei riguardi del mondo finanziario – di chi ha ideato la pandemia – il risultato di certe tesi, viene totalmente capovolto.
Infatti, costringendo il settore privato (in questo caso i risparmiatori), a gettare ancor più soldi dentro il Grande Casino della finanza, dove notoriamente il “banco” vince sempre – il risultato che si ottiene, certamente non è quello di salvare il mondo finanziario, bensì di affossarlo ancor di più.
Che l’attuale mondo finanziario sia un sistema strumentale ai poteri profondi che si annidano all’interno degli Stati apparentemente democratici – propedeutico a trasferire nel tempo, ricchezza dalle tasche di tanti a quelle di pochissimi e finalizzato alla realizzazione del Nuovo Ordine Mondiale a loro confacente – lo dimostrano i dati sulla concentrazione della ricchezza mondiale e la logica contabile.
In finanza, tanto per esser chiari e spegnere i sogni e le fantasie di molti “trader”: i soldi non si moltiplicano, ma solo si trasferiscono.
In definitiva il QE non aumenta la capacità di spesa del settore privato, conseguenza principale del possibile rialzo dei prezzi, a meno che non si voglia far passare la speculazione per inflazione.
Come ripetuto più volte, e la realtà dei fatti dimostra: i fenomeni inflattivi non sono quasi mai (per non dire mai), direttamente collegati alle politiche monetarie delle banche centrali, ma bensì a quelle fiscali dei governi. E tramite le stesse possono essere tranquillamente regolati e gestiti.
Tanto per capirsi, pagare interessi su un titolo di stato è una precisa scelta di politica fiscale da parte del governo e non una decisione di politica monetaria della banca centrale; tantomeno una imposizione dei mercati finanziari, come certi “profeti della finanza”, tentano di farci credere da anni.
Dovremmo chiederci e soprattutto comprenderne le ragioni, per cui molto spesso leggiamo tali inesattezze concettuali, per non parlare di certi azzardi in fatto di teorie geopolitiche. Basterebbe che ognuno di noi prima di scrivere, analizzasse la materia a livello tecnico, per avere le risposte e la verità che cerca.
A tal proposito sarebbe sufficiente comprendere il funzionamento contabile dei bilanci settoriali che caratterizzano ogni sistema economico, per capire come l’enorme creazione di denaro messa in atto dalle banche centrali con il QE ed i vari programmi di acquisto titoli, non sia un regalo che quest’ultime fanno al settore privato, ma contribuisce solo a rendere in forma più liquida i loro risparmi, lasciandoli, ripeto ancora, intatti a livello quantitativo.
Ovvero nessun numero in più al netto viene aggiunto da spendere per investimenti e consumi nell’economia reale. Anzi qualora, come già spiegato, il settore privato (in particolare il mondo finanziario), fosse spinto a dirottare tale liquidità in borsa, la mancanza di mezzi finanziari per l’economia reale diverrebbe ancora più evidente.
Se a questo aggiungiamo la volatilità che caratterizza appunto il mercato azionario, la quale diventa “altissima” nel caso di prodotti finanziari quali i derivati – funzionale solo, ripeto a concentrare la ricchezza in poche mani – arriviamo all’attuale e logico risultato finale, che vede l’economia reale (stante anche la totale assenza di politiche fiscali espansive da parte dei governi), in netto deficit rispetto ai mezzi finanziari necessari al suo sviluppo.
In conclusione, come abbiamo visto, la grossa espansione dei bilanci delle banche centrali dovuta al QE, non è certamente la causa dell’attuale fenomeno inflattivo, tantomeno una necessità da giustificare attraverso un uso strumentale della “pandemia”.
Vedo sempre più spesso, in queste personalità, aumentare la loro preoccupazione per il crescere di questi numeri all’interno dei computer della BCE e della FED, ovvero per quello che loro stessi chiamano “Debito”.
Vorrei dire ai lor Signori, di star tranquilli per una eventuale richiesta di rimborso (mi riferisco al debito): il creditore è morto e non ha lasciato eredi.
Piuttosto, farebbero bene a rivolgere le loro preoccupazioni altrove, in particolare al grido di allarme lanciato pochi giorni fa dal WFP (World Food Programme), in riferimento alla mancanza di grano ed al conseguente rischio carestia, qualora il conflitto in Ucraina dovesse continuare ancora a lungo. [2]
Di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani), ComeDonChisciotte.org
NOTE
[1] Germania, problema Deutsche Bank: “Troppi derivati, è pericolosa” (quifinanza.it)
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