La gestione politica della presunta pandemia ha accentuato i conflitti sociali e intergenerazionali distruggendo il tessuto sociale, economico e culturale dell'Italia. Ckaudio
Già non era un Paese per giovani, la pandemia l’ha reso anche peggiore
Oltre ad aver danneggiato la salute e l’economia, il Covid ha acceso lo scontro generazionale portandolo a drammatiche conseguenze. Secondo l’ultimo rapporto Censis, il 74,1 per cento dei giovani fra i 18 e i 34 anni ritiene che troppi anziani occupino posizioni di potere nella società. Il 54,3 per cento crede che si spendano troppe risorse pubbliche per le fasce di popolazione più anziane, a scapito delle giovani generazioni. Una frattura profonda che si fa largo nel cuore della nazione separando padri e figli, passato e futuro.
Nella fase più critica dell’emergenza sanitaria, abbiamo cercato di difendere gli anziani dal pericolo potenzialmente fatale del contagio. Oggi, a quasi due anni dal primo lockdown, dovremmo dedicare la stessa attenzione alle altre vittime di questa tragedia: i giovani, che più degli altri hanno subito le conseguenze nefaste delle chiusure. Chi scrive compie vent’anni a febbraio ed è testimone diretto della situazione che gli studenti hanno vissuto – e stanno ancora vivendo – durante la pandemia. Per un lungo periodo, siamo stati privati del diritto allo studio e alla socialità, sacrificati sull’altare del “rischio zero” (poi rilevatosi irraggiungibile) per le categorie fragili. È chiaro, dobbiamo difendere le fasce di popolazione vulnerabili con tutti i mezzi di cui disponiamo: dalle misure di prevenzione – mascherine, distanziamento sociale e vaccini – alle cure domiciliari. Perché ogni vita ha valore indipendentemente dall’età. Tuttavia, come dicevo all’inizio, anche i giovani meritano attenzione.
Secondo una ricerca condotta a luglio dal Laboratorio dell’adolescenza su circa 2 mila studenti, il 77 per cento degli intervistati fatica ad addormentarsi, il 56 per cento riscontra problemi alimentari, il 39 per cento non pratica attività fisica. Percentuali drammatiche, in larga parte dovute alla didattica a distanza che, oltre ad aver arrecato pesanti danni psicologici, ha anche peggiorato le conoscenze didattiche dei ragazzi.
Sarebbe ingeneroso e perfino illogico addossare qualsivoglia colpa agli anziani. Eppure, per comprendere le ragioni del conflitto generazionale registrato dal rapporto Censis, basta ripercorrere quanto accaduto negli ultimi quattordici mesi. All’inizio dell’emergenza, la maggior parte dei media sosteneva che dalla pandemia saremmo usciti migliori e soprattutto più uniti. Tuttavia, i fatti smentiscono questa narrazione, concepita col solo scopo di nascondere la realtà. Il nostro Paese non è mai stato così frammentato come in questo momento. Ormai, per essere ammessi in società, è necessario aderire alle rispettive fazioni in lotta l’una contro l’altra: pro-vax e no-vax, pro-Green Pass e no-Green Pass. Oppure, appunto, giovani e anziani. Non sono ammesse sfumature. Tutto e tutti devono identificarsi nelle categorie preconfezionate del potere mediatico.
Quella dei giovani è stata ed è tuttora una delle categorie più sfortunate. Prima siamo stati accusati di diffondere il contagio e di violare le linee guida del Cts. Oggi, invece, siamo oggetto dell’indifferenza generale, abbandonati a noi stessi non solo dalle istituzioni, ma anche dagli alfieri del giovanilismo chic, che sulla Dad non hanno mai speso una parola se non per esaltarla. In un Paese normale i dati del Censis riportati in questo articolo avrebbero generato un dibattito, occupando le prime pagine di tutti i giornali. Perché così tanti giovani pensano che agli anziani sia dedicato troppo spazio nella società? Una domanda su cui tutti dovrebbero interrogarsi. Specialmente chi ha sparso terrore per un anno e mezzo trattando i giovani come irresponsabili.
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