Forse è venuto il momento di riconoscere un semplice
fatto: la gestione sanitaria della pandemia da parte delle istituzioni
italiane non è stata problematica, non è stata difettosa, è stata
semplicemente catastrofica. Nonostante l’abnegazione e la volontà di
numerosi medici a 19 mesi dallo scoppio della pandemia di Covid-19
possiamo concludere che fare peggio sarebbe stato assai arduo.
Quest’amara constatazione diviene particolarmente
doverosa oggi, nel momento in cui sulla scorta di una ridicola equazione
tra “Scienza” e “Istituzioni della politica sanitaria nazionale” si
continuano a far passare per verità accreditate nozioni prive di
fondamento scientifico, ma gradite agli indirizzi governativi.
Partiamo da qualche dato.
L’Italia ha i peggiori dati al mondo in termini di letalità da Covid.
Diversamente dalla mortalità, che è più soggetta a
variabili incontrollabili, il dato della letalità, cioè il rapporto tra
il numero delle persone contagiate e il numero delle persone decedute, è
un indicatore piuttosto affidabile circa la qualità degli interventi
terapeutici messi in campo nei confronti delle persone ammalate.
Vediamo così che per gli USA a fronte di 44,214,497 casi di Covid troviamo 714,098 decessi, per una letalità del 1,61%;
per la FRANCIA abbiamo 7,008,228 casi con 116,657 morti, per una letalità dell’1,65%;
per la SPAGNA abbiamo 4,959,091 casi e 86,415 morti: letalità 1,74%;
stessa letalità dell’1,74% per il REGNO UNITO (7,807,036 casi - 136,662 morti);
il BELGIO, il paese con la gestione sanitaria più
scadente, dove il virus è stato lasciato circolare liberamente nelle
case di riposo troviamo una letalità del 2,05% (1,242,821 casi - 25,595
decessi)
il confronto con i vicini olandesi è impietoso: OLANDA: 2,003,050 casi - 18,170 morti, letalità 0,90%;
la SVEZIA, il paese che ha preso la strada molto
discutibile di non fare alcun intervento straordinario, accettando un
elevato prezzo in termini di vite umane ha una letalità complessiva
dell’1,28% (1,152,886 casi - 14,822 morti)
Qualcuno ora dirà, come si disse all’inizio, che i
nostri molti decessi erano dovuti all’età avanzata della popolazione
italiana, tuttavia l’età media italiana, che è davvero tra le più
elevate al mondo, è sostanzialmente identica a quella del Giappone (che è
in effetti un po’ più anziano) e della Germania (che è un po’ al di
sotto).
E invero la GERMANIA ha dati di letalità poco brillanti:
4,235,721 casi - 94,214 decessi: letalità 2,21%, peggiore del Belgio;
il GIAPPONE tuttavia presenta una letalità clamorosamente inferiore
1,699,636 casi - 17,605 decessi, letalità 1,03% (praticamente la metà di
quella tedesca).
E che dire dei dati italiani?
Diciamo che non c’è competizione: con 4,668,261 casi e
130,870 decessi la letalità del Covid in ITALIA batte strepitosamente
tutti i concorrenti con un bel 2,80%.
Ora, nel momento della prima emergenza era di cattivo
gusto far notare il ruolo plausibilmente giocato dalla precedente strage
di risorse sanitarie, di posti letto, ecc. Non solo. Scoprimmo anche
ben presto che il piano pandemico nazionale mancava, e che le critiche
mosse da ricercatori dell’OMS a questo fatto erano state fatte rimuovere
sollecitamente dai siti da un intervento di alte cariche istituzionali.
Però, con grande senso di responsabilità, nel momento
della difficoltà quasi nessuno insistette su queste clamorose mancanze:
ci siamo stretti assieme e abbiamo evitato polemiche, per quanto ce ne
fossero ampiamente gli estremi.
Poi però il tempo è passato, i protocolli che
consigliavano interventi sanitari precoci erano noti, ma rimasero
completamente ignorati. Si proseguì con “tachipirina e vigile attesa”,
concentrando i pochi sforzi sulla sola fase terminale, la terapia
intensiva, e ignorando tutti gli interventi che potevano ridurre a monte
l’accesso alle terapie intensive.
Nonostante gli interventi draconiani di limitazione
della circolazione, il sistema sanitario ha sostanzialmente ceduto di
schianto. Dalla prima crisi della primavera 2020 il nostro sistema
sanitario non si è più ripreso: le liste d’attesa per gli esami
attraverso il SSN sono esplose. Nel 2020 sono stati assistiti 700.000
pazienti non Covid in meno rispetto alla gestione ordinaria, già lungi
dall’essere particolarmente sollecita. Nel 2021 l‘arretrato non è stato
recuperato, portando di fatto ad una criptoprivatizzazione della sanità
(chi se lo può permettere si rivolge senz’altro al privato).
Il sistema è stato lasciato in una condizione di paralisi.
Tutto questo fino all’affacciarsi dei ‘vaccini’,
finanziati con versamenti anticipati dall’UE, ordinati con contratti
secretati, che sono stati presentati al popolo come la sola via di
salvezza.
A questo punto qualunque proposta di non concepire il
vaccino come sola ed unica via è stato attaccato scompostamente,
distrutto mediaticamente, screditato in ogni forma possibile. Con una
torsione semantica degna dei tempi gloriosi dell’Istituto Luce chiunque,
laico o medico, cercasse di argomentare la sensatezza di un approccio
non unilaterale, che abbinasse sviluppo delle terapie precoci alla
campagna vaccinale, è stato etichettato come “No-vax”. E milioni di
cittadini diversamente svegli hanno seguito le parole d’ordine dei capi,
scatenando la caccia morale al fantomatico “No-vax”: il maledetto
cacadubbi che non partecipava alla sforzo bellico.
I dati di agosto-settembre 2021, in presenza del vaccino
sono stati massivamente peggiori dei dati di agosto-settembre del 2020,
in assenza di vaccino: la media dei decessi giornalieri è stata di 6
volte superiore (media decessi del periodo 5-10 nel 2020, 50-70 nel
2021). Dovremmo forse trarne qualche ammonimento? Proprio nulla?
La replica canonica a questa constatazione numerica è
che è tutta colpa della variante delta, e che altrimenti sarebbe stato
molto molto peggio. Già, può darsi, chi può dirlo; come sempre nei
fenomeni storici, non c’è la controprova, però qualunque soggetto che
abbia ancora un ancorché moderatissimo senso critico, di fronte a questi
dati dovrebbe almeno intrattenere il sospetto che la soluzione “extra
vaccinum nulla salus” potrebbe non essere stata una trovata risolutiva e
geniale. (E Dio non voglia che gli indizi che emergono da altri paesi
sulla ‘perforabilità’ dei ‘vaccini’ siano confermati, perché potremmo
trovarci a novembre nel mezzo di una nuova catastrofe sanitaria.)
In molti, da tempo, hanno segnalato che il protocollo
“tachipirina e vigile attesa” era un’assurdità, un vero e proprio gesto
di abdicazione, di rinuncia alla cura. In questi ultimi giorni si è
aggiunto infine persino il dubbio scientifico che la tachipirina, lungi
dall’essere semplicemente inutile, sia addirittura positivamente dannosa
nella cura del Covid (vedi link[1]).
Ora, dopo la pressione e le denunce di inerzia rispetto
allo sclerotico protocollo attendista, l’AIFA ha finalmente dato il via
libera ad alcune cure con prodotti farmaceutici “riconvertiti” da
precedenti usi. Meglio tardi che mai, si potrebbe dire. Tuttavia,
incidentalmente, dalle mie scarse conoscenze di profano compulsatore di
riviste scientifiche, non posso non notare come uno dei farmaci ora
approvati sia oggetto di uno studio che ne illustrava l’apparente
efficacia pubblicato su Lancet sin dal maggio 2020 (14 mesi fa; vedi
link[2]).
Il meno che si possa dire è che con i farmaci
riconvertiti le nostre istituzioni sanitarie si sono mosse con piedi
piombati, straordinaria cautela e sviluppatissimo principio di
precauzione. Dovevano essere devastati all’idea di poter suscitare nei
malati di Covid degli effetti collaterali ignoti, con prodotti in
commercio da decenni.
Curiosamente invece per vaccini nuovi di zecca (con
brevetti in vigore) prodotti con tecnologie innovative, le approvazioni
sono fioccate in capo a poche settimane sulla base di dati dichiarati
incompleti dalle stesse case farmaceutiche. Ecco, qui tutti i dubbi
delle nostre istituzioni sanitarie relativi a possibili effetti
collaterali di una somministrazione su individui sani si sono sciolti
come neve al sole, anzi – diciamolo - non si sono proprio mai
affacciati.
Ma naturalmente, visto il trionfo, visto lo strabiliante
successo della nostra politica sanitaria ad oggi, chiunque sollevasse
dubbi o sospetti su queste apparenti incongruenze sarebbe una
malalingua, anzi un nemico della Razionalità e della Scienza.
E noi mai e poi mai vorremmo essere considerati nemici della Razionalità e della Scienza.
Così come mai vorremmo credere alle parole del virologo
Crisanti quando l’altro giorno si è lasciato sfuggire che i membri del
CTS sono “incompetenti e lottizzati”, aggiungendo che «l’istituzione non
è una religione», e che il fatto che i componenti del Cts
«rappresentino le istituzioni non significa che siano depositari della
verità.»
E in altri momenti sarebbe suonato strano, ridondante,
che un uomo di scienza debba ribadire che il principio di autorità
istituzionale non è la Scienza, e tantomeno può essere considerato alla
stregua di una religione, di un credo. Sarebbe suonato strano, ma non
suona strano oggi, perché l’esperimento sociale dentro il quale stiamo
nuotando come pesci rossi in una boccia ha davvero trasformato l’appello
ai verdetti delle istituzioni scientifiche nazionali in articoli di
fede da ripetere come l'Ave Maria e da ribadire in ogni sede mediatica. E
su cui crocifiggere per blasfemia i dissenzienti.
Ecco, è forte l’impressione che il muro di questa
narrazione sistematicamente manipolatoria stia iniziando a sgretolarsi.
Ma saranno tempi interessanti - nel senso della maledizione cinese “Che
tu possa vivere in tempi interessanti” - perché è improbabile che i
costruttori del muro lasceranno il campo senza opporre strenua e feroce
resistenza.
[1] Sestili, et al., Paracetamol-Induced Glutathione Consumption: Is There a Link With Severe COVID-19 Illness?
Nessun commento:
Posta un commento