La battaglia perduta
di Andrea Zhok - 16/04/2024
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/la-battaglia-perduta
Fonte: Andrea Zhok
A partire dalla crisi subprime abbiamo assistito ad una
vera e propria debacle delle classi dirigenti europee di fronte
all’egemone statunitense. L’Europa non è riuscita ad imporre nessuna
politica che presentasse caratteri di rilevante autonomia e di sviluppo
di un modello indipendente; si sono mantenuti per alcuni anni i canali
di contatto internazionale sviluppati in precedenza con Cina, Russia e
mondo islamico, salvo procedere ad una loro rapida dismissione a partire
dalla svolta pandemica.
Durante la pandemia si è assistito ad un
coordinamento delle strategie “sanitarie” guidato dalle autorità
americane (NSA, FDA) che ha coinvolto in un modello comune i paesi Nato,
il Commonwealth e Israele, cioè tutte le principali diramazioni della
potenza americana.
Con la guerra russo-ucraina l’Europa ha accettato
condizioni di ingaggio che significavano una subordinazione totale
dell’apparato produttivo europeo alle esigenze americane. La distruzione
del North Stream 2 ne è stata il sigillo simbolico. La
deindustrializzazione, che finora era stata avviata solo nell’Europa
meridionale a favore dell’Europa settentrionale – con la giustificazione
delle “esigenze di austerità” – ora ha iniziato a coinvolgere anche
l’ex locomotiva tedesca.
Che l’Europa non fosse da tempo capace di
immaginarsi come un modello alternativo a quello americano era chiaro
dagli anni ’90, ma per quasi due decenni la scommessa del neoliberalismo
di matrice europea consisteva nel credere di potere essere un vero
competitore per gli USA, di poter superare gli USA nel loro gioco
preferito, il mercatismo capitalista.
Salvo scoprire ad un certo
punto che le aborrite sovranità, abbattute nel nome della
globalizzazione mercatista, erano l’unica fonte di autonomia e indirizzo
anche in un contesto capitalista: gli USA, che mai hanno dato credito
alla fiaba del superamento delle sovranità, hanno imposto la propria ad
un’Europa trasformatasi in un agglomerato di lobby private innestate su
istituzioni senza carattere né spina dorsale.
Si può avere la
tentazione di leggere la debacle delle classi dirigenti europee in
termini di corruzione o di ricatto. Uno guarda lo scempio di
rappresentanti apicali delle nazioni europee che ne sacrificano gli
interessi e svendono i propri popoli, e si immagina che il personaggio X
abbia ricevuto un cospicuo bonifico o il personaggio Y sia sotto
ricatto. Ma questi casi, che certo esistono, non spiegano affatto la
radicalità della catastrofe.
Il cardine intorno a cui ruota l’attuale catastrofe europea è strettamente culturale.
È
sul piano culturale che l’Europa, in blocco, è diventata una succursale
sfigata dei college americani. A partire dagli anni ’90 ogni pretesa di
autonomia culturale europea è sostanzialmente svanita.
Sul piano
della teoria economica sono scomparse tutte le teorizzazioni autonome
rispetto alla sintesi neoclassica, teorizzazioni che permangono come
note a piede di pagina o desueti capitoli di storia.
Sul piano
linguistico la cura della lingua madre e della ricchezza delle altre
lingue europee è stata sostituita da un inglese da concierge, che
rappresenta ormai l’ambita vetta della “internazionalizzazione” (questo
lo si vede benissimo nell’offerta formativa liceale non meno che
universitaria).
Sul piano cinematografico il modello
dell’intrattenimento usa e getta di marca hollywoodiana è il solo gioco
rimasto in campo e siamo tutti più consapevoli di quello che succede
sulle strade di S. Francisco che di quello che succede sotto casa
propria.
L’intero settore delle “Geisteswissenschaften”, delle
scienze dello spirito o umanistiche, ha subito un’involuzione nel senso
di uno specialismo museale che le trasforma da palestre di cittadinanza
in parchi di divertimenti di nicchia, rigorosamente innocui per il
potere.
Problemi di costume che avevano già avuto il tempo di
imperversare e stufare in America quarant’anni fa (basta guardare un
Clint Eastwood d’annata), dal razzismo al politicamente corretto, sono
state importati di peso in Europa occupando il centro della scena.
L’immaginario
“ribelle” delle nuove generazioni è colonizzato da un ribellismo
individuale, il ribellismo degli schiavi che lamentano di non essere
mercanti di schiavi (vedi rap e trap).
Ecc. Ecc.
Se il problema
fossero solo la corruzione e il ricatto, basterebbe un indebolimento
della voce del padrone (cosa che potrebbe essere dietro l’angolo) e
l’Europa potrebbe iniziare un processo di emancipazione.
Purtroppo il
vero problema è l’avvenuta totale introiezione dei paradigmi culturali
del padrone, quei paradigmi che rendono impossibile ai più anche solo
immaginare un’alternativa al mondo corrente. Una volta perduta la
battaglia dell’identità culturale, tutte le altre battaglie sono perdute
prima di schierare le truppe.
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