La Serbia comprerà dalla Francia una dozzina di caccia Dassault Rafale per la sua aeronautica? Dopo la recente visita a Parigi del presidente Aleksandr Vucic, ospite la scorsa settimana di Emmanuel Macron all’Eliseo, l’accordo tra il governo di Belgrado e quello transalpino appare a portata di mano. E il dato di fatto ci mostra, una volta di più, la grande complessità del posizionamento geopolitico della Serbia a cavallo tra Oriente e Occidente. Parigi, assieme al Regno Unito, poche settimane fa ha bloccato all’Onu la proposta Serbia di commemorare al Consiglio di Sicurezza il 25esimo anniversario degli attacchi Nato alla Jugoslavia; Belgrado è andata ai ferri corti con l’Unione Europea per la decisione delle maggiori potenze di ammettere il Kosovo nel Consiglio d’Europa; la Bruxelles comunitaria e quella atlantica criticano i giri di valzer di Vucic con la Russia e, soprattutto la Cina, da cui acquista anche droni e sistemi di difesa aerea. Ma nonostante tutto la Serbia è in Europa e non vuole voltare le spalle.
L’equilibrismo serbo
Del resto, l’avere un rapporto amicale con Paesi come la Russia non fa certamente di Vucic un proxy del governo di Vladimir Putin. Anzi: la Serbia guarda con attenzione al casus belli del Donbass perché ha avuto in casa l’anticipazione della secessione di Donetsk e Lugansk con l’amputazione del Kosovo dal suo territorio dopo la fine delle guerre jugoslave. Vucic ha fermato gli arruolamenti della Wagner in Serbia temendo l’ondata di ritorno di uomini armati in un Paese dove il problema delle sparatorie di massa è fonte di crescente apprensione, anche per la saldatura tra ultranazionalisti, aree grigie come la criminalità e le curve degli stadi e i mercenari che gli scorsi anni hanno posto in essere. Inoltre, come riporta Euractiv, il sostegno, per quanto non armato, all’Ucraina, è stato tutt’altro che indifferente per un Paese di questa taglia: “La Serbia ha fornito 3 milioni di euro all’Ucraina per aiutare i bambini vulnerabili e altri 1,5 milioni di euro per gli sfollati, solo pochi mesi dopo l’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina. Oltre ai pacchetti finanziari, la Serbia ha inviato all’Ucraina aiuti materiali, veicoli medici, generatori elettrici, impianti di depurazione dell’acqua e altra assistenza umanitaria”.
Ebbene, in quest’ottica si capisce come la Serbia voglia essere un pivot. E nel quadro del vasto piano di riarmo del Paese ha messo la sicurezza del proprio Paese al primo posto. Anche di fronte all’unità panslava e panortodossa con cui spesso retoricamente le relazioni russo-serbe, saldate dal pragmatismo degli scambi commerciali e dalla percezione di sentirsi defraudate di territori e posizioni legittime nel sistema globale, sono ammantate Belgrado ha preferito non allarmare l’Occidente. “A causa delle circostanze geopolitiche ora non è nemmeno fattibile – anche se lo si desidera – acquistare comunque dalla Russia”, ha detto a proposito dell’accordo sui Rafale un funzionario governativo serbo citato dal Financial Times. Che prosegue: “Il Rafale rappresenta una pietra miliare importante, ma non è l’unico oggetto di trattativa”. La Serbia “ha anche acquistato sistemi radar e missilistici francesi e ha effettuato ordini per aerei da trasporto Airbus”.
Anche per la Francia un lauto affare
Vucic ha un complesso sistema di relazioni con l’Occidente da bilanciare. Rilancia, spesso aggressivamente, nella retorica per porre le sue linee rosse verso Europa e Nato. Ma al contempo ammicca con forza alla comunità dei Paesi europei, chiedendo riconoscimento per le posizioni serbe. Non c’è dubbio che posto di fronte all’eventualità il governo di Belgrado abbraccerebbe con forza l’integrazione comunitaria, che consoliderebbe le relazioni con diversi dei primi partner nella top ten dell’interscambio di Belgrado: Germania, Ungheria, Romania, Italia e, appunto, Francia.
Parigi, al contempo, può sorridere: Macron vara un’economia “di guerra” in cui la componente di rilancio industriale
sembra prevalere sullo scenario meramente militare. Una manovra volta a
consolidare Pil e produzione, rilanciando un’economia anemica, grazie
anche al volano dell’export. Il Rafale si conferma un ottimo prodotto da
esportazione e, nota il Ft, “il suo produttore Dassault Aviation deve
affrontare la sfida di produrre l’aereo a un ritmo più rapido dato il
suo arretrato esistente: l’anno scorso ha consegnato solo 13 jet dalla
sua fabbrica vicino a Bordeaux, meno dei 15 previsti. L’obiettivo è di
farne 20 quest’anno, per poi arrivare a 36 all’anno”. Il grande business
della Difesa è in pieno sdoganamento. E con buona pace delle possibili
ambiguità geopolitiche della Serbia, anche per la Francia paecunia non olet.
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