“Taiwan. L'isola nello scacchiere asiatico e mondiale”: storia del Dragone e dell'atollo che punge
di Giulia Bertotto
Taiwan è un'isola vulcanica antichissima, sul suo orizzonte miti
cosmogonici e leggende dinastiche si perdono all'alba dei tempi. Ed è in
questo splendido atollo, con le sue spiagge cristalline e le foreste
tropicali, che oggi si giocano i nuovi assetti del mondo. Taiwan è
un'isola sismica nel senso strettamente tellurico ma anche nel senso
geopolitico, come spiega in maniera esemplare il ricchissimo saggio del
ricercatore Giacomo Gabellini Taiwan. L'isola nello scacchiere asiatico e mondiale (L.A.D., 2023, 2° edizione aggiornata)
Nella
tettonica della politica internazionale, Formosa è la faglia delle
tensioni internazionali nell'area dell'Indo-Pacifico in cui proprio in
queste ore si esibiscono le due più grandi potenze del globo terracqueo:
Stati Uniti e Cina.
L'autore spiega come il processo di reintegrazione dell'isola da parte della Cina continentale sia stato osteggiato dalle decennali ingerenze statunitensi: interferenze diplomatiche, intromissioni economiche, tranelli finanziari, guerra dei chip, posizionamenti strategici di sistemi antimissilistici (come il Thaad), “rivoluzioni colorate” e disordini sociali. Nessuno dei mezzi a disposizione degli Stati Uniti è stato lasciato intentato per impedire il riassorbimento dell'isola da parte di Pechino. Ma a quale scopo? Innanzitutto per evitare che la rivale asiatica acquisisca la posizione altamente strategica rappresentata dall'isola, per impedire la sinergia economica del Dragone con la sua propaggine insulare, e dunque remare contro l'affermazione di quel mondo a trazione multipolare che si sta ormai irreversibilmente imponendo. Taiwan costituisce per la Cina un avamposto difensivo, ma anche la capacità di esprimere la sua ambizione marittima, in quanto “portaerei inaffondabile” del Celeste Impero[1]. Mentre dal punto di vista patriottico rappresenta quella rivendicazione dal “Secolo dell'umiliazione”, il quale vide la mortificazione cinese da parte delle potenze occidentali e dal Giappone dal 1839 al 1949.
Per quanto riguarda gli altri attori sulla scena internazionale, la possibilità di ricostituzione con Taiwan implica di rivoluzionare in maniera epocale gli assetti del Pacifico e del mondo intero.
Per questo l'obiettivo di Washington è quello di “trasformare Taiwan in un porcospino irto di aculei”[2] a cui la Repubblica Popolare Cinese non possa avvicinarsi senza pungersi dolorosamente, come detto -con un'efficace metafora zoologica- dall'ex capo di Stato Maggiore delle forze armate taiwanesi Lee Hsi-Ming. Dopo la fuga dei vertici nazionalisti del Kuomintang a Taiwan, già dal 1949 con la nascita della NATO, gli Usa cercarono di schiacciare Cina e Russia nell'est eurasiatico, e anche gli eventi sfavorevoli in Corea frustrarono la possibilità per la Cina di recuperare Taiwan. Gli anni '50 segnarono la svolta di Taipei, che da economia agricola divenne una potenza industriale, fino a trasformarsi oggi in un'avanguardia tecnologica del mercato hi-tech. Tra le tappe fondamentali del processo diplomatico di de-alienazione dell'isola, l'autore ci documenta la data del 1972, in occasione della storica visita a Pechino del presidente Nixon nel corso della quale gli Usa sottoscrissero il Comunicato di Shangai[3]. Mentre l'ex impero riaffermava che “l'unico governo legale della Cina è quello della Repubblica Popolare Cinese” e che “Taiwan è una provincia cinese”, gli Usa si impegnavano dal canto loro alla “smobilitazione delle forze e delle installazioni militari statunitensi da Taiwan”.
Precisamente dieci anni dopo, nel 1982 -contestualmente all'apertura dei viaggi privati verso la Repubblica e la maggiore integrazione tra le due economie- un nuovo comunicato impegnava gli Usa a ridurre le forniture di armi all'isola e vincolava Pechino a muoversi in maniera esclusivamente pacifica verso la riunificazione di quest'ultima[4]. Tuttavia questi accordi non sono mai stati osservati da parte occidentale, e le ambiguità[5] si sono succedute anche negli anni Duemila con le amministrazioni Obama e Trump, le quali hanno lavorato per rendere inaccessibile l'isola-istrice, come ad esempio con la politica del disaccoppiamento dell'economia cinese da quella americana.
Quello di Gabellini è un saggio che non tralascia nessuno degli aspetti che hanno condotto all'esplosiva situazione attuale, compresi la politica interna a Taipei e i fattori culturali e ideologici; un libro capace di avvicinarci -grazie alla competenza del suo autore e alla completezza delle sue pagine- a zone del mondo a noi geograficamente remote ma che condizionano il nostro presente molto più di quanto pensiamo.
Il paradosso dell'aggressività tipica della politica estera americana, è sempre quello di consolidare i legami commerciali tra i suoi rivali, come tra la Russia e i paesi BRICS, creando proprio le premesse di ciò che vorrebbe scongiurare. Il vertice bilaterale del 4 febbraio 2022 ha visto i leader Vladimir Putin e Xi Jimping confermare una “partnership globale tra Cina e Russia nella nuova era” (il corsivo è nostro) e il ministro degli esteri Wang Yi ha ribadito che “l'amicizia tra i due popoli è granitica”[6]. Sono infatti diverse le potenze che non intendono sottostare alla volontà egemonica della “più grande democrazia del mondo” e che stringono i loro legami commerciali in virtù di una progressiva de-dollarizzazione. Si tratta di una nutrita compagine che vede uniti tra gli altri Iran, Pakistan, India, diversi paesi africani e sudamericani insofferenti al dominio del dollaro e che non troverebbero alcun vantaggio nell'isolare la Federazione Russa.
Insomma, nonostante tutto non è andata come nei progetti della Casa Bianca, e l'ascesa della Repubblica Popolare Cinese è stata sbalorditiva, risollevando dalla miseria in poco più di trent'anni 600 milioni di persone[7]. Mentre oggi Taiwan è un paese dalle straordinarie capacità economico-tecnologiche, l'isola dei semiconduttori ospita la più importante azienda mondiale del settore: la Tsmc, Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. Il declino è arrivato solo con la pandemia e con le sue accuse pretestuose, quando l'amministrazione Trump ha appellato il Sars-coV-2 come “virus cinese”.
La Cina ha resistito alle pressioni estere, alle sanzioni legate al conflitto con la Russia, alle minacce finanziarie atlantiste, alle strumentalizzazioni pandemiche, e non intende più restare stritolata nello spazio angusto che limita la sua vocazione territoriale-marittima e storico-simbolica: ha infatti dichiarato che entro il 2049, -ossia entro il centesimo anniversario della nascita della Repubblica Popolare Cinese- Taipei tornerà alla terra madre.
E' molto probabile che se la Cina non troverà la rotta libera sul suo cammino, la aprirà con la forza.
E sarà quella di un Dragone, non avrà certo timore di un riccio.
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