VERSO UN AUTUNNO CALDO, ANZI CALDISSIMO
di Marco Giuliani
VERSO UN AUTUNNO CALDO, ANZI CALDISSIMO
Elezioni, guerra, crisi energetica e caro-vita: l’Italia si prepara a una stagione di tensioni
Tra poche settimane per l’Italia comincerà un tour de force che sarà contraddistinto, come prima “tappa”, dalle elezioni politiche anticipate. Simultaneamente, si dovrà continuare a convivere con la crisi energetica, ad affrontare la prosecuzione (assai più che probabile) della guerra russo-ucraina e a contrastare il persistere del caro-vita, che sta mettendo alle corde centinaia di migliaia di famiglie e lavoratori. Con quali prospettive ci si sta preparando ad affrontare un’emergenza di tale gravità, che potrebbe rivestire aspetti senza precedenti nella storia recente del paese?
Certamente, i politici nostrani sono partiti con alcune premesse e un varo di programmi (o non programmi) che fanno accapponare la pelle. Come punto di partenza, infatti, malgrado la maggioranza della popolazione sia contraria sine die, il deposto governo ha deciso di continuare a spendere in armi per circa un miliardo e duecento milioni all’anno, facendo già capire l’approccio col quale questa classe dirigente (ricordiamolo, non legittimata dai cittadini neanche per 5 nanosecondi della sua legislatura) intenderà sopperire alle emergenze sociali e strutturali in corso. Non trovando, ancora una volta, nemmeno uno straccio di opposizione che faccia desistere i partiti di maggioranza (quelli che, in nome del “draghismo dei migliori”, hanno contribuito allo sfacelo dell’Europa) dalla loro deriva militarista. Senza distinzioni, perché non basta chiudere la stalla quando i buoi sono già usciti (come ha fatto Conte un paio di settimane fa) e non basta nascondere detta condizione mediante la pletora di media ancora asservita all’ex governatore della Banca d’Italia. Secondo punto: scostamento di bilancio, che significa nuovo debito pubblico. Terzo punto, che rappresenta una variabile dipendente: sostenibilità e innovazione. Ma come pianificare un’agenda (sostenuta dalla coppia Draghi-Mattarella) in cui le parti litigano anche per l’installazione di un termovalorizzatore?
Le cose si mettono male, inoltre, perché col passare dei mesi si sta assottigliando sempre più quella differenza – che è il sale della politica – di idee, proposte e vocazioni tale per cui ogni schieramento dovrebbe avanzare un suo programma, soprattutto su basi storico-ideologiche divergenti. Oggi, il Parlamento italiano, che stando ai sondaggi non rappresenta più una buona fetta del suo elettorato (qualcosa come il 20-25%, pari a poco meno della media astensionismo) sembra avviluppato in una sorta di grande centro ibrido incapace di trasmettere alternative e nuove soluzioni programmatiche. Se le sottilissime, residue diversità che caratterizzano ancora l’offerta dei due-tre poli a presidio del sistema parlamentare vengono svilite all’enigma sul futuro posizionamento di Brunetta (di cui agli italiani non può fregare di meno) e a cincischiare su come regolarizzare i flussi migratori e relativa acquisizione della cittadinanza, la politica italiana è oscenamente ridotta a un’ammucchiata priva di iniziative.
Una volta, parliamo degli anni Sessanta, epopea del boom economico, la storiografia e gli analisti avevano modo di definire “centro” o “centrismo” quella collocazione moderata che si distingueva poiché equidistante dal conservatorismo estremo e dal progressismo troppo sbilanciato a sinistra. Attualmente, invece, a fronte di questo imbastardimento, i politologi si affannano persino per dare una definizione astratta all’area di appartenenza del nostro correntismo politico. Si tratta di un malessere in divenire che si è trasformato in patologia cronica a danno del welfare e del già sofferente stato sociale del paese. A margine di questo status, se aggiungiamo che oltre duecento tra senatori e deputati hanno cambiato partito o sono entrati nel Misto, il disastro è completo.
Purtroppo, il tema principale su cui questo grande centro ibrido sembra allineato in modo piatto e irreversibile è ancora una volta la politica estera, ovvero il ruolo ormai stagnante dell’Italia nel panorama internazionale. In tale contesto non si distinguono destra, sinistra e centro; la diplomazia – o ciò che ne è rimasto – segue pedissequamente Bruxelles e Washington senza voce in capitolo, sino al punto di apparire come un servo sciocco degli alti comandi atlantici. Ciò significa: dissanguare le casse pubbliche per investire in armamenti, obbedire alla Nato sotto l’aspetto strategico-militare e assecondare gli stessi Stati Uniti nelle loro politiche destabilizzanti che, oltre a colpire in Europa e in Ucraina, stanno provocando un’altissima tensione anche nei delicati rapporti tra Cina e Taiwan. In pratica, è un’ingerenza che passa da un lato all’altro del pianeta. E sapete qual è la morale? Che la Casa Bianca può permetterselo e l’Europa no, men che meno uno dei suoi fanalini di coda in quanto a crescita e salari, cioè l’Italia. Qui prodest?
Possiamo senz’altro asserire che molto del futuro prossimo dipenderà dalla situazione internazionale e dai suoi sviluppi. A tal proposito, giova ricordare a chi è corto di memoria che mentre gli ucraini e il Donbass sono sotto le bombe, Zelensky posa plasticamente per la rivista newyorkese Vogue e Biden è dato al 25% del gradimento nei sondaggi americani.
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