Ipotesi, piste e misteri dietro l’attentato a Darya Dugina a Mosca
di Gianandrea Gaiani - 27/08/2022
Arianna Editrice
Fonte primaria: Analisi Difesa
Ipotesi, piste e misteri dietro l’attentato a Darya Dugina a Mosca
Gianandrea Gaiani
L’uccisione
alla periferia di Mosca con una bomba posta sulla sua auto di Darya
Dugina, figlia dell’intellettuale Alexander Dugin, presenta ancora molte
zone d’ombra soprattutto nei suoi possibili risvolti e conseguenze.
Dugin, ritenuto inizialmente il vero bersaglio degli attentatori, non ha
mai avuto un ruolo politico o ideologico al Cremlino a dispetto dei
nomignoli che gli sono stati affibbiati in Occidente quali “Rasputin di
Putin” o “il cervello di Putin”.
Non vi sono mai stati elementi per
definirlo “ideologo” del presidente o addirittura il padre del neo
nazionalismo russo e persino colui a cui si deve l’elaborazione
strategica dell’invasione in Ucraina.
Dugin costituisce quindi un
“bersaglio“ più propagandistico che politico non avendo mai ricoperto
posizioni ufficiali nel governo russo: non è mai stato consigliere del
Cremlino anche se lo è stato di un presidente della Duma e di un membro
del partito Russia Unita.
Ha avuto incarichi accademici e
giornalistici, come capo redattore di Tsargrad TV, emittente filo
governativa per cui lavorava anche la figlia.
Darya Dugina, che
avrebbe compiuto 30 anni a dicembre, è finita nel mirino delle sanzioni
anglo-americane per aver diretto il sito di disinformazione United World
International in cui è stato scritto che l’Ucraina sarebbe “perita” una
volta ammessa nella Nato.
Il sito, secondo gli Stati Uniti, è il
frutto di un’operazione di interferenza politica russa chiamata “Project
Lakhta,” che secondo i funzionari del Tesoro USA ha usato utenti
fittizi online per interferire nelle elezioni negli Usa sin dal 2014.
Co-autrice
del “Libro di Z” di prossima pubblicazione sulla guerra in Ucraina, la
Dugina è stata inserita il 4 luglio nella lista dei sanzionati da parte
di Londra per reati d’opinione simili a quelli a lei attribuiti da
Washington.
Il Regno Unito le imputa infatti “frequenti contributi di
alto livello alla disinformazione relativa all’Ucraina e all’invasione
russa dell’Ucraina su diverse piattaforme online”.
La pista ucraina
L’uccisione
di Darya Dugina con 400 grammi di tritolo posizionati sotto la sua
auto, fatti esplodere a distanza secondo quanto riferito dall’FSB, ha
scatenato molte reazioni e consente di sviluppare alcune ipotesi. Circa
le prime, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova
ha affermato che se gli inquirenti confermeranno “la pista ucraina” per
l’attentato si dovrà parlare del “terrorismo di Stato di Kiev”.
L’accusa
ai servizi segreti di Kiev è stata formulata inizialmente dal capo
della Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pushilin per il quale “I
vigliacchi infami terroristi del regime ucraino, nel tentativo di
eliminare Aleksandr Dugin, hanno fatto saltare in aria sua figlia”.
Secondo
quanto riferito dall’agenzia russa TASS, il Servizio Federale per la
Sicurezza russo (FSB) ritiene che l’obiettivo dell’attentato fosse
proprio la figlia di Dugin e che a compiere l’attentato sia stata
un’agente ucraina, Vovk Natalya Pavlovna, 43 anni, fuggita subito dopo
in Estonia.
La donna sarebbe entrata in Russia insieme alla figlia,
Shaban Sofia Mikhailovna di 12 anni, il 23 luglio e ha affittato un
appartamento nella casa in cui viveva Dugina per raccogliere
informazioni su di lei iniziando poi a monitorarne gli spostamenti e la
vita quotidiana utilizzando un’auto Mini Cooper che avrebbe utilizzato
tre targhe diverse (nelle foto sopra e sotto): la prima della Repubblica
di Donetsk, per varcare il confine, la seconda del Kazakhstan usata a
Mosca e la terza dell’Ucraina per uscire dal Paese.
Il giorno
dell’omicidio, Vovk e sua figlia erano festival della Letteratura e
della musica tradizionale, dove Dugina era presente come ospite d’onore,
e la sera hanno provocato un’esplosione radiocomandata della Toyota
Land Cruiser Prado, guidata da Dugina. Successivamente, Vovk, insieme
alla figlia è partita attraverso la regione di Pskov verso l’Estonia.
Fonti
della sicurezza citate dalla TASS ipotizzano che la bambina potrebbe
essere stata impiegata dalla madre per piazzare l’ordigno e le immagini
diffuse dall’FSB sembrano confermare che le telecamere di sorveglianza
abbiano permesso di ricostruire tutti i movimenti di madre e figlia.
L’FSB
non ha però indicato finora prove o elementi che leghino la Vovk ai
servizi segreti ucraini ma ha inserito la donna nella lista dei
ricercati e la Russia ne chiederà l’estradizione ma l’Estonia ieri
negava di aver ricevuto richieste in tal senso.
Le risposte dei
governi estone e ucraino a tale richiesta potrebbero almeno in parte
chiarire eventuali responsabilità politiche.
Un gruppo di hacker
russi, RaHDit, sostiene che la Vovk appartenga al battaglione ucraino
Azov rendendo nota un’immagine del suo tesserino militare con tanto di
foto tessera (che in Ucraina alcuni hanno definito contraffatta) ma le
autorità russe non hanno finora confermato ufficialmente tale ipotesi.
Anche Alexander Dugin ha attribuito l’uccisione della figlia a “un atto di terrorismo del regime nazista ucraino”.
Kiev nega
Kiev
smentisce ogni coinvolgimento. “Non rilasciamo neppure un commento
perché non è una questione di interesse per i servizi speciali ucraini”
ha detto Andrii Yusov, portavoce del Direttorato dell’intelligence
militare ucraina aggiungendo che “il processo di distruzione interna del
mondo russo è iniziato”.
Mikhail Podolyak, stretto collaboratore
della presidenza di Kiev ha dichiarato che l’Ucraina “non ha nulla a che
fare” con l’esplosione che ha causato la morte di Darya Dugina. “Non
siamo uno stato criminale, come la Federazione Russa, e tanto meno uno
stato terrorista”.
La Guardia Nazionale ucraina ha smentito inoltre
la notizia che la Vovk abbia fatto parte del reggimento Azov e il
presidente Volodymyr Zelensky ha dichiarato che “questa non è nostra
responsabilità”.
Di certo l’attentato a Mosca e l’uccisione della
giovane Dugina giunge nel pieno del dibattito, acceso negli USA e
alimentato in Ucraina, che vorrebbe vedere i paesi occidentali definire
la Russia “stato terrorista”.
A Washington il portavoce del
Dipartimento di Stato americano Ned Price ha commentato brevemente e
senza entrare nel merito dell’accaduto l’attentato di Mosca affermando
che gli Stati Uniti “condannano l’uccisione intenzionale di civili
ovunque”, evitando quindi di esporsi in valutazioni circa le
responsabilità.
Più sbilanciato il ministro degli Esteri italiano,
Luigi Di Maio, che in un’intervista televisiva ha dichiarato che “va
detto chiaramente che non c’è nessun coinvolgimento dell’Ucraina”
nell’uccisione di Darya Dugina.
La pista russa
Circa le
ipotesi sui responsabili dell’attentato non si può escludere nessuna
pista, neppure quella interna alla Russia. La rapidità con cui l’FSB ha
presentato prove e immagini della colpevole inducono alcuni a ipotizzare
che siano stati i russi a provocare l’attentato per poi incolpare una
cittadina ucraina rifugiatasi in un paese della NATO e cementare così il
consenso intorno all’operazione militare speciale in Ucraina.
Un’opzione
da non escludere, che trova ovviamente molti fans in Occidente come
quella dell’azione compiuta da una fantomatica “resistenza armata”
rivelata da Ilya Ponomarev, ex parlamentare alla Duma espulso per
attività anti-russe e che da Kiev ha attribuito l’attentato all’Esercito
Repubblicano Nazionale (NRA).
L’ex parlamentare durante un programma
televisivo ha letto un comunicato del gruppo partigiano russo in cui la
figlia di Dugin viene descritta come “obiettivo legittimo perché fedele
compagna del padre, che sosteneva il genocidio in Ucraina”. Secondo
Ponomarev, fonte non certo neutrale, l’NRA sarebbe pronto a condurre
ulteriori attacchi simili contro obiettivi di alto profilo collegati al
Cremlino, inclusi funzionari, oligarchi e membri delle agenzie di
sicurezza. L’ex deputato, l’unico a votare contro l’annessione della
Crimea nel 2014 e bandito da Mosca, è diventato cittadino ucraino nel
2019. Da Kiev, dopo l’invasione dell’Ucraina, ha lanciato un programma
televisivo in lingua russa per dar voce all’opposizione.
Di certo a
Mosca non si sono risparmiati i toni enfatici e patriottici nel porgere
l’estremo saluto a Darya Dugina. “Un crimine vile e crudele” – ha
dichiarato Vladimir Putin che ha insignito la giovane con l’Ordine del
Coraggio alla memoria – “che ha spezzato la vita di una persona
brillante e di talento, un vero cuore russo, gentile, amorevole,
comprensivo ed aperto. Alla Patria ha dimostrato con i fatti cosa vuole
dire essere patriota della Russia”.
Il prezzo più alto che si deve
pagare può essere riscattato solo dal più alto risultato: la nostra
vittoria – ha detto Alexander Dugin. “Darya ha vissuto per questa
vittoria ed è morta in il nome di questa vittoria, la nostra vittoria
russa, la nostra verità, la nostra fede ortodossa, il nostro Paese, il
nostro Stato”.
La morte della giornalista ha del resto determinato in
Russia un ampio sdegno nei confronti del regime di Kiev rafforzando il
sentimento patriottico e il sostegno al conflitto.
Circa le
responsabilità dell’omicidio ogni ipotesi resta aperta in base ai pochi
elementi certi e verificabili anche se appare esagerata la tendenza
propagandistica ucraino-occidentale che da settimane sostiene che i
russi “si bombardino da soli”: prima colpendo i campi di prigionia nei
territori da loro controllati in Donbass, poi con bombardamenti
reiterati su una centrale nucleare da marzo nelle loro mani e ora
compiendo attentati a Mosca.
Per questo la pista ucraina resta forse
la più probabile. Così come molti ucraini hanno il doppio passaporto
russo, molti cittadini russi sono di origine ucraina e solo dal Donbass
sono stati accolti in Russia oltre 3,5 milioni di civili in fuga dalla
guerra (per Kiev sarebbero “deportati”). Infiltrazioni non sono quindi
difficili da attuare né sono a volte necessarie considerato che
potenzialmente molti ucraini vicini a Mosca vivono in aree controllate
da Kiev e molti sostenitori del governo ucraino vivono nei territori in
mano ai russi o nella Federazione Russa.
Del resto come i sabotatori
ucraini compiono incursioni contro depositi di munizioni e obiettivi
militari in Crimea nei territori russi vicini al confine (l’ultimo in
ordine di tempo sarebbe avvenuto ieri sera nella regione russa di
Belgorod), nelle aree dell’Ucraina sotto il controllo russo si sono già
verificati attentati dinamitardi contro singoli individui,
amministratori filo-russi o “collaborazionisti”
Il più recente è
accaduto questa mattina e ha coinvolto un funzionario filo-russo della
provincia di Zaporizhzhia, Ivan Sushko, capo dell’amministrazione
militare-civile del villaggio di Mikhailovka, morto dopo che un ordigno
esplosivo era stato piazzato sotto la sua auto.
“A seguito
dell’esplosione Ivan Sushko è stato ferito e portato in condizioni
critiche in ospedale, dove successivamente è morto”, ha reso noto
Vladimir Rogov, membro del consiglio nominato dalla Russia nell’oblast
di Zaporizhzhia.
Che questa come altre in precedenza siano opera di
“terroristi” o “partigiani” è una questione di punti di vista, ma è
evidente che unità di sabotatori/attentatori fedeli a Kiev o in ogni
caso ostili a Mosca hanno dimostrato la capacità di condurre azioni
dinamitarde anche minando automobili.
Non si può quindi escludere che
operazioni del genere vengano attuate anche in territorio russo contro
obiettivi politici o simbolici, quali intellettuali e giornalisti che
sostengono l’operazione militare russa in Ucraina.
In questo contesto
è più che naturale che Kiev neghi ogni coinvolgimento, poiché nessun
governo rivendica mai la paternità di azioni terroristiche ed
eliminazioni mirate, ma anche volendo escludere i servizi segreti
militari ucraini dalla lista dei sospetti resta aperta l’ipotesi che
l’attentato sia opera di organismi che non necessariamente hanno agito
per ordine dello stato.
Una parte dei servizi di sicurezza interni è
in aperta ostilità con il presidente Volodymyr Zelensky che ha rimosso
in luglio il direttore dell’SBU Ivan Bakanov e diversi dirigenti
regionali con l’accusa di tradimento o di negligenza nei confronti di
spie e collaborazionisti al servizio di Mosca (nella foto sotto
l’arresto di una presunta spia da parte degli uomini dell’SBU).
Zelensky
ha annunciato una “revisione dei dirigenti” all’interno
dell’intelligence e delle forze armate. Il 21 agosto il direttore
regionale dell’SBU di Kirovograd dal gennaio 2021, Oleksandr Nakonechny,
è stato trovato morto nella sua abitazione dove probabilmente si è
suicidato.
Anche i partiti neonazisti Svoboda e Pravy Sektor così
come i gruppi nazionalisti legati agli stessi ambienti oligarchici che
finanziano i reggimenti neo nazisti (Azov, Aydar e altri) non sono
immuni da sospetti: di certo hanno la capacità e potrebbero avere anche
l’interesse a colpire a Mosca i sostenitori più accesi dell’intervento
russo.
Soggetti che potrebbero aver voluto colpire un bersaglio noto
al pubblico anche per mostrare ai russi la loro vulnerabilità e seminare
il terrore a Mosca, che non vede un’ondata di attentati dalla stagione
del terrorismo ceceno di matrice jihadista.
L’FSB ha annunciato
l’arresto di un cittadino russo sostenitore del Battaglione Azov, che
avrebbe pianificato un attacco terroristico contro la Flotta del Mar
Baltico e all’aeroporto locale di Khrabrovo. Secondo una nota “nella
città di Kaliningrad è stato identificato e arrestato un residente
locale, cittadino della Federazione Russa, nato nel 1967, aderente
all’organizzazione Azov”, classificata come terroristica in Russia.
L’uomo avrebbe preso ordini da coordinatori del gruppo Azov in Ucraina.
Il
rischio che organizzazioni ultra-nazionaliste dell’estrema destra
neonazista ucraina attuino azioni terroristiche oggi in Russia e domani
forse anche in altre nazioni contro obiettivi russi o ritenuti
“filo-russi” non dovrebbe venire sottovalutato, specie in Europa dove
sono residenti o sono stati accolti come rifugiati milioni di cittadini
ucraini tra i quali non mancano gli aderenti e i simpatizzanti di questi
gruppi attualmente considerati eversivi solo in Russia.
Quanto
all’uccisione di Darya Dugina non si può neppure escludere l’iniziativa
di qualche servizio segreto straniero (ben presenti a Kiev) interessati
ad innalzare ulteriormente la tensione e a determinare un’escalation
utile a minare ogni ipotesi di negoziato che porti a un cessate il
fuoco, come quello su cui si adopera la Turchia e che auspicano molti
ambienti in molti paesi europei dove l’inverno porterà il tracollo
energetico ed economico (ieri la Bulgaria ha annunciato che riaprirà i
negoziati con Gazprom per ottenere nuove forniture di gas).
Non è
forse un caso che, come ha sottolineato Newsweek, che ieri il ministro
degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu (bella foto sopra) abbia dichiarato
in un’intervista ad Haber Global TV che “ci sono paesi in Occidente che
vogliono che la guerra in Ucraina continui e tra loro vi sono nazioni
aderenti alla NATO, non solo gli Stati Uniti ma anche altri partner”
aggiungendo che alcuni stati membri della NATO (ma non gli USA), hanno
cercato di sabotare l’accordo sul grano che ha permesso la riapertura
dei porti ucraini sul Mar Nero.
Nessun commento:
Posta un commento