“Teoria Critica della Razza”: i suoi sostenitori disinformano e sono razzisti neomarxisti
Negli ultimi due anni la Critical Race Theory (CRT) è stata oggetto di enormi controversie. Ma cos’è esattamente? Il capitolo 4 del mio libro “Tutti insieme in Cristo: una critica cattolica del razzismo e della teoria critica della razza” è dedicato a rispondere ampiamente a questa domanda. Nei capitoli 5, 6 e 7 illustro i numerosi problemi filosofici, scientifici sociali e teologici di questa visione (Come indica questa ampiezza di temi, nel libro c’è molto che sarà di interesse e valore per i non cattolici). Ma il capitolo 4 è interamente espositivo e cita ampiamente gli stessi autori della CRT, in modo che non ci si possa sbagliare su quanto siano estreme e pericolose le opinioni che i capitoli successivi vanno a criticare.
Alcuni sostenitori della CRT hanno risposto all’esposizione di cui sopra con quello che può essere definito un programma di disinformazione. Ci viene detto che la CRT è solo un’astrusa teoria legale di scarso interesse per chiunque al di fuori dell’università, e certamente irrilevante per qualsiasi cosa venga insegnata ai bambini; o che, nella misura in cui ha influenza al di fuori dell’accademia, non si occupa d’altro che di insegnare la storia del razzismo; o che in ogni caso non ha nulla a che fare con le idee diffuse in bestseller come “Come essere un antirazzista” di Ibram X. Kendi o “Fragilità bianca” di Robin DiAngelo. Queste affermazioni sono così facilmente confutabili che è difficile non vedervi una cinica tattica di deliberato offuscamento.
La CRT è solo una teoria giuridica astratta?
Partiamo dalla prima affermazione, sulla natura e l’influenza della CRT. I professori di diritto Richard Delgado e Jean Stefancic non solo sono essi stessi teorici della teorica critica della razza, ma sono anche gli autori di “Critical Race Theory: An Introduction”, un noto manuale in questo campo. Essi scrivono:
- Sebbene la CRT sia nata come un movimento in ambito giuridico, si è rapidamente diffusa al di là di questa disciplina. Oggi, molti studiosi nel campo dell’istruzione si considerano teorici critici della razza e utilizzano le idee della CRT per comprendere le questioni della disciplina e della gerarchia a scuola, del monitoraggio, delle azioni affermative, dei test, delle controversie sui programmi di studio e sulla storia, dell’istruzione bilingue e multilingue e delle scuole alternative e charter. (p. 7)
Poi citano “scienziati politici”, “professori di studi femminili”, “studi etnici”, “studi americani”, “filosofi”, “sociologi, teologi e specialisti dell’assistenza sanitaria” tra gli studiosi, i professionisti e i settori influenzati e che applicano idee tratte dalla CRT (pp. 7-8). Analogamente, la prefazione della professoressa di diritto Angela Harris al libro di Delgado e Stefancic osserva che:
- La teoria critica delle razze è esplosa passando da una ristretta sottospecialità della giurisprudenza, di interesse soprattutto per gli avvocati accademici, a una letteratura letta nei dipartimenti di educazione, studi culturali, inglese, sociologia, letteratura comparata, scienze politiche, storia e antropologia di tutto il Paese. (p. xvi)
Delgado e Stefancic notano anche che, sebbene la CRT sia nata come movimento in ambito giuridico, le influenze sul suo sviluppo si estendono ben oltre quel campo, e includono il “femminismo radicale”, il pensatore marxista Antonio Gramsci e i postmodernisti Michel Foucault e Jacques Derrida (p. 5). E sottolineano che “a differenza di alcune discipline accademiche, la teoria critica delle razze contiene una dimensione attivista. Cerca non solo di capire la nostra situazione sociale, ma anche di cambiarla” e di “trasformarla” (p. 8). Citano il movimento che spinge per “ricostruire il sistema di giustizia penale” e “Black Lives Matter” tra le applicazioni pratiche delle idee associate alla CRT (p. 124).
Un’altra opera rappresentativa della CRT è l’antologia “Critical Race Theory: The Key Writings that Formed the Movement”, curata da Kimberlé Crenshaw, Neil Gotanda, Gary Peller e Kendall Thomas. Nell’introduzione al volume, essi osservano che il movimento degli Studi giuridici critici “organizzato da un insieme di intellettuali neomarxisti”, ex attivisti della New Left, ex “controculturali” e simili “ha svolto un ruolo centrale nella genesi della Teoria critica della razza” (p. xvii). Ecco cosa scrivono:
- Legittimando l’uso della razza come fulcro teorico e punto focale della ricerca giuridica, l’approccio così detto razzializzato al razzismo e alla legge ha fondato il successivo sviluppo della Teoria Critica della Razza, più o meno nello stesso modo in cui l’introduzione della struttura e della lotta di classe nell’economia politica classica da parte del marxismo ha fondato le successive critiche alla gerarchia e al potere sociale. (p. xxv)
E in un’altra evidente eco del marxismo, sottolineano che la CRT è un movimento attivista dedicato alla “liberazione”, i cui teorici “desiderano non solo comprendere il legame vessatorio tra legge e potere razziale, ma anche cambiarlo” (p. xiii).
Pertanto, quando i critici della CRT la ritraggono come molto più di una semplice teoria giuridica accademica e come un programma politico rivoluzionario di ampio respiro con influenze marxiste e postmoderne, che ha attraversato il mondo accademico e cerca di trasformare radicalmente la società attraverso i sistemi educativi e di giustizia penale, non stanno fabbricando un uomo di paglia o un uomo nero. Stanno semplicemente ripetendo ciò che gli stessi sostenitori della CRT hanno esplicitamente detto.
La CRT riguarda solo l’insegnamento della storia?
Ancora una volta, un’altra affermazione spesso fatta è che, nella misura in cui la CRT ha una qualche influenza nelle scuole e in altri contesti al di fuori dell’università, si occupa semplicemente dell’insegnamento della storia del razzismo. Quando le persone non informate sulla CRT sentono questa affermazione, è probabile che pensino che si tratti di insegnare la schiavitù negli Stati del Sud, le leggi Jim Crow, il Ku Klux Klan e così via. Ma questo è ben lontano dalla verità. Tutti questi sono esempi di quello che Delgado e Stefancic definiscono “razzismo vero e proprio” e che, come sottolineano, va nettamente distinto dal ben più sottile “privilegio bianco” che la CRT pretende di identificare e cerca di estirpare (p. 90).
Questo presunto “privilegio bianco” è così sottile che, anche se il “razzismo vero e proprio” del tipo che ci è familiare venisse completamente eliminato, il privilegio bianco rimarrebbe “intatto”, cosicché il “sistema dei bianchi rispetto ai neri/marroni rimarrebbe virtualmente invariato” e “rimarremmo più o meno come eravamo prima” (p. 91). Questo razzismo inosservato è tuttavia sostenuto come qualcosa di “ordinario, che non solleva aberrazione… nient’altro che il solito modo in cui la società fa affari” (p. 8) ed è anzi “pervasivo, sistemico e profondamente radicato” a tal punto che “nessun membro bianco della società sembra più così innocente” (p. 91). Il presunto “privilegio bianco” di questi membri della società comporta una “miriade di vantaggi sociali, benefici e cortesie che derivano dall’essere un membro della razza dominante” (p. 89). Si sostiene che l’ostilità dei bianchi nei confronti dei non bianchi si manifesti in “pregiudizi impliciti” o atteggiamenti negativi così sfuggenti che i bianchi non sono consapevoli di averli (p. 143-44) e in “microaggressioni” o atti razzisti così sottili che i bianchi non sono consapevoli di commetterli.
La CRT ritiene che il razzismo sia talmente “radicato nei nostri processi di pensiero e nelle nostre strutture sociali” che si oppone non solo al conservatorismo, ma anche al liberalismo (p. 26-27). Come il marxismo, la CRT si colloca molto a sinistra rispetto alla politica tradizionale del Partito Democratico. Al posto dell’impegno del liberalismo verso “il daltonismo e i principi neutrali del diritto costituzionale”, gli scrittori della CRT sostengono “sforzi aggressivi e consapevoli rispetto al colore della pelle,per cambiare il modo in cui le cose sono” (ibid.). La CRT chiede “programmi che assicurino l’uguaglianza dei risultati”, anche se ciò è in conflitto con l’enfasi del liberalismo sui “diritti morali e legali” dell’individuo (p. 29). Una proposta della CRT, riferiscono Delgado e Stefancic, sarebbe quella di “far sì che i responsabili delle ammissioni (nelle scuole) riducano, o penalizzino, i punteggi dei candidati” di provenienza “bianca e suburbana” a causa del loro “privilegio bianco” (p. 134). Alcuni autori della CRT si chiedono addirittura se “i bianchi [debbano] essere benvenuti nel movimento e nei suoi workshop e conferenze” (p. 105). In effetti, un tema centrale della CRT è l’influenza maligna della “bianchezza” stessa, una “qualità che appartiene a persone o tradizioni euro-americane o caucasiche” (p. 186). I “Critical White Studies”, ci dicono Delgado e Stefancic, sono un sottocampo della CRT dedicato allo “studio della razza bianca”, che ha “messo sotto la lente di ingrandimento la bianchezza stessa” (p. 85).
Al posto dell’enfasi tradizionale del liberalismo sulla libertà di espressione, alcuni autori della CRT invocano “codici di parola nei campus” e “multe per illeciti civili per i discorsi razzisti” (p. 25), o addirittura la “criminalizzazione” di tali discorsi (p. 125) – che, date le nozioni amorfe di “pregiudizio implicito” e “microaggressioni”, potrebbero riguardare qualsiasi cosa un sostenitore della CRT trovi discutibile. Allo stesso tempo, alla luce del razzismo sistemico che, secondo loro, affligge la giustizia penale, gli autori della CRT sostengono pene più lievi o addirittura “la nullificazione da parte della giuria” per reati “come il taccheggio o il possesso di una piccola quantità di droga” (pp. 122-23). Delgado e Stefancic notano tranquillamente che uno scrittore della CRT propone che “i valori della musica e della cultura hip-hop potrebbero servire come base per ricostruire il sistema di giustizia penale” (p. 124).
La CRT rifiuta anche “il discorso tradizionale sui diritti civili, che pone l’accento sull’incrementalismo e sul progresso graduale” per mettere invece “in discussione le fondamenta stesse dell’ordine liberale”, comprese idee come “la teoria dell’uguaglianza, il ragionamento giuridico, il razionalismo illuminista” e “l’uguaglianza di trattamento per tutte le persone, indipendentemente dalle loro diverse storie o situazioni attuali” (pp. 3 e 26). Di conseguenza, la CRT sostiene che il cambiamento da essa auspicato potrebbe dover avvenire in modo “convulso e catastrofico” piuttosto che comportare una “transizione pacifica” e “in tal caso, i teorici critici e gli attivisti dovranno fornire una difesa penale ai movimenti di resistenza e agli attivisti e articolare teorie e strategie per tale resistenza” (pp. 154-55).
Questa è solo la punta dell’iceberg, perché secondo la nozione di “intersezionalità” della CRT, molti individui “sperimentano molteplici forme di oppressione” che coinvolgono non solo la razza ma anche “il sesso, la classe, l’origine nazionale e l’orientamento sessuale” (pp. 58-59). Di conseguenza, l’analisi della CRT e i rimedi per il “razzismo sistemico” devono essere applicati anche all’analisi e all’eliminazione di queste altre presunte forme di oppressione.
Qui ho citato un solo testo rappresentativo, a scopo illustrativo. Come il lettore del mio libro scoprirà, altri autori della CRT hanno altre cose da dire, anche più estreme. Qualunque cosa si pensi di queste idee, esse smentiscono l’affermazione che la CRT si limiti a insegnare la storia del razzismo. Si tratta di promuovere un’ideologia sociale e politica rivoluzionaria che persino molti liberal ed elettori democratici troverebbero inquietante se la conoscessero.
Kendi, DiAngelo e la CRT
I libri di Kendi e DiAngelo sopra citati sono di gran lunga le opere più influenti tra quelle che promuovono le idee della CRT. Tuttavia, alcuni hanno affermato che il loro lavoro non ha nulla a che fare con la Teoria critica della razza. Anche questa affermazione è facilmente confutabile. Lo stesso Kendi ha riconosciuto l’influenza della CRT sul suo lavoro:
- Mi sono certamente ispirato alla teoria critica della razza e ai teorici critici della razza. I modi in cui ho formulato le definizioni di razzismo, razzista, antirazzismo e antirazzista non si sono basati solo sull’evidenza storica, ma anche sulla teoria intersezionale di Kimberlé Crenshaw. È una delle fondatrici e pioniere delle teorie razziali critiche che alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90 ha detto: “Sapete una cosa? Le donne nere non devono affrontare solo il razzismo, non devono affrontare solo il sessismo, devono affrontare l’intersezione di razzismo e sessismo”. È importante per noi capirlo e questo è fondamentale per il mio lavoro.
Certo, in un altro contesto, Kendi ha detto:
- Ammiro la teoria critica della razza, ma non mi identifico come un teorico della razza. Non sono uno studioso di diritto. Quindi non sono stato formato alla teoria critica della razza. Sono uno storico… Non ho frequentato la facoltà di giurisprudenza, dove si insegna la teoria critica della razza.
Ma ci sono due problemi in questo senso. In primo luogo, ciò che conta è se Kendi stia promuovendo idee derivate dalla CRT, non se sia egli stesso un “teorico critico della razza” nel senso stretto di uno studioso di diritto di un certo tipo. E ancora, egli stesso ha ammesso che il suo lavoro è “ispirato” dalla CRT, anzi che un ramo della CRT è “fondamentale” per il suo lavoro. In secondo luogo, come abbiamo visto, autori della CRT come Harris, Delgado e Stefancic ammettono che la CRT non si limita agli studi giuridici, ma si è estesa ad altre aree dell’accademia, compresa la storia, il campo di Kendi. È quindi falso da parte sua fingere che il fatto di non aver frequentato la facoltà di legge dimostri che non può essere considerato un teorico critico della razza. Se ci si basa solo sul contenuto effettivo dei suoi libri e lo si confronta con quanto viene detto nelle opere che tutti riconoscono come opere della CRT, è ovvio che si tratta di un teorico critico della razza.
Lo stesso vale per DiAngelo. Il suo campo accademico è l’educazione piuttosto che la giurisprudenza, ma Delgado e Stefancic stessi pongono un’enfasi particolare sull’educazione come campo su cui la CRT ha avuto un’influenza drammatica. Sarebbe quindi piuttosto sciocco fingere che il fatto che lei, come Kendi, non sia una professoressa di legge sia in qualche modo sufficiente a dimostrare che non è una teorica critica della razza. E soprattutto, è palesemente una promotrice di idee tratte dalla CRT, a prescindere dal fatto che la si voglia classificare o meno come “teorica critica della razza” in senso stretto. Le idee centrali di “Fragilità bianca” sono i temi della CRT del “razzismo sistemico”, del “privilegio bianco”, dell’analisi e della critica della “bianchezza” e della natura non sufficientemente radicale del liberalismo. Nel suo libro “Nice Racism” DiAngelo cita esplicitamente i principali teorici critici della razza Kimberlé Crenshaw, Derrick Bell e Cheryl Harris tra le influenze avute nel suo lavoro.
Qualcuno potrebbe tuttavia obiettare che, anche ammettendo che Kendi e DiAngelo siano promotori della CRT, non è opportuno dare al loro lavoro la stessa importanza che gli hanno dato i critici della CRT, poiché i loro libri sono delle divulgazioni. Questa obiezione presenta però due problemi. In primo luogo, Kendi e DiAngelo non sono semplici divulgatori, ma accademici a tutti gli effetti. Si può presumere che sappiano di cosa parlano. In secondo luogo, anche se alcuni adepti della CRT potrebbero desiderare che fossero i libri di Derrick Bell o di Kimberlé Crenshaw piuttosto che “Come essere antirazzista” e “Fragilità bianca” a diventare dei bestseller, non è quello che è successo. Sono i libri di Kendi e DiAngelo ad aver avuto la più ampia diffusione e influenza, e quindi la loro presentazione delle idee della CRT ha plasmato la percezione pubblica del movimento. È naturale, quindi, che i critici della CRT dedichino loro un’attenzione proporzionata in risposta.
Come i lettori del mio libro scopriranno, il contenuto della CRT è ancora più inquietante di quanto non indichi questo breve riassunto – ed è anche pieno di palesi fallacie logiche, grossolani errori di scienza sociale, e assunti e raccomandazioni politiche che sono assolutamente contrari alla legge morale naturale e alla fede cattolica. Non sorprende che i sostenitori della CRT vogliano nascondere la sua vera natura, ma è anche imperativo che non gli venga permesso di farlo.
QUI IL Link all’originale – TRADUZIONE DI PIETRO AGRIESTI
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