LA FARSA ELETTORALE
Il casting director (o responsabile del casting, in italiano) è la figura che si occupa di coordinare il casting, ovvero il lavoro di ricerca e selezione degli attori più adeguati a interpretare i personaggi presenti nella sceneggiatura o per la produzione di un’opera cinematografica , televisiva, uno spot pubblicitario o uno spettacolo teatrale
A questa definizione di wikipedia, relativa al responsabile del casting, alla fine aggiungerei alla lista degli spettacoli quello elettorale.
E’ stata sorprendente infatti la rapidità con cui, una volta indette le elezioni, i vari politici/attori, che da tempo erano inoperosi data la nuova situazione dell’uomo solo al comando, si sono attivati e sono andati immediatamente a ricoprire i ruoli loro assegnati dal copione.
Per la verità ci saremmo aspettati un copione diverso, almeno per quanto riguarda il consueto antifascismo elettorale in assenza di fascismo: ci saremmo aspettati qualcosa di diverso soprattutto da partiti che hanno fatto carte false per fare apparire il neonazismo, non solo ucraino ma anche americano, come qualcosa di buono e giusto.
Invece gli sceneggiatori, forse perché non hanno avuto il tempo o forse più semplicemente perché hanno pensato che non valesse la pena perdere tempo, hanno riproposto il vecchio copione, con poche varianti. Ecco allora che il lavoro maggiore tocca al casting director, nel cercare di collocare al posto giusto i vari attori di cui si dispone e di cercarne altri fra quelli dei vecchi cast.
Di fronte quindi allo squallido spettacolo del teatrino dei politicanti, cui assistiamo in questi giorni, sorgono spontanee varie domande: da quando le elezioni politiche sono diventate una farsa? E’ sempre stato così? E negli altri paesi? A questo proposito ci viene in aiuto la fantascienza o, meglio, la social fiction (SF).
E’ impressionante infatti leggere la descrizione di ciò che accade oggi, fatta però con circa mezzo secolo di anticipo dagli scrittori di Social Fiction. E’ il caso, fra i tanti, del romanzo Effetto Valanga di Mack Reynolds, uno scrittore non molto conosciuto, che nelle sue opere ha trattato spesso di problemi socio-economici e lo ha fatto da posizioni vicine al socialismo e all’anarchismo.
Il romanzo in questione vuole esemplificare come una serie di eventi che si susseguono, legati l’uno all’altro, possono spiegare l’origine di una crisi economica.
Quello che però mi interessa citare in questo caso, è il dialogo che si svolge a un certo punto all’interno dello studio ovale della Casa Bianca fra un presidente degli Stati Uniti che si sta avvicinando alla campagna elettorale e un suo consigliere.
La scena mostra il presidente in carica, dire che qualcuno gli avrebbe consigliato di chiedere una moratoria sulle elezioni, perché la nazione si trova in un periodo di emergenza, rimandandole a quando la crisi sarà superata. A questo punto interviene il consigliere Weigand:
Weigand— Sentite, capo, la nazione si trova in periodo d’emergenza fino dai tempi di Roosevelt. È stato il primo presidente a venire eletto proprio a causa dello stato d’emergenza. Tutte le cose vennero rimandate a dopo il periodo di crisi. Per curarla vennero imposte nuove tasse. Chiaramente l’emergenza non finì mai, e le tasse non vennero mai tolte. Se non c’era la crisi, c’era una nuova guerra, calda o fredda che fosse, o la corsa all’armamento, o la minaccia rossa, o una qualsiasi altra cosa.
Colpisce in questo caso come il capitalismo delle emergenze sia un sistema ormai consolidato negli USA da molto tempo. Ma ecco che a questo punto il discorso entra nel merito del concetto di farsa elettorale di cui parlavo sopra.
Il presidente — Accidenti, voi sapete benissimo che nelle ultime dieci elezioni non ci sono più state differenze fra Repubblicani e Democratici. Perché ostinarci a pensare che ci siano e fare una campagna elettorale?
Weigand— Signor presidente, la gente ama vedere l’illusione ottica che balla davanti agli occhi. Di tanto in tanto la vogliono togliere per metterne una nuova. A loro, è chiaro, non interessa che sia molto diversa dall’altra. Amano soltanto il cambio.
E’ evidente che se l’autore può dire questo già in un romanzo degli anni 60, ciò significa che gli USA in questo ci hanno preceduto.
In quegli anni in Italia le elezioni erano tutt’altro che una farsa, come dimostra il lavoro sotterraneo svolto dai vari stati profondi (uno per tutti, la P2 di Licio Gelli) per “insegnare al popolo come votare”. Erano gli anni della Strategia della Tensione, sfociata in una serie di stragi, i cui retroscena non sono ancora stati interamente svelati.
Negli USA no però, lì già i due partiti che si contendevano il podio erano intercambiabili. Il tradimento del partito democratico, pronto a diventare il principale alfiere del neoliberismo, era già in atto. Da noi ci è voluto un po’ più di tempo affinché le cose si normalizzassero.
Ci è voluta la fine della Prima Repubblica con Tangentopoli, dopodiché è iniziato un periodo in cui la lotta politica è stata sempre più una commedia. Certo non subito al livello di oggi, ma sicuramente la strada era imboccata.
Questa fu la nuova grande strategia neoliberista per azzerare quel diritto di voto che era stato conquistato al prezzo di lotte sanguinose e sacrifici umani, svuotare le istituzioni dall’interno, lasciarne intatto l’involucro, come le case dei villaggi dei film western, in cui esiste solo la facciata, ma dietro la facciata niente.
Del resto, questa della farsa elettorale è anche l’unica fatica che i politicanti devono fare, dal momento che poi non spetterà a loro decidere sulle questioni importanti del paese: devono recitare bene la parte del copione loro assegnata ed impegnarsi a fondo perché tutto sembri il più verosimile possibile. In cambio avranno la possibilità di continuare a vivere in maniera agiata (in Italia la carriera politica è uno dei pochi ascensori sociali rimasti).
Lo scopo di tutti i componenti del partito unico neoliberista, che comprende praticamente tutto l’attuale arco parlamentare, fatta eccezione per pochi fuoriusciti, è quello di portare più gente possibile al voto per legittimarli ancora una volta.
Non conta chi prenderà più o meno voti, lo abbiamo già visto nelle precedenti elezioni, tanto poi, come si fa fra bravi soci, tutto verrà come sempre spartito. Si tratta di un lavoro non semplice e gli spin doctor, le agenzie di immagine e di marketing, gli sceneggiatori della situazione, lavorano h24.
Chiaramente, fondamentale per mantenere in vita l’inganno, la farsa, è il ruolo del main stream della disinformazione. Molto impegno devono infatti profondere i pennivendoli dei vari giornali e i portatori di veline della TV. Si impegnano in questo senso anche perché sanno che dalla sopravvivenza del sistema dipende la loro stessa possibilità di continuare a beneficiare di una vita comoda e di godere di vari privilegi, come per gli stessi attori/politici.
I cittadini quindi avrebbero bisogno solo di vedere qualche volto nuovo, di rimescolare un po’ le carte, anche se tutto rimane uguale. A questo si aggiunge quel principio di sospensione della realtà che è alla base anche della fruizione di ogni film e che permette allo spettatore non solo di immedesimarsi in un personaggio del film, ma di percepire come reale anche ciò che è puramente fantastico.
Ecco quindi che si può accettare che di nuovo PD e satelliti possano riesumare, come direbbe Fusaro, l’antifascismo in assenza di fascismo, allo stesso modo in cui anni fa Berlusconi rispolverò l’anticomunismo in assenza di comunismo. Ma, quel che è peggio, ed ecco il principio di sospensione della realtà, si accetta un PD antifascista subito dopo che questi ha di fatto difeso e aderito al nazismo ucraino e non solo.
Abbiamo quindi una forza filonazista che pratica l’antifascismo, cosa che dovrebbe mettere a dura prova anche quel principio di sospensione della realtà di cui sopra.
Tornando alla social fiction, ci viene in aiuto anche un altro celebre lavoro, sempre degli anni ‘60, I Simulacri, di Philip K. Dick, autore che non ha certo bisogno di presentazioni. In questo romanzo, il presidente degli USEA (Stati Uniti d’Europa e America) è addirittura un androide, cioè una macchina, ma il popolo non lo sa e crede si tratti di una persona reale, che effettivamente sia scelta grazie alle elezioni.
A proposito del fatto che Europa ed USA siano uniti, questa può essere una prospettiva che può piacere o non piacere a seconda dei casi, ma per noi italiani si tratta di una realtà consolidata, anche se molti fanno rilevare che la nostra sarebbe più una condizione di sudditanza, piuttosto che di unione.
Un presidente simulacro, un androide, non è molto diverso da un presidente marionetta, che anziché agire nell’interesse del proprio popolo agisce nell’interesse della grande finanza speculativa americana, dei miliardari; una sorta di Passatore al contrario, che ruba ai poveri per dare ai ricchi. Un presidente juke box, con memorizzati alcuni discorsi, che vengono suonati quando chi possiede la monetina decide che è ora di fare ascoltare quella musica. Un uomo d’oro insomma, goldman…
Di Giuseppe Cantarelli per ComeDonChisciotte.org
Giuseppe Cantarelli, classe 1961, di Cesena, laureato in filosofia. Insegnante di liceo. Sin dai tempi della laurea ha fatto studi di geografia umana ed ecologia politica. Ha collaborato a riviste di ecologia, quotidiani e fatto varie esperienze di battaglie ambientaliste con comitati locali. Si interessa di ecologia, fantascienza, politica e tecniche di disinformazione e propaganda del mainstream.
BIBLIOGRAFIA
- Mack Reynolds, Effetto Valanga, Delosbooks, 2012 – Traduzione di Luca Volpino e Prefazione di Salvatore Proietti (originale Depression or bust del 1974, già apparso però su una rivista americana nel 1967)
- Philip K. Dick, I simulacri, Piacenza, 1965 (orig. The Simulacra, 1964)
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org
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