La pista occidentale dietro la morte di Darya Dugina, figlia di Aleksandr Dugin
di Daniele Lazzeri - 22/08/2022
Fonte: Insideover
“Una tragedia immane. Un vile attentato”. Commenta così
Daniele Lazzeri – presidente del think tank “Il Nodo di Gordio”, un
centro studi internazionale di geopolitica, economia e politica estera –
l’attacco che ha portato alla morte Darya Dugina. “L’assassinio della
figlia del filosofo russo Aleksandr Dugin, mi ha molto colpito. E non
solo per aver avuto modo di conoscere in più occasioni il professor
Dugin, ma per la brutale modalità di esecuzione. Troppi sono ancora,
infatti, i dubbi e le incertezze sulle dinamiche dell’attentato. Ho
letto in queste ore le tesi più disparate: dalla ritorsione
dell’intelligence ucraina per le sue posizioni espresse negli ultimi
anni, al regolamento di conti interno all’establishment di Mosca perché i
Dugin iniziavano ad essere dei personaggi scomodi, fino alla vendetta
religiosa per la loro appartenenza fideistica ai Vecchi Credenti,
ortodossi tra gli ortodossi. Per quanto mi è dato di comprendere, non
tralascerei l’ipotesi della pista dei servizi segreti occidentali viste
anche le modalità utilizzate nell’attentato che mal si sposano con la
lunga tradizione degli assassini politici dall’Unione Sovietica in poi”.
Ma chi è esattamente Dugin?
Sulla
sua controversa figura e sul ruolo che ricopre, non solo in Russia ma
anche in molti Stati europei, si può discutere a lungo. A partire dalla
definizione che spesso gli viene affibbiata quale “Rasputin di Putin”,
anche se lo stesso Dugin smentisce di essere un influente suggeritore
del Cremlino. La folta e lunga barba, unita ad una profonda conoscenza
delle dottrine mistiche non sono sufficienti per trasformare un filosofo
– con un pensiero a tratti bizzarro – in un sulfureo consigliere dello
Zar Vladimir.
Quindi la sua vicinanza a Putin è solo un bluff?
È
vero che le sue teorie per la rinascita del pensiero eurasista hanno
influenzato numerosi circuiti culturali e politici con una fascinazione
proveniente da ambienti tra loro molto diversi. Dal mondo della destra
tradizionalista europea, ai circoli legati alle esperienze
nazional-comuniste fino ai nazionalisti russi. Ma il professor Dugin è
tutt’altro che un nazionalista russo nostalgico della grandeur di
quell’Unione Sovietica che lo aveva additato come un pericoloso
dissidente.
Ma allora qual è il Dugin-pensiero?
Il suo
ragionamento vola ben oltre, rilanciando l’idea di un grande spazio
eurasiatico composto da più popoli, lingue e tradizioni religiose. “Una
Civiltà – scrive Dugin – non ha confini delimitati come uno Stato,
perché è un’entità vivente”. Una visione neo-imperiale che nulla ha a
che spartire con la logica imperialista di stampo anglo-americano. Né
con la deriva del liberalismo che, per Dugin, rappresenta il “male
assoluto” e contro la quale invoca da decenni un’autentica crociata da
parte dei popoli che desiderano ritornare davvero alla libertà in
un’ottica multipolare. Un Eurasia – quella prefigurata da Dugin – che è
la congiunzione tra il bosco e la steppa. E cioè tra il mondo della
Siberia russa e il bosco che appartiene al centro Europa, alla Germania.
L’Italia è una macchia mediterranea. Da qui si capisce che l’Italia in
questo c’entra ben poco. Questo in estrema sintesi è il pensiero di
Alexsandr Dugin espresso in decine di volumi e centinaia di conferenze
ed interviste, alcune delle quali realizzate personalmente con “Il Nodo
di Gordio”. Anche se la sua figura è stata prepotentemente riscoperta
dai media mainstream per le sue posizioni intransigenti sulla Crimea e
sul Donbass.
Lei conosce personalmente Dugin. Cosa si ricorda dei vostri incontri?
Lo
ricordo molto contrariato a luglio del 2014 durante il nostro workshop
annuale perché – a suo dire – il presidente Putin non era stato
sufficientemente decisionista nei confronti dei ripetuti attacchi
dell’Ucraina nelle aree indipendentiste di Donetsk e Lugansk, prevedendo
già allora che proprio il traccheggiare del Cremlino avrebbe
determinato un conflitto russo-ucraino di ben più vasta portata e su
larga scala del quale avrebbero approfittato Washington e le potenze
occidentali a tutto danno dell’Europa. Un’Europa che, appiattita su un
timoroso filo-atlantismo e attraverso il meccanismo delle sanzioni, alla
lunga avrebbe finito per subire un effetto boomerang per l’economia e
le relazioni internazionali di Bruxelles. Ed in effetti, a distanza di
otto anni, così è stato. Profezie da Rasputin…
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