Scilla e Cariddi
Di Ciro Silvestri
La nostra società (e mi limiterò a quella italiana, cosciente però che il discorso riguarda in vario modo tutto l’Occidente) sta affrontando un passo delicatissimo, una svolta di civiltà che, di primo acchito, evoca metaforicamente l’immagine di Scilla e Cariddi. Tra la Scilla dell’astensione e della disillusione, e la Cariddi della frammentazione e della smobilitazione, si apre lo spazio per una riflessione complessa. Proviamo a percorrerlo, almeno a grandi tratti.
La gestione della pandemia ha introdotto una serie di novità, in forma di strappi istituzionali e giuridici, che se non fosse stato per il ricorso (pretestuoso e illegittimo) all’‘emergenza’, non avrebbero mai trovato la minima accoglienza. E mentre la politica si attarda a riproporre schemi di confronto inadeguati e stantii, la tecnocrazia finanziaria, vera domina della situazione, continua ad assestare i suoi colpi. Il caos in cui sta avvenendo tutto ciò, tuttavia, impedisce di riflettere e confrontarsi sulle conseguenze che di qui a poco potrebbero diventare la nostra quotidianità se non poniamo un argine a questa pericolosa deriva.
Per evitare fraintendimenti, chiarisco subito che non sono per nulla un oppositore del progresso e della tecnologia, tutt’altro; sono semplicemente preoccupato dal dominio, ormai pressoché totale, privo di spiragli, che i poteri economico-finanziari esercitano sul progresso tecnologico e scientifico –, un dominio che sembra volutamente dimenticare che il progresso tecnologico non può sottrarsi a un severo controllo etico e democratico, senza il quale l’umanità si espone a diventare schiava o vittima delle sue stesse macchine. L’uso del nucleare ne è l’esempio più lampante: può essere una fonte di energia o uno strumento di morte e distruzione. La tecnologia non può mai essere eticamente accettabile se mette a rischio l’umanità, questo è il punto, semplice e terribile.
Iniziamo allora con il ricordare
un punto cruciale, ovvero la ‘sovranità sul corpo’. Esiste ancora la
sovranità individuale, l’autodeterminazione della persona, il libero
arbitrio, la scelta soggettiva? Oppure le istituzioni dello Stato,
esercitando un potere che nessuno ha mai delegato loro, hanno
scientemente abusato del proprio potere?
Gli allarmi che avvertivano
di questa deriva c’erano tutti, ma abbiamo preferito ignorarli per non
turbare la nostra apparente tranquillità. Con il nostro complice
silenzio, per esempio, abbiamo permesso che i bambini fossero sottratti
alle famiglie, chele ‘istituzioni’ entrasero nelle case per motivi
pretestuosi, anche solo per ragioni di indigenza familiare. Abbiamo
permesso l’esproprio della continuità naturale invece di intervenire,
come sarebbe dovere dei poteri pubblici, sulle cause della povertà:
Bibbiano non è che un esempio di questa aberrazione.
Ma quando l’emergenza diventa quotidianità, tutto diventa possibile, e i rappresentanti delle Istituzioni non sono nemmeno più chiamati a rispondere delle scelte che adottano, è sufficiente richiamare la supremazia dell’interesse collettivo, un astratto e mai dimostrato “bene comune”. È con la legittimazione di questo principio che diventa possibile riconoscere lo scudo penale per i governanti o per i medici, che nulla avrebbero da temere se chiamati ad operare nell’interesse pubblico.
Sempre in funzione dell’emergenza si è resa possibile la secretazione dei contratti commerciali in ambito sanitario ed è sempre per lo stesso motivo che si è potuto apporre il segreto militare sui contenuti della terapia ‘salvifica’ che ci hanno imposto.
Avete sentito la politica confrontarsi su questi temi? Non credo proprio, e purtroppo ancora per un po’ sarà così. Tutte le organizzazioni, dalle più semplici alle più complesse, da sempre hanno teso a semplificare le procedure, aggirare le ‘pastoie’ della deliberazione democratica, ma quando ci si muove in ambito sociale, o umano se volete, la faccenda diventa molto più delicata. Nessuna emergenza, indotta o reale, potrà mai schiacciare la creatività e l’imperfezione umana. La bellezza e la complessità insita in ogni essere umano non potrà mai ridursi a una miserevole identità digitale, a un numero da governare.
Al buon
ministro Colao (si fa per dire) molto probabilmente questi aspetti
sfuggono ed egli confonde l’identità con l’identificazione, mero
strumento di controllo, a differenza dell’identità, che comporta la
scelta volontaria di riconoscersi in una comunità e in dei valori
condivisi. Solo se si è confusi o si ha un progetto poco trasparente si
può pensare ad istituire la id pay, appunto l’identità digitale. Secondo
questo signore, l’assegnazione dell’identità digitale a ogni singolo
individuo è l’unica via per assicurare benefici sociali in sostituzione
dei diritti. Poverino, confondere i benefici con i diritti è veramente
miserabile!
Forse però una spiegazione c’è, almeno se vogliamo
continuare a credere nel libero arbitrio: in tal caso riconosceremo che
la nostra controparte non agisce in modo illogico, né è possibile
negarle una sua intelligenza, priva però – piccolo dettaglio – della
componente propriamente umana, cioè di quella scintilla che spinge il
singolo a sentirsi parte di un tutto, di una collettività, e senza la
quale egli scivola nell’in-umanità o, per dirla con Dante, nella “matta
bestialità”.
Orbene, qui la questione si fa estremamente
delicata, perché, nella migliore delle ipotesi, ci porterà a stabilire
una differenza quasi di specie, quanto meno sul piano spirituale.
Apparteniamo tutti alla specie umana e fondamentalmente abbiamo capacità
simili; ma siamo profondamente diversi nella differenza di motivazioni
delle nostre azioni.
Immaginiamo, per un attimo e per assurdo, se
l’azione di governo (diciamo, solo per comodità, negli ultimi
trent’anni) fosse state realmente ispirata ai principio del bene comune:
qualcuno può credere che ci ritroveremmo in questa situazione? La
differenza, in verità, è tutta qui: chi ha privilegiato interessi
personali o di gruppi di potere, non ha avuto certo scrupoli ad
alterare, truccare le regole di pacifica convivenza: favorendo una
corruzione morale che è ormai dilagante, ha portato la nostra società a
un livello di miseria morale senza precedenti.
È urgente uno
sforzo gigantesco per ricondurre la nostra società (parlo d’Italia, ma
come detto al principio, penso a tutto l’Occidente) alla tutela del
concetto di umanità. È una battaglia che non possiamo perdere e non è
affatto un caso che questo scontro di civiltà stia avvenendo nel nostro
Paese, quello in cui tradizioni radicate – di lavoro, di rapporti, di
modi, insomma, di vivere – sono più forti e più sentite.
Restiamo umani, come ebbe a dire il poeta, e usciremo più forti dalle insidie e dai tormenti di Scilla e Cariddi.
Di Ciro Silvestri
Ciro Silvestri è Segretario nazionale vicario FISI, Federazione Italiana Sindacati Intercategoriali
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org
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